MILANO | Fabbrica Eos Nuova sede | 10 ottobre – 23 novembre 2019
Intervista a FABIO GIAMPIETRO di Matteo Galbiati
Fabio Giampietro (1974) ci ha accolto nella nuova sede di Fabbrica Eos a Milano per presentarci Scraping the Surface, la sua ultima personale dove ritroviamo la vorticosa energia espressa dalle misteriose, oniriche e surreali vedute offerte dai suoi paesaggi metropolitani.
La pittura risucchia le prospettive, elevandoci per farci sprofondare, ci fa sperimentare l’abisso della vertigine, la presenza del vuoto con immagini che ci catapultano all’interno della loro “altra” realtà. Grazie all’interazione con la realtà virtuale 3D, infatti, questi paesaggi diventano “veri”, percorribili e sollecitano i nostri sensi e la nostra visione fino al brivido dell’ignoto. Emerge allora un altro mondo che si nasconde dentro la tela, che emerge dal colore e ci avvolge tutto intorno.
Abbiamo intervistato l’artista per approfondire con lui la conoscenza e la comprensione delle sue sperimentazioni tanto peculiari:
Quali sono stati, nel tempo i soggetti della tua pittura? Come nascono questi ambienti “metropolitani’?
Sono un autodidatta e ho avuto una produzione molto eterogenea prima che la mia ricerca si concentrasse sulla città: nella mia prima mostra, che si è tenuta sempre presso Fabbrica Eos nel 2004, c’erano quadri molto diversi l’uno dall’altro, sia per tecnica che per soggetto, ma già c’erano gli embrioni dei primi soggetti su cui mi sarei soffermato più avanti. È dalle archeologie industriali – in particolare dalle giostre abbandonate – che nascono le viste dall’alto delle megalopoli, in particolare grazie alle intuizioni nate dalla lettura di Delirious New York di Rem Koolhaas. Nella prima parte spiega come il Luna Park di Coney Island sia stato territorio di sperimentazioni sorprendenti, sia tecniche che sociali, atte proprio alla realizzazione dell’utopia della città in verticale. Da lì in poi è stato tutto più chiaro e la città oggi è il cangiante alfabeto che utilizzo per raccontare le mie storie e mettere alla prova la mia ricerca.
Quando hai iniziato a far interagire le vedute vorticose del quadro con la realtà virtuale? Come hai conseguito questi risultati?
Ho iniziato nel 2014, in realtà era da diverso tempo che stavo cercando qualcosa che coinvolgesse chi guarda l’opera in una maniera più totalizzante e stavo rovistando tra le nuove tecnologie dell’interazione senza mai comunque far veramente le corna alla pittura. Sensori, microprocessori, giroscopi ed accelerometri hanno incominciato ad accompagnarsi ai colori ad olio, alle tele e alla tavolozza. Qualche lavoro è anche riuscito ad uscire dallo studio come ad esempio l’altalena Aletide, che abbiamo esposto alla Fabbrica del Vapore e al Canary District a Toronto.
Poi ad un tratto c’è stato il Kickstarter di Palmer Luckey che prometteva questa magia: la tecnologia di Neuromante, di Monnalisa cyperpunk e di tutto il mondo delle mie letture giovanili stava per non essere più fantascienza. Non ho perso tempo, mi sono procurato un prototipo di visore per sviluppatori e ho iniziato subito a sperimentare le possibilità di questa tecnologia e a lavorare su Hyperplanes of Simultaneity (il mio primo progetto di pittura e VR) coinvolgendo l’amico 3D artist Alessio De Vecchi, che ha curato tutta la parte di grafica digitale dei miei primi lavori.
Come hai mutato l’approccio “pittorico” in questo genere di opere? Come è mutata la relazione con la pittura?
Parto sempre da un quadro che dipingo a mano libera, poi creo la sua versione immersiva in realtà virtuale; lo faccio attraverso i software che si utilizzano per gli effetti speciali 3D nel cinema ed ultimamente anche con quelli che si utilizzano per fare i videogiochi, benché siano strumenti di grafica digitale ho una particolare attenzione nel far rimanere evidenti diversi aspetti della pittura anche nella realtà virtuale quali ad esempio la matericità del colore, le pennellate e la trama della tela stessa. Per questo dipingo su altre tele i tantissimi dettagli del mondo virtuale che è tridimensionale e a 360 gradi; fotografo poi ad alta definizione queste tele e le importo nel programma cercando di rendere il mondo digitale il più pittorico possibile senza disperdere l’emozione e il “calore” della pittura. Una volta creato il mondo virtuale ci entro e, girovagando ed osservando, cerco ispirazione per altri quadri. Solitamente per ogni mondo virtuale realizzo tre o quattro opere.
Quanto influisce il processo di “evoluzione” tecnologica sulle potenzialità espressive della tua ricerca?
Da pittore ho cercato di trovare una mia tecnica unica e riconoscibile in un territorio in cui si era già sperimentato di tutto; nell’ambito di questa tecnologia ho potuto, invece, assaporare il gusto impagabile di essere un pioniere. Essere i primi ad avere la possibilità di esprimersi in un modo nuovo in un mondo vivo ed in continua e velocissima evoluzione è un’esaltazione futurista… ZANG TUMB TUMB…
Come interagisce il pubblico quando può vivere l’opera in un’altra dimensione e, soprattutto, quando ci entra letteralmente dentro?
