AREZZO | Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea | Fino al 2 giugno 2024
Intervista a SERGIO LOMBARDO di Tommaso Evangelista
Sergio Lombardo, nato a Roma nel 1939, si distingue come una figura multiforme nell’ambito dell’arte contemporanea italiana. Dopo gli studi classici e di giurisprudenza si è dedicato alla ricerca artistica e alla psicologia sperimentale dell’estetica. È fondatore della Teoria Eventualista, da cui è nato un movimento artistico e teorico basato su metodi sperimentali. Esordisce come artista nei primi anni Sessanta insieme ai protagonisti della Scuola di Piazza del Popolo presso la galleria La Tartaruga esponendo con Rotella, Kounellis, Schifano, Festa, Angeli, Mambor, Tacchi, Ceroli e Pascali.
Nel 1970 ha ottenuto una sala personale al Padiglione Centrale della Biennale di Venezia, dove espose ancora nel 1993, 2009, 2013. La sua carriera, che spazia oltre sei decenni, è caratterizzata da una continua ricerca e sperimentazione, sia sul piano concettuale che formale. Attraverso la sua ricerca, Lombardo ha costantemente sfidato i confini dell’arte tradizionale, esplorando nuove forme espressive e modalità di interazione con il pubblico. La sua influenza e il suo impatto sull’arte contemporanea continuano a essere riconosciuti e celebrati in tutto il mondo.
La mostra Sergio Lombardo 1960-1970 da poco chiusa, tenutasi presso la sede espositiva di Villa delle Rose a Bologna, ha offerto una prospettiva unica sul decennio iniziale della carriera dell’artista e psicologo romano. Curata da Anna Mecugni, esperta di arte italiana del dopoguerra e di arte internazionale del XXI secolo, l’esposizione ha gettato una nuova luce sulle prime fasi del percorso di Lombardo, documentando il suo passaggio cruciale dalla pratica pittorica tradizionale alla ricerca concettuale che ha caratterizzato le sue opere a partire dal 1965. Presentando un’ampia selezione di collage, oggetti e installazioni provenienti da serie pionieristiche come Superquadri, Supercomponibili, Punti Extra e Sfere con sirena, la mostra ha rivelato il ruolo di Lombardo come uno dei protagonisti italiani nel rinnovamento del linguaggio artistico europeo e internazionale dalla fine degli anni Cinquanta. Attraverso opere poco conosciute ma significative, Lombardo è emerso come un pioniere nell’esplorazione di strategie per coinvolgere attivamente il pubblico nella fruizione dell’arte, anticipando tematiche e modalità di interazione che rimangono attuali ancora oggi.
Arezzo invece ha accolto da poco la mostra Sergio Lombardo. Una programmatica differenza, che offre una panoramica completa sulla lunga e poliforme carriera dell’artista. Curata da Moira Chiavarini e Simone Zacchini, questa esposizione copre un arco temporale che va dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri, presentando un’accurata selezione di opere pittoriche, scultoree e installative, insieme a lavori recenti inediti e materiali documentari provenienti dall’archivio dell’artista. Attraverso questa mostra si testimonia l’estrema coerenza teorica che caratterizza le diverse fasi della sua ricerca artistica. Particolarmente significative sono le Stochastic Unpredictable Faces, facce generate da algoritmi stocastici che rappresentano l’ultima frontiera della sