MILANO | Nuova Galleria Morone | 6 aprile – 1 giugno 2017
Intervista a ETTORE FRANI di Matteo Galbiati
In occasione del suo ritorno a Milano con una mostra personale dopo alcuni anni dalla sua ultima presenza nel capoluogo lombardo, abbiamo intervistato Ettore Frani (1978) che, alla Nuova Galleria Morone, ha portato, per la mostra Ricucire il cielo, un inedito ciclo di lavori, riassuntivo ed esemplificativo dei contenuti della sua visione e ricerca pittorica.
Nelle sue risposte ritroviamo il profondo senso dell’impegno artistico di Frani la cui pittura porta lo sguardo a trascendere dal solo incanto ammirato della rappresentazione estetica:
In questa mostra hai lavorato pensando ad opere completamente inedite, cosa hai voluto proporre?
Come per tutte le precedenti mostre personali, le opere sono state realizzate appositamente per gli spazi della galleria. In questa occasione abbiamo cercato di riassumere un po’ quelle che sono le mie urgenze attuali, concentrandoci su soggetti che restituissero una visione quanto più ampia possibile della mia ricerca: il volto umano, il paesaggio e l’oggetto comune, sino a giungere alla totale assenza e sparizione della figura.
Che percorso hai creato? Come si muove lo sguardo del visitatore? Che genere di opere incontra?
Tutte le opere sono state concepite in dialogo tra loro, in un continuo rimando fatto di analogie, contrasti e similitudini. Assieme alla mia stretta collaboratrice Paola Feraiorni, da sempre curatrice insieme a me del lavoro, si è pensato primariamente, nella realizzazione e dunque nell’allestimento del progetto espositivo, di creare un dialogo tra le opere soprattutto di tipo frontale, anche se poi, lo sguardo dello spettatore, potrà cogliere la relazione nascosta ed essenziale che queste, nella loro totalità, tentano di restituire. I soggetti dei dipinti, così apparentemente esposti nella loro rappresentazione e riconoscibilità, intimi e allo stesso tempo universali, provano ad accostare il mistero visibile alla luce del giorno.
Spirito e corpo, anima e intelletto, passione e sentimento sembrano essere le opposte e congruenti polarità che dominano le tensioni interiori delle tue immagini. Come si riverberano in ciascun lavoro?
Ritengo che questa polarità sia indispensabile e intrinseca nel mio lavoro. Non potrei disgiungere aspetti così interconnessi ed essenziali all’opera, pena il fallimento dell’immagine. Credo che questo si realizzi ed emerga in ogni dipinto riuscito, ovvero nel momento in cui si raggiunge quel perfetto equilibrio tra forma e contenuto, tra tecnica espressiva e sentimento. Ogni soggetto vive, già di per sé, in un doppio regno; si tratta più che altro, allora, di porre una nuova e differente luce sulle cose, un nuovo sguardo, che anche lo spettatore è chiamato ad assumere affinché l’opera riesca nella sua totalità.
Su tutto domina comunque la Natura: come viene letta dalla tua pittura? Cosa interpreta nelle tue opere? Che valori porta?
La Natura, certo, il mistero alla luce del giorno a cui mi riferivo prima. Essa è specchio e crogiolo di ogni trasformazione, in cui l’uomo può riflettersi e pensarsi altrimenti. Sento la Natura come un qualcosa di intimo a cui tutti apparteniamo ma, al contempo, è anche ciò che sottolinea la nostra diversità e solitudine. È attraverso la sua rappresentazione che tento non la comunicazione, ma la comunione con gli altri. Essa è un luogo universale in cui, forse, è ancora possibile comprendersi condividendo gli stessi interrogativi. Un luogo comunitario che trascende la nostra limitata singolarità, che parla di noi e per noi, dei nostri desideri e paure, che poi, credo, siano da sempre le stesse. È evidente che si stia perdendo oggigiorno il contatto con essa; stiamo vivendo gli inizi di una nuova, per me preoccupante, trasformazione antropologica. Trovo importante, pertanto, riflettere su cosa sia questa alterità che ci sopravanza e ci ridimensiona, che vince, nonostante tutto, il nostro smisurato antropocentrismo e la nostra deleteria arroganza. La Natura ci insegna valori differenti, limita il nostro potere indicandoci un diverso modo di vivere il tempo e la vita.
Come si delinea il mistero che avvolge tutte le tue opere? Dove si radicano le interrogazioni che si celano dietro all’evanescente precisione del tuo segno pittorico che, dopo aver stupito per l’innegabile qualità, rimandano ad un senso più penetrante?