Quando anni fa presentai il progetto Hyperplanes a Palazzo Reale quasi nessuno aveva mai visto i visori, i giornalisti che ne parlarono li definirono nei modi più svariati. Così come furono svariate le reazioni durante le “immersioni nei quadri”: da chi urlava terrorizzato e si bloccava tremando, a chi si è sentito liberato e leggero e voleva trasferirsi nel quadro a vita; da chi si vergognava di essere visto senza poter vedere gli altri, a chi monopolizzava il visore per farsi fare mille foto per i social, non curandosi degli altri visitatori e della mia opera. Sono passato tutti i giorni in mostra, perché era uno spettacolo che poteva insegnarmi qualcosa, dal pensionato con le mani dietro la schiena che dopo mezz’ora immobile nella VR ha esclamato “che quel palazzo lì è storto!”, al ragazzo in carrozzella a cui sembrava di volare. Oggi è diverso, molti hanno già provato la tecnologia, ma l’esperienza e l’osservare coloro a cui sto cercando di comunicare qualcosa mi hanno fatto affinare il modo di creare comunque quello stato di stupore ed estraniamento che riescono ad emozionare ancora come fosse la prima volta… O forse di più.
Cosa vuoi suggerire? Quale esperienza e riflessioni conseguenti vuoi determinare?
Nelle mie opere non ci sono uomini e non c’è natura, ma parlano soprattutto della storia di amore “masochistica” che c’è tra l’uomo e la natura e tra gli uomini riuniti in popoli ed altri uomini. Lo fanno attraverso simboli, magari non evidenti ad una prima lettura, attraverso stili architettonici e le morfologie degli agglomerati urbani; lo fanno suggerendo l’urgenza, invitando ed aiutando a superare la paura, che dà disgusto.
Ti faccio una domanda scomoda… Non credi che l’aspetto “ludico” possa far apparire il lavoro come un “giochino” che svilisce il suo senso più profondo?
Quando ho iniziato avevo questo pensiero, del resto si tratta di una tecnologia che è stata sviluppata per lo più per l’intrattenimento, poi man mano ho visto altri artisti approcciare questo media. In Italia, di questo tipo di ricerche, se ne vedono ben poche e generalmente malfatte. Alla Biennale di Venezia quest’anno c’era un’opera in VR, ma a Londra, quando vinsi il premio per le arti digitali nel 2017, c’erano già gallerie specializzate in realtà virtuale ed importanti fondazioni stanno facendo acquisizioni di opere virtuali. Inoltre il fenomeno della gamification permette, nel marasma di informazioni cui siamo bombardati, di memorizzare meglio. L’esperienza in prima persona stupisce e diverte in primo luogo, ma può veicolare messaggi profondi che agiscono nel subconscio.
Ora una domanda seria: non hai mai pensato ad un’opera interamente digitale? Hai mai realizzato un’installazione in questo senso?
No, sono fortemente legato alla pittura e parto sempre da lì… dalla tela.
Come sta cambiando la dinamica che hai con il “mezzo tecnico”? Penso al lavoro che fai nella lunga e lenta, accurata e meticolosa, programmazione…
Adesso è tutto una novità e sto esplorando, personalmente, le possibilità e i confini di questo nuovo medium, d’altro canto ogni pochi mesi ci sono nuovi software e nuovi hardware aggiornati in continuazione. Continuerà così per molto se ci sarà un’adozione di massa, l’eccitazione è tanta ed i confini continuano ad allargarsi. Penso, comunque, che presto tornerò ad avvalermi di professionisti esterni facendo il committente ed il regista delle opere per concentrarmi sulla dimensione pittorica, che per me rimane sempre la più importante.
Quali progetti vorresti realizzare?
Attualmente sto lavorando ad un progetto a cui tengo molto che unisce la musica e la pittura, ma procedo lentamente perché sto dedicando la maggior parte del tempo alla realtà virtuale, che rimane per me il media del momento. La realizzazione della serie Scraping the Surface mi ha occupato per un anno intero; ognuna delle tele ha un suo mondo virtuale corrispondente unico, confezionato maniacalmente in ogni dettaglio.
C’è un progetto in particolare, molto ambizioso che sarebbe un sogno realizzare, a cui sto lavorando da tre anni, si tratta di una mostra di pittura decentralizzata che avrebbe luogo simultaneamente in diverse città del mondo e permetterebbe a tutti i visitatori di vedersi e comunicare tra di loro in un modo che non svelo adesso… È un lavoro importante in termini di produzione, ma soprattutto un lavoro organizzativo molto dispendioso.
Fabio Giampietro. Scraping the Surface
a cura di Maria Vittoria Baravelli
10 ottobre – 23 novembre 2019
Fabbrica Eos Nuova sede
Viale Pasubio angolo Via Maroncelli, Milano
Orari: da martedì a sabato 10.30-13.00 e 15.30-18.30
Ingresso libero
Info: +39 02 6596532
info@fabbricaeos.it
www.fabbricaeos.it