VENEZIA | Palazzo Donà delle Rose | Fino al 28 luglio 2024
Intervista a FEDERICO SOLMI di Chiara canali
In concomitanza con la 60. edizione de La Biennale di Venezia, si è inaugurata a Venezia presso il seicentesco Palazzo Donà dalle Rose la mostra Solmi – Ship of Fools di Federico Solmi, artista italiano da venticinque anni negli Stati Uniti, premiato dalla fondazione Guggenheim di New York con il John Simon Guggenheim fellowship for Video e Audio (2009) e visiting professor alla Yale University School of Arts and Drama (2017-2022).
Pioniere della New Media Art, tra i primi ad esplorare il confine tra fisico e digitale, Solmi è tornato in Italia, nel suo paese natale, con un progetto espositivo che si snoda in dieci anni di produzione, tra linguaggi eclettici e ibridi che spaziano dal gaming al video, dalla pittura alla ceramica. La mostra fa il punto sulla ricerca artistica di Solmi, articolata attorno a diversi nuclei di opere, dove la produzione pittorica si contamina con le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, in una narrazione corale e sovversiva che recupera la dimensione più sociale e democratica dell’arte.
Tra le novità anche una prima scultura olografica dell’artista intitolata The Alluring Empress, Empress Theodora, frutto della collaborazione tra l’artista e Var Digital Art il progetto no profit di Var Group (ideato da Alessandro Tiezzi e con la direzione artistica di Davide Sarchioni) che mira ad esplorare le contaminazioni tra i linguaggi dell’arte contemporanea e le tecnologie digitali.
Abbiamo incontrato l’artista e gli abbiamo chiesto di raccontarci l’evoluzione di questa grande messa in scena narrativa e metaforica, in attesa dell’ultimo appuntamento, Solmi – The Grand Voyage, previsto per martedì 16 luglio: una serata di approfondimento sul libro multimediale d’arte, ideato da D’ORO D’ART di D’ORO Collection dove saranno presentate opere multimediali uniche dove la tecnica della legatoria si sposa con video arte e mondo digitale.
Tra le opere in mostra troviamo anche The Bacchanalian Ones, un ambiente opulento ed edonista ispirato alla mitologia antica, dove è possibile incontrare le maschere macabre e istrioniche di leader politici, religiosi e militari. Quest’opera si può fruire solo attraverso un’esperienza in realtà virtuale con visore VR e controller (Ocolus Quest 2), attraverso cui il visitatore viene invitato a entrare nel Baccanale con il suo Avatar e a partecipare alla reincarnazione lasciva di questi personaggi, blandendo dai vassoi una coppa di vino oppure gustando della frutta fresca. Come mai ha voluto costruire un progetto immersivo in Realtà Virtuale e quali aspetti hai voluto valorizzare?
Quest’opera, che feci nel 2021 quando uscì nel mercato l’Oculus Quest 2, è stata una vera e propria tappa trasformativa. L’opera The Bacchanalian Ones è il grande salto interattivo, perché viene letteralmente dato in mano al visitatore, che va dai cinque anni ai novanta, uno strumento per vivere l’esperienza dal suo punto di vista. Incoraggiato ed emancipato, il pubblico è in grado di controllare la narrazione e di sperimentare l’opera da vicino e in modo personale, attraverso la sua incarnazione nell’Avatar.
In altre parole, lo spettatore partecipa anziché “osservare”; può agire e comprendere, quindi non c’è né inizio né fine. Lo spettatore ha il potere di completare l’opera con le proprie azioni. In qualsiasi mostra o evento che realizzo, completo sempre il progetto espositivo con questo elemento di entertaiment che spesso manca ai musei e che permette un forte avvicinamento dei giovani e degli anziani al mondo dell’arte contemporanea.
The Bacchanalian Ones è una delle opere che ha avuto più impatto e riscontro nel pubblico, perché se la visione dello schermo emoziona e fa divertire, non consente come nel VR la possibilità di completare l’opera come nel VR.
Sei stato tra i primi artisti a esplorare la dimensione del gaming, combinando l’animazione tradizionale disegnata a mano con modelli digitali, e utilizzando motori di game engine computerizzati. Come mai sei rimasto affascinato dalla gamification?
Sono vent’anni che lavoro con i game engine – i motori dei videogiochi – e in questo lasso di tempo ho portato avanti una ricerca pittorica e scultorea ma sempre unita con le tecnologie digitali. Quello che si vede nella mostra a Venezia è il risultato di vent’anni di sperimentazioni, in quanto ora il livello qualitativo delle tecnologie e la facilità con cui si possono manipolare è molto diversa rispetto al passato.
Il mio primo video ufficiale è del 2004 (vent’anni fa): in quel periodo era uscito il videogioco GTA (Grand Theft Auto) famoso anche in Italia, e così feci il mio primo video in cui misi assieme il disegno animato con i supporti dei motori dei videogiochi. L’idea è stata visionaria ma indovinata, come testimonia il fatto che in questo momento, negli Stati Uniti (dove vivo) sono stato contattato dal mondo museale e universitario che ha dimostrato interesse nei confronti della mia ricerca scientifica.
A settembre inauguro una mostra personale al The Block Museum della Northwestern University di Chicago, considerato il più grande museo universitario in America. Attualmente il Phoenix Art Museum ha chiuso l’acquisizione di una mia opera di Video Painting. Inoltre il Whitney Museum sembra interessato ad acquistare una mia opera in VR.
È un momento storico molto interessante e in evoluzione. Molti musei non riescono più ad attirare i nuovi utenti e le nuove generazioni, quindi intraprendono sempre più spesso la strada delle opere che uniscono l’elemento narrativo con quello del gioco.
Nel suo testo critico in catalogo, lo storico dell’arte Renato Miracco ha dichiarato che l’installazione American Circus a Times Square ha segnato un punto di svolta e ha intuito che queste opere costituiscono i murales del ventunesimo secolo, in quanto strumenti chiave di comunicazione nell’arte pubblica. Quali sono le radici che hanno ispirato la realizzazione di questi grandi affreschi digitali che hai presentato anche sulla facciata del Teatro dell’Opera Schauspiel di Francoforte, in Germania, e presso l’Ocean Flower Island Museum nella città di Danzhou, in Cina?
In questi anni sono riuscito a portare avanti la mia ricerca artistica unendo la sperimentazione tecnologica con una tradizione pittorica senza tempo, perché l’arte digitale diventa obsoleta molto velocemente, mentre la pittura mantiene sempre il suo potere seduttivo. Quando a fine anni Novanta sono andato via dall’Italia, Gianni Politi diceva che “la pittura è morta”. Io credo che l’unica cosa che vive oggi sia la pittura.
Quello che mi ha sempre interessato più di tutto è stato raccontare delle storie, usando l’immagine in movimento in maniera non convenzionale. Nella storia dell’arte chi raccontava storie? Sicuramente gli artisti del Quattrocento e del Rinascimento italiano, e nel Novecento i muralisti messicani che si ispiravano all’arte italiana di Masaccio e Giotto.
Ho avuto la fortuna, in questi anni, di potere fare progetti ambiziosi per Times Square e alle piazze in Germania e in Cina, quindi questa idea del muralismo mi interessa molto perché voglio raccontare storie in maniera satirica, critica, accusando il potere, e al tempo stesso rivolgendomi al popolo nel senso più ampio del termine.
Il titolo della mostra è Solmi – Ship of Fools, come l’omonima opera di 3 metri per 6, ispirata a La Zattera della Medusa di Gericault, un’allegoria della società attuale, con riferimenti alla Repubblica di Platone e a un libro del 1494 di Sebastian Brant intitolato Ship of Fools pubblicato a Basilea. L’opera ritrae su un’imbarcazione alla deriva personaggi storici e contemporanei come Elon Musk, Kim Kardashian, Papa Benedetto XVI, Napoleone, Oprah Winfrey, Cristoforo Colombo, l’Imperatrice Teodora, George Washington e Mark Zuckerberg. Quello che distingue quest’opera (e altre della serie come Melancholia e Joie de Vivre) è la nuova tecnica pittorica, molto più asciutta e sintetica, basata sulle tonalità del bianco e del nero e con poche sfumature di colori fluo. Come mai questa svolta stilistica?
Attraverso quest’opera monumentale ho voluto svelare quello che succede dietro la scena di qualsiasi immagine digitale che viene presentata nel nostro telefono, e l’ho fatto senza copiare o stampare un reticolo digitale su una tela, ma reinterpretandolo personalmente: il dipinto intitolato The Ship of Fools è un lavoro interamente realizzato a mano, che mi ha impegnato per oltre sei mesi nel mio studio di Brooklyn.
Quest’opera è stata prima progettata in digitale, quindi abbiamo dovuto creare tutti i modelli 3D dei personaggi e li abbiamo sviluppati utilizzando software come Autodesk 3Dsmax. Qui ho voluto far vedere come il mondo digitale possa suggerire delle idee per riconfigurare delle opere ambiziose che dal digitale sono poi realizzate secondo i canoni classici. Nelle mie immagini ci sono particolari che sembrano quattrocenteschi e che rimandano al Carnevale rinascimentale, e anche le luci sono orientate come nelle opere classiche. Mi piace far vedere che il mondo digitale non è qualcosa di avulso e lontano da noi, ma diventa una chiave per reinterpretare delle tecniche antiche centinaia o migliaia di anni. Ho voluto trasformare queste opere in un linguaggio poetico, reinventando completamente le linee: ci sono elementi optical che non hanno alcun senso a livello strutturale ma che sono stati fatti per ingannare l’occhio con il virtuosismo tecnico.
Un altro concetto a cui sei legato è quello di Metaverso, in quanto ricrei delle perfette ambientazioni immersive sia nel campo del digitale (per esempio attraverso l’opera in VR) sia nel campo del fisico, sul modello della metafisica di de Chirico che pur essendo un mondo classico è già estremamente futurista. Come sarà secondo te il futuro delle nostre generazioni?
Mi nutro di tecnologia ma sono anche molto triste nel pensare che dopo un percorso così lungo dell’umanità, andremo tutti a finire in un contesto freddo e distaccato dalla natura e dalle nostre radici. Nelle mie opere voglio far respirare la “melanconia” che deriva dal navigare questi mondi.
Credo in un futuro ibrido: come fai a rinunciare all’istinto di calpestare un prato d’erba o di respirare il profumo di un vigneto? Credo che il linguaggio digitale sia una trasformazione incredibile, ma lo vedo più come un vocabolario in espansione, non come un qualcosa che diventa esclusivo.
Anche per quanto riguarda il mondo dell’arte, lo penso come un regno ibrido che fonde realtà fisica e virtuale.
Federico Solmi Solmi – Ship of Fools
a cura di Dorothy Kosinski e Renato Miracco
in partnership con Var Digital Art by Var Group, con il contributo della Thoma Foundation (Chicago – Santa Fe) e il supporto della Phillips Collection di Washington DC.
SOLMI – The Grand Voyage
di Federico Solmi
VDA by Var Group con D’ORO Collection presentano il trittico The Grand Voyage: la dea, il mago, il guerriero.
Editoria, videoarte e innovazione digitale
martedì 16 luglio, ore 19.00
Palazzo Donà dalle Rose
Fondamente Nove, 5038, 30121 Venezia