NAPOLI | Museo MADRE | 26 novembre 2016 – 6 marzo 2017
di BEATRICE SALVATORE
Una grande e completa retrospettiva, che qui potremmo sintetizzare come un’attenta indagine delle nostre “proiezioni” sul mondo, ben curata da Laura Cherubini ed Andrea Viliani e organizzata con la collaborazione dello Studio Fabio Mauri, riempie le sale del Museo MADRE, che diventa per l’occasione uno Spazio bianco di riflessioni e suggestioni dell’opera di Fabio Mauri, grande artista e intellettuale, uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia italiana del novecento e del secondo dopoguerra.
Entrare nel lavoro di Mauri non è facile, il suo procedere infatti è un progressivo avvicinarsi e far aderire, l’arte al pensiero, in una sintesi concettuale netta e coraggiosa, che evidenzia soprattutto il senso sottile ed impetuoso del processo, più che del prodotto artistico in sé. Questa mostra, la cura, la scelta dei lavori e il loro allestimento, riesce perfettamente a restituirne l’essenza e l’essenzialità, in un vero e proprio, direi, crescendo visivo ed emotivo. Più di cento le opere, tra installazioni, video, documenti e azioni, che per tutto il periodo della mostra in diversi appuntamenti, riprendono vita attraverso il corpo di performer, e che Mauri ha “scritto” e prodotto lungo il suo cammino di artista totale.
Colpisce la capacità (ed evidentemente la necessità) di Mauri di utilizzare e spaziare fra differenti e vari linguaggi che comprendono pittura, disegno, scultura, installazione e, appunto, performance in una ricerca continua e fluida che negli anni l’artista ha distillato in un suo vocabolario e racconto personalissimo, muovendo la sua ricerca sulle relazioni tra la sfera dell’individuo, quella del pensiero intimo e privato, legato anche alla memoria come forma di costruzione del racconto di sé e la sfera delle grandi costruzioni collettive.
Il percorso è come un viaggio dentro al pensiero, dell’artista, certamente, ma anche nel senso del processo stesso di azioni e pensieri, attraversati ed osservati nel loro costruirsi fino a diventare forma, mettendo letteralmente a nudo attraverso le opere, la struttura impalpabile ed inafferabile delle cose, del Tempo e soprattutto della Storia, e che solo l’arte può restituirci in filigrana rendendocela visibile.
In questi lavori il fare arte (il “procedere”), diventa una sorta di esperimento in vitro, come un modello scientifico riprodotto in laboratorio di tutto quanto in piccoli e grandi eventi ci capita di vivere e che attraverso le nostre strutture culturali, troppo immerse, troppo vicine, difficilmente riusciamo a catalogare e codificare, comprendere. Così Mauri, diventa un tramite, un alchimista che coglie frammenti di vita e li racconta, li ripropone, offrendoci uno specchio privilegiato e crudo, o, come nella famosa serie di lavori che ha attraversato a più riprese la sua opera, uno schermo.
E proprio dalla serie degli “schermi” ― che occupa col suo bianco assoluto, interrotto solo da piccole punteggiature formali che ne modulano il ritmo, le prime sale del museo ― comincia l’esperienza di questa mostra, in cui è chiarissimo l’intento dell’artista di catturare la forma, di dare, finalmente, un corpo, fisico, al pensiero.
Ci muoviamo attraverso piccoli quadri che riproducono semplicemente il bianco riflettente di uno schermo, una riflessione tutta occidentale sul senso del vuoto, e sul rapporto con l’immaginario (che credo sia oggi un reale tema da interrogare), concetto che difficilmente l’uomo contemporaneo (occidentale) riesce a comprendere e che Mauri ci ripropone senza uscire dal linguaggio della sue e nostra cultura, anzi utilizzandolo pienamente ed affidandosi ai segni del linguaggio visivo per eccellenza: il cinema.
Importante infatti è stata anche la sua felice collaborazione con Pier Paolo Pasolini col quale realizzò Intellettuale una performance nel 1975, in cui il regista stesso diviene schermo per il suo film Il Vangelo secondo Matteo (il passaggio avviene ― come in altre opere presenti in mostra, ma anche in altri lavori degli anni duemila, in cui il focus è il proiettore e addirittura l’ambiente circostante e non più lo schermo ― dalla superficie alla fonte, in una radicalissima ricerca sul punctum e sull’origine) e l’opera del 2005, Fabio Mauri e Pier Paolo Pasolini alle prove di Che cosa è il fascismo 1971, ben documentate in questo percorso che idealmente sembra completarsi con la densa e raccolta installazione, anche dalla sonorità ridondante, Il televisore che piange (1972) in cui lo stesso Mauri è ripreso mentre disquisisce solenne sul medium televisivo. Il vuoto sembra qui, per uno slittamento improvviso, divenire mancanza, assenza, anche di senso.
Le complesse teorie di Mauri, non possono dunque non approdare all’indagine dei sistemi culturali che ci avvolgono e della forma del pensiero più assoluta “incarnata” dalle ideologie, che hanno, in vari modi, attraversato e caratterizzato il Novecento: una, la più assoluta e astratta su tutte è quella che poi è diventata l’ideologia nazista, ed è ampiamente analizzata nell’opera di Mauri e qui occupa tutto il piano terra del museo, in una sorta di grande installazione unica capace di restituirci il senso e l’atmosfera di questo drammatico passaggio della Storia: come in Hanno un’idea (1975), installazione fotografica di grandi dimensioni che illustra come in un decalogo le azioni e il pensiero per la perfetta felicità ariana… o in Senza Titolo, video di una performance realizzata in contemporanea con altre due performance Ebrea e Natura/Cultura, in cui una donna, di spalle, con movimenti lentissimi si veste e si spoglia davanti ad uno specchio come in un camerino di teatro e in cui la sua nudità è simbolo potente di un corpo quasi negato, un’origine e un’identità che scompare sotto i tanti travestimenti…
Il percorso espositivo, così coinvolgente e incalzante, che davvero sembra alternare il pieno e il vuoto assoluto della forma, culmina idealmente sulla terrazza del museo: lì campeggia solitaria una bandiera bianca (uno schermo rovesciato?), segno forte di una resa (a cosa?) e forse, di domande necessarie ancora da immaginare.
Fabio Mauri. Retrospettiva a luce solida
a cura di Laura Cherubini, Andrea Viliani
26 novembre 2016 – 6 marzo 2017
Museo MADRE
Re_PUBBLICA MADRE (piano terra), mezzanino,
Sala delle Colonne (primo piano), terzo piano e tetto-terrazzo
via Settembrini 79, Napoli
Info: +39 081 19313016
www.madrenapoli.it