Ogni cosa ha in sé un mistero. L’uso del monocromo, che da ormai vent’anni utilizzo, mi aiuta a isolare, attraverso la scarnificazione e la riduzione dell’immagine, il soggetto, che così emerge dal suo contesto in una nuova luce, assumendo dunque un nuovo senso. Senso che però non si definisce mai pienamente, ma che muove l’opera sempre verso un’altra possibile apertura-lettura. Ogni volta che mi pongo di fronte al bianco della tavola “vuota”, tento di riportare in superficie ciò che più profondamente riconosco come esperienza intima, vera ed essenziale e che, una volta emersa attraverso l’immagine, diviene altro dal vissuto soggettivo entrando in risonanza con l’esperienza dell’altro. Questo è almeno quanto spero. Tramutare la solitudine in apertura è ciò che anelo di fare con la pittura.
Mondo reale e spazio onirico dove si coniugano le reciproche segrete corrispondenze? Come si connettono o entrano in simbiosi questi universi paralleli?
Le parole dedicate al mio lavoro da Silvano Petrosino, in occasione di questa personale, rappresentano una lettura puntuale e magnifica di quello che tento di delineare con la mia ricerca. Il mondo contingente, ogni cosa con cui veniamo in contatto, e in primis l’uomo, sono abitati da un’alterità ineludibile. Ogni cosa vive di questo meraviglioso intreccio, in quel doppio regno che si pone in quel limen dinamico, tra un “qua” a noi prossimo ed un “là” segnato dall’altrove, e ciò avviene sempre in una condizione di simultaneità e mai di alternanza. Ogni soggetto è contemporaneamente una cosa ma anche l’altra, e ogni cosa mi sembra che intrattenga con il resto misteriose corrispondenze e analogie.
La tua pittura si rinnova sempre, pur mantenendo la propria coerenza, ma dove guarda Ettore Frani oggi? Come pensi sia cambiata la tua ricerca negli anni?
Sicuramente non guarda al compiacente nichilismo e cinismo che vedo sempre più fiorente nel mondo contemporaneo. L’esperienza maturata finora mi conferma, inoltre, che la mia pittura guarda altrove rispetto alla stringente attualità artistica, ma certamente non si rivolge al passato con nostalgia. I temi nodali che appartengono da sempre all’uomo, legati alla vita e alla morte, inerenti al tempo, ma fuori dal tempo e dunque eterni, sono i luoghi che visito e continuamente interrogo. La mia ricerca procede in simbiosi con le esperienze della mia vita e necessariamente si trasforma maturando con e attraverso essa. La pittura e l’esperienza con l’altro è un mezzo per me fondamentale per comprendermi e avvicinarmi sempre più a ciò che più essenzialmente mi appartiene. È una ricerca continua che non accetta scorciatoie o falsificazioni. Ogni volta che si tenta una mistificazione, la pittura riporta sempre al vero riflesso di ciò che si è. Lo sguardo sul mondo, e con esso la pittura, mutano attraverso la maggiore consapevolezza che ho di me e pertanto il “luogo” verso cui guardare è, nella mia esperienza, sempre interiore.
La ricerca in questi ultimi anni, in sostanza, si è avvicinata sempre più alle cose, al contingente. Anni fa tutto era più lontano, velato, disincarnato. Metafisico direi. I cambiamenti nella mia vita mi hanno portato ad aprire ed ampliare il numero dei soggetti naturali ma anche, più significativamente, a trasformare quello della figura umana che dall’astrazione più generica si è via via identificato in un unico modello. La tecnica pittorica, in generale, si è fatta più dettagliata e raffinata, mostrando senza più timori le proprie possibilità, abbandonando del tutto la casualità e la gestualità a favore di una rappresentazione maggiormente aderente al dato realistico.
Cosa ha rappresentato questa mostra a Milano, città da cui mancavi da un po’ di tempo?
In effetti mancavo dalla personale tenutasi dopo la vincita del Premio San Fedele nel 2010. Sicuramente ora questa mostra, assieme alla personale L’ombra e la grazia allestita presso lo Spazio Aperto San Fedele, segna l’inizio di una nuova fase e Milano è certo una città da cui ripartire.
A quali nuove opere stai lavorando?
A breve avrò la possibilità ed il piacere di dialogare, in una doppia personale, con un grande fotografo, Yamamoto Masao. Questo evento mi stimola davvero molto, soprattutto per la grande assonanza poetica che ho scoperto esistere tra noi. Le nuove opere si concentreranno sulle suggestioni e riflessioni evocate dalla grande tradizione orientale che comunque da sempre sento affine al mio lavoro.
Ettore Frani. Ricucire il cielo
catalogo con testi di Ilaria Bignotti e Silvano Petrosino
6 aprile – 1 giugno 2017
Nuova Galleria Morone
Via Nerino 3, Milano
Orari: da lunedì a venerdì ore 11.00-19.00; sabato 15.00-19.00 (la galleria dal mese di maggio resterà chiusa il sabato)
Info: +39 02 72001994
info@nuovagalleriamorone.com
www.nuovagalleriamorone.com