MILANO | OTHER SIZE GALLERY | FINO AL 24 MAGGIO 2021
Intervista a KARIM EL MAKTAFI e GIUSI AFFRONTI di Carolina Cammi
“L’arte è in pericolo, ma resiste. Porterà in salvo chi la sa comprendere.” Questo il punto di vista del fotografo italo-marocchino Karim El Maktafi che si esprime sulla difficile situazione mondiale che ha coinvolto massicciamente anche il mercato dell’arte. Karim, nonostante la giovane età (nato a Desenzano del Garda nel 1992), è un artista molto sensibile al messaggio che le proprie opere possono trasmettere al prossimo. Da svariati anni, tra i vari progetti, è impegnato nella valorizzazione del patrimonio culturale marocchino, con uno sguardo che prende ispirazione dai grandi fotografi ritrattisti e di reportage, strizzando l’occhio però alla società contemporanea. In questo mix di tradizione e innovazione si colloca la sua ultima mostra fotografica dal titolo Fantasia, curata da Giusi Affronti per gli spazi, interni ed esterni, della galleria Other Size Gallery.
La novità introdotta dalla curatela ha visto protagonista anche l’allestimento, che per l’occasione ha richiesto una rivisitazione degli spazi per accogliere le fotografie di Karim. Fino al 3 maggio, infatti, alcuni scatti sono stati collocati su pannelli pubblicitari nelle vie circostanti la galleria, una soluzione che nasce dalle esigenze attuali, ma che dimostra come da una situazione di crisi generalizzata, possano emergere nuove e riuscite soluzioni.
Il titolo Fantasia prende il nome dall’omonima manifestazione maghrebina, Tbourida in arabo, qui raccontata dal fotografo in una quindicina di scatti. Essi puntano a mostrare il perfetto connubio tra un’antichissima ritualità popolare di corsa equestre e la spiritualità religiosa, per creare uno spettacolo affascinante e mistico. La perfezione si evince negli scatti grazie alla ricerca di quel “momento giusto” che viene immortalato dal fotografo, e vede l’unione tra la potenza del cavallo e l’eleganza del cavaliere e il suo colpo di fucile.
Other Size Gallery sta già preparando la prossima mostra Massimo Siragusa. Posti di lavoro, dal 10 giugno al 23 luglio 2021, lo spazio milanese, non convenzionale, apre una riflessione sul tema, quanto mai attuale, del valore sociale dei luoghi di lavoro intesi come spazi di relazione, creatività, formazione, e non solo di produttività.
Tornando alla mostra in corso, abbiamo avuto l’occasione di intervistare il El Maktafi e la curatrice della mostra, i quali ci hanno fornito interessanti spunti di riflessione su come gli “addetti ai lavori” percepiscano la situazione attuale e quali, secondo loro, potrebbero essere le risposte e le possibili soluzioni.
Karim dalle tue foto traspare un Marocco legato alle tradizioni. La manifestazione raccontata in questi scatti tende a mostrare quanto, dietro al risultato che noi tutti vediamo, ci sia una storia. Qual è stata la tua esperienza e come hai vissuto il tuo periodo di “Fantasia”. In secondo luogo, vorrei che mi spiegassi cosa significa per te Fantasia, dopo avere fatto questa esperienza e cosa ti ha lasciato.
Fin da piccolo mia madre mi ha sempre raccontato di questo gioco tradizionale, e prima di fotografarlo l’avevo visto solo in televisione e in alcuni video online. Sono stato fortunato perché per qualche anno il festival si è tenuto nella città natale di mio padre, dove andiamo ogni estate. Così ho deciso di andare a fotografarlo, realizzando questo piccolo sogno. È stato qualcosa di abbastanza assurdo: mi sembrava di essere tornato nel passato, tutti i vestiti e l’atmosfera erano davvero belli e rendevano l’atmosfera “magica”. È qualcosa che ho provato a comunicare anche con le mie fotografie. Tutto era ricoperto da questa polvere rossa che si alzava verso il cielo, ho un ricordo molto vivo di quei giorni, dove sono riuscito a creare una forte connessione con le mie origini.
