ROMA | PALAZZO CIPOLLA | 29 settembre 2021 – 30 gennaio 2022
di ANTONELLO TOLVE
Dell’information superhighway, etichetta coniata come sappiamo da Nam June Paik nel 1974 e ormai evoluta, trasformata in un discorso sempre più fluttuante e soffice dove l’artista è spesso visto come un manipolatore, come un informatico, come un prestigiatore che si avvale di codici legati all’ampio spettro dell’elettrologia e alle varie strategie computazionali per restituire un equilibrio – o, se vogliamo, una tensione attiva – tra la freddezza del calcolo e l’immagine liquida (a volte anche solida) percepita, Quayola è nome ormai consolidato, voce creativa capace «di sorprendere con astuzia l’astuzia del programma» (Flusser) o anche di costringere l’apparato a fare qualcosa per cui non era stato costruito.
Muovendosi con disinvoltura tra le maglie della software art e quelle del parametric design, del digital signal processing o della robotica in generale, Quayola (al secolo Davide Quagliola, nato a Roma nel 1982 ma di stanza a Londra da circa vent’anni) crea da tempo atmosfere galleggianti, controspazi di simulazione e simultaneità, scenari ambigui, illusioni razionali potentemente aperte a statuti analitici e metalinguistici, a forme e formule in cui è possibile percepire l’attimo della variazione, la comportamentalità del software generativo, la processualità con cui l’algoritmo matematico sviluppa, amplifica, espande, aumenta, accresce, acuisce, geometrizza, traduce e diserta il vecchio per concepire il nuovo che avanza (che si arresta?), a volte, senza sosta.
A questo suo mondo ondeggiante e cristallino e pulviscolare e reticolare dove la trinità di termini natura-cultura-tecnologia si fondono e confondono per proporre allo spettatore una nueva densidad (Jiménez) di immagini, la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale presieduta da Emmanuele F. M. Emanuele, ha dedicato una recente e imperdibile personale organizzata negli spazi espositivi del neorinascimentale Palazzo Cipolla, per porre al centro dell’attenzione un percorso creativo in cui il compenetrarsi di storia dell’arte e di storia delle idee sembrano «façonner et de donner vie», mediante calcolatori numerici e simbolici o linguaggi logico-matematici, «à de nouveaux êtres, intermédiaires» (le parole sono di Philippe Quéau), capaci di rispondere, forse, alle urgenze del presente, o anche di giocare con le infinite possibilità che prospetta il futuro.
Ricca di diastemi temporospaziali, di vibrazioni picnolessiche, di materialità (Laocoön #D20-Q1 del 2016 è una scultura realizzata in polvere di resina e marmo che presenta la figura di Laocoonte intrappolata in un reticolo di volumi geometrici) e immaterialità, di camaleontici e labirintici punti di vista, questa brillante antologica di Quayola (il titolo della mostra è re-coding) curata da Jérôme Neutres e Valentino Catricalà si divide in tre aree d’intervento – Iconografia classica, Non-Finito e Pittura di paesaggio – che caratterizzano l’attenzione mostrata dall’artista nei confronti di importanti capolavori o movimenti della storia dell’arte, decostruiti, corpuscolarizzati, azionati, trasformati in tecnoimmagini tese a farsi figure, unità minime di senso (utilizzo il termine figura nell’accezione di Filiberto Menna), cromemi e formemi la cui luminosità spinge lo spettatore sul solco riflessivo di una estetica della formatività che fa scorgere l’opera come una sorta di documento che documenta le varie fasi di un processo, di un procedere-verso, di un progetto (pro-iacere). La macchina di fresatura utilizzata, ad esempio, nei non finiti della sequenza di sculture nate dall’installazione performativa Sculpture Factory lascia scoprire i vari strati (la serie di Pluto and Proserpina del 2019 mostra il michelangiolesco sottrarre svuotando), la processualità del lavoro, lo scavo di regole codificate, renderizzate in set di informazioni e trasferite lettura della macchina.
Tra le varie installazioni audiovisive immersive, tra i quadri digitali e le stampe astratte (generate da alcune immagini di artisti quali Raffaello, Botticelli, Rubens), tra i meravigliosi e spigolosi mixaggi dove il calcolatore diventa per l’artista un collaboratore costante, in mostra è presente (le opere selezionate sono tutte realizzate tra il 2017 e il 2021), nell’ambito del prezioso spaccato dedicato al paesaggio, un polittico video davvero straordinario, legato alle dinamiche del movimento pittorico che Félix Fénéon ebbe a definire pointillisme. Si tratta di New Composition (2021), una sorta di prezioso digital sound-painting (di trittico pittosonoro digitale) in cui emerge chiara, poeticamente chiara, la volontà di mostrare al pubblico qualcosa di vivente, di variante, di liricamente calcolato: quasi una impalpabile tela che viene dipinta in tempo reale e che sposta l’asse dalla rappresentazione all’azione, dalla contemplazione all’innesco del tempo processuale, dove la regola e il caso lasciano intravedere la visibilità del ripensamento, il pensiero artificiale che riproduce (ripensa, riarticola) il pensiero dell’artista che ha pensato e generato l’algoritmo pensando all’artista del passato (chissà, magari a Seurat), chiuso nel suo studio, nell’atto di esercitare – sulla tela – la sua teoria della pittura.
QUAYOLA. re-coding
a cura di Jérôme Neutres e Valentino Catricalà
Ente promotore: Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale
Ente organizzatore: Poema Spa
29 settembre 2021 – 30 gennaio 2022
Palazzo Cipolla
Via del Corso 320, Roma