ALESSANDRIA | Studio Vigato | 18 maggio – 20 luglio 2013
Intervista a SIMONE FERRARINI di Viviana Siviero
Un giovane artista (Simone Ferrarini) che si dice “non arrivato” e quindi libero di pensare al proprio processo creativo; un artista ormai storicizzato (Piero Manai), che ha lasciato questa dimensione terrena con un’eredità forte che passa dal segno ma parla più di una qualunque semplice figura.
Due passioni a confronto, due sentimenti avvicinati per esaltarsi reciprocamente e regalare allo spettatore molto più che una riflessione dovuta alla stessa rapidità d’esecuzione o all’origine culturale, che restano comunque i punti di partenza.
Paesaggi, figure, volti, pittura pura senza discorsi né orpelli: una mostra intelligente e azzeccata che va sen’altro vista, soprattutto per capire le complessità e bisogni dell’oggi in relazione al passato, che a ben guardare non è poi così lontano quando è l’anima pura delle cose a stabilire le regole.
“Verniciatore seriale” vs “pittore vero”: questa è una tua affermazione relativa all’accostamento che la Galleria Studio Vigato ha pensato di proporre fra i tuoi lavori e quelli di Piero Manai. Puoi darci la tua definizione di artista in questa epoca di crisi in relazione alle tue affermazioni riguardo te stesso (e Manai)?
Il verniciatore seriale è colui che dipinge per istinto, per puro sfogo passionale; non ha ricerca né obiettivi, vernicia e basta. Il pittore ha una ricerca, una sperimentazione, dei riferimenti e spesso anche dei progetti. Non saprei definire l’artista vero, ma so di che tipo d’artista c’è bisogno in questo periodo: qualcuno che riesca a dare concretamente qualcosa alla gente comune, c’è bisogno di creatività, di vitalità, di idee nuove, oggi più che mai. E gli artisti veri possono avere questo ruolo. Ci vorrebbe un Pier Paolo Pasolini dell’arte visiva contemporanea. Vi faccio un nome: Giovanni Gaggia e Casa Sponge, un’artista che riesce a mantenere la purezza del suo progetto senza adattarsi al gusto comune e nello stesso tempo interagire con molte persone, anche lontane dall’arte, influenzandole…
Ci parli di Piero Manai e della scelta di Galleria Studio Vigato di accostare i tuoi lavori ai suoi? Che tipo di dialogo ne viene fuori?
Ci sono artisti che mi piacciono, altri che mi appassionano e altri ancora che mi danno buoni consigli. Questi ultimi sono per me i più importanti; sono pochi e tra questi c’è anche Manai. Osservando e ri-osservando il suo lavoro ho ricevuto da lui il consiglio che la pittura non serve per fare la figura, ma la figura serve a fare la pittura. Il dialogo che viene fuori dalla mostra? Beh probabilmente Manai mi direbbe “Ferarein, fer mia seimper il ciocapiat… fe meno roba deinter chi queder lè” . Vigato ha trovato alcuni punti in comune, come la velocità di esecuzione, il segno veloce e forse anche la provenienza emiliana.
Che mostra sarà? Cosa vedremo?
Detto banalmente sarà una mostra di pittura attraverso paesaggi, figure e volti. Non ci saranno grandi show o discorsi sui massimi sistemi, ma semplicemente pittura. Sarà come andare in un club dove i musicisti fanno la propria musica con passione senza aggiungere altro.
Progetti per il futuro? Cosa ti interessa davvero e cosa stai facendo?
In dieci anni di progetto di formazione ho sempre detto che la riuscita non è nel risultato finale ma nello sfruttamento del processo pittorico: dipingere è un momento di vita bellissimo, che sviluppa un sacco di cose, dalla creatività, alla capacità di osservazione, fino alla libertà di arrabbiarsi. L’ho insegnato per anni ma lo applicavo raramente nella mia vita perché dovevo “fare il pittore”. Ora che sono un “pittore non arrivato” ho potuto finalmente liberarmi del risultato finale e godermi il processo pittorico. Il progetto per il futuro è disegnare. Cosa sto facendo? Disegno. Cosa mi interessa? Disegnare.
Ferrarini e Manai nelle parole di Marisa Vescovo:
Questa mostra dedicata al giovane Simone Ferrarini e all’indimenticato Piero Manai, entrambi emiliani, trova una sua ragione di essere nella “malattia” romantico-espressionista, nella forte trasgressione immaginativa , che è comune a tutti e due gli artisti, che mai hanno sentito l’esigenza di impedire la “divina libertà dell’arte”, o di trasformarla in forme formalmente anguste e classiche. Se pensiamo al lavoro di Piero Manai, ci sovvengono subito le sue mani sporche di colore, che cercano di sfiorare i tasti dell’infinito, per superare i propri limiti, la sua psiche protetta, ma non troppo, dalle ali della malinconia e del disagio di vivere. La sua mente ribollente era nutrita dai fantasmi di un dolore e di una rabbia diretta verso la pigra borghesia della sua città, ma non solo, che non davano, negli anni Settanta-Ottanta, troppo ascolto alla parola dell’arte. […]
Simone Ferrarini propone in questa occasione – oltre ai suoi noti volti sconvolti e urlanti la fatica di essere – anche dei paesaggi caratterizzati da un colore cupo, oppure squillante e sulfureo, che cercano di esprimere l’inquietudine, la vertigine, il terrore dell’uomo moderno innanzi a una natura profondamente ostile, vista con deformazioni convulse, come hanno fatto i romantici (dai quali è nato l’Espressionismo), con alta e intensa melanconia. […]. Egli sfronda il suo lavoro di tutte le connessioni arbitrarie che lo legano alla quotidianità, mettendo in moto un processo di dissoluzione dei legami, che stringono insieme uomini e cose, facendo apparire sulla tela, o sulla carta, un paesaggio di colline, case, alberi, che ci parlano di una perdita di armonia, di pace, una perdita che non ci allontana dal fantasma di un possibile autogenocidio per mano della natura.
Simone Ferrarini | Pietro Manai. L’urlo dell’anima
18 maggio – 20 luglio 2013
Inaugurazione sabato 18 maggio
Studio Vigato
Via Ghilini 30, Alessandria
Info: www.studiovigato.com
info@studiovigato.com