Identità, appartenenza e memoria sono alcune delle componenti presenti nei tuoi pluripremiati scatti. In particolare tu sei impegnato in un long-term project sul patrimonio culturale marocchino. Vorrei che mi parlassi della tua poetica. Cosa ti spinge a raccontare attraverso la fotografia, quale è il motore?
Appassionarmi alla fotografia da adolescente è stata la mia salvezza, è stato un modo per imparare a conoscermi e poter trovare una mia dimensione. La fotografia è la forma di linguaggio che più mi appartiene, senza la quale, per me, sarebbe più difficile comunicare. Grazie alla fotografia riesco a raccontare storie, farle vivere agli altri ed entrare in contatto con il mondo esterno. L’identità per me ha un significato ancora in fase di scoperta e comprensione. È un concetto che mi porta a domandarmi altre mille cose: è la lingua che parli? È la terra a cui appartieni o la terra d’origine? È il tuo nome? Le tradizioni famigliari o gli insegnamenti della società e della scuola che definiscono l’identità? Penso che per ognuno di noi l’identità sia una cosa diversa, soprattutto se non vivi più nel tuo paese d’origine ed è anche questo quello che racconto attraverso i miei scatti. È una parola che ritengo si leghi molto al concetto di appartenenza, ed è un qualcosa che cambia nel tempo in base al tipo di vissuto, all’incontro e allo scambio con gli altri. Sono nato in Italia da genitori marocchini, i miei parenti sono tutti marocchini, i miei amici invece sono praticamente tutti italiani. Ho da sempre vissuto questo doppio, da un lato il vivere da italiano e dall’altro vivere all’interno di una casa con tradizioni e cultura marocchina. Ad oggi, sono in possesso di due carte d’identità, italiana e marocchina, a seconda di dove sono devo usare una o l’altra. È stimolante ma anche difficile in alcuni momenti, vivere costantemente la sensazione di appartenenza e non appartenenza, soprattutto in questo periodo storico. Sin da ragazzino, mi sono sempre chiesto chi sono, e crescendo, ho capito e deciso di voler essere entrambe le cose, mantenere viva in me una doppia identità che sto tuttora cercando di comprendere fino in fondo. Tramite le parole e le storie di altre persone provo a dare un significato a questo termine e allo stesso tempo cerco, nel mio piccolo, di combattere i pregiudizi che abbiamo ed esistono in un presente sempre più fatto di barriere.
Karim, oggi 2021, pensi che l’arte sia in pericolo? Permettimi di citare un film che io adoro Midnight in Paris. In quel film il protagonista Gil, scrittore, vorrebbe trovare una via d’uscita ad un presente infelice. La risposta del film di Allen si orienta verso ciò che secondo l’autore gli artisti amano fare, cioè fuggire verso il passato. Gil torna indietro nel tempo, qui incontra Gertrude Stein che, a mio parere, fornisce una definizione chiara di artista: “Compito dell’artista non è di soccombere alla disperazione, ma di trovare un antidoto per la futilità dell’esistenza. L’artista non è chi fugge, ma chi, con la sua opera, cerca di dare senso e speranza di fronte all’insensatezza dell’esistenza”. Ora, facendo le dovute proporzioni con l’attuale situazione mondiale, qual è la tua risposta ad un presente così infelice?
L’arte è in pericolo, ma resiste. Porterà in salvo chi la sa comprendere.
Infine, l’ultima domanda riguarda un evento che ti ha visto inizialmente come spettatore, a cui ha seguito la tua risposta da artista. Dopo l’esposizione degli scatti di Fantasia per le vie di Milano, un anonimo ha disegnato due croci nere sopra le opere. Come hai risposto a questa provocazione?
Non so cosa abbia portato qualcuno ad imbrattare le stampe della mostra all’aperto, ma ce lo aspettavamo, vista la scarsa propensione all’accettazione del “diverso” o dal “lontano da noi” che si respira nel nostro Paese. Probabilmente è stato il tentativo di evidenziare una caratteristica religiosa in contrasto, quando in realtà niente che appartenga alla religione è raffigurato negli scatti esposti. Ho coinvolto subito Zagom, writer di Milano, che ha deciso di trasformare le croci in sciabole, rispondendo in modo costruttivo ad un atto di vandalismo, utilizzando sempre l’arte come mezzo di comunicazione.
Anche la curatrice Giusi Affronti è stata raggiunta dalle mie domande. La Affronti ha incentrato l’esposizione sulla sperimentazione di nuovi linguaggi comunicativi, dando vita a una soluzione che, senza dubbio, si inserisce perfettamente nel panorama attuale, emergendo in quanto testimonianza attiva delle nuove prospettive future che potranno interessare il mercato dell’arte.
Il tuo lavoro di curatela si orienta sempre di più verso la sperimentazione dei linguaggi visivi e comunicativi. Come ritieni che questa mostra possa inserirsi nel tuo percorso di ricerca, e cosa pensi che possa offrire al pubblico di oggi? Vorrei che mi parlassi del percorso che ha condotto alla realizzazione della mostra, da come sia nata l’idea sino al prodotto finale.
Da sempre mi diverte lavorare come curatrice all’interno di spazi non tradizionalmente destinati alla fruizione dei linguaggi della cultura visiva contemporanea: dai co-working alle cucine. La stagione 2020-21 mi ha “allenato” a prevedere per ogni progetto in corso un “piano b”: tradizionalmente il lavoro per una mostra inizia con mesi di anticipo rispetto alla data di apertura; lo status quo, invece, vuole che apprendiamo quali siano le misure di contenimento in atto, con un raggio di programmazione di circa due settimane, quando tutto fila liscio. Le fotografie di Karim El Maktafi raccontano una performance equestre, tra spettacolo e agonismo, tipica del Maghreb: io ho sempre immaginato le fotografie che compongono Fantasia stampate in grande formato, sia le scene corali in cui compaiono le squadre in groppa ai cavalli in corsa sia i ritratti dei cavalieri. È nata così l’idea di trasferire dalla galleria alla strada la mostra per un grande regalo alla città: in un momento in cui passeggiare è rimasta l’unica opportunità di entertainment ho voluto che i cittadini milanesi – impossibilitati a spostarsi altrove e assetati di cultura – potessero imbattersi in un po’ di bellezza e che potessero viaggiare pur restando fermi.
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una tendenza sempre più evidente nell’arte, atta al coinvolgimento del tessuto urbano che diviene parte integrante della ricerca e dell’esposizione. Le nuove necessità di un pubblico sempre più attivo e consapevole, sino alla sconvolgente situazione attuale, hanno probabilmente condotto al nascere di realtà nelle quali il contenuto si sta sempre più affinando e dove il concetto di museografia si pone su altro livello. Ritieni che questo rapporto tra pubblico e mostra possa essere una modalità di esposizione risolutiva sia per le realtà private che per le istituzioni pubbliche, ovviamente adattandola in base alle differenti tipologie di contenuti.
Ai professionisti della cultura quest’ultimo anno ha richiesto resilienza e immaginazione: ci ha insegnato a trasformare l’impossibilità di accogliere il pubblico all’interno dello spazio chiuso della galleria in un’opportunità per sperimentare strategie “allestitive” e, più in generale, “situazioni” – parola usata alla maniera di Allan Kaprow – attraverso cui presentare il lavoro degli artisti. L’idea di allestire il progetto di Karim El Maktafi scegliendo una soluzione “street”, all’interno degli spazi urbani tradizionalmente destinati alla cartellonistica pubblicitaria, implica un incontro accidentale, imprevisto e coatto con il pubblico citando il piglio aggressivo del marketing pubblicitario e la modalità di fruizione delle immagini tipica del web browsing 2.0., in cui finiamo per “condividere” la superficie di tutto senza approfondire niente. Credo che un incontro fortuito con un’immagine (o un immaginario) possa rivelarsi potente e prezioso, un “inciampo” da coltivare.
KARIM EL MAKTAFI. FANTASIA
a cura di Giusi Affronti
14 aprile – 24 maggio 2021
Milano, Other Size Gallery
Orari: lunedì – venerdì, ore 10 – 18. Chiuso sabato e domenica.
Info: +39 02 70006800 | othersizegallery@workness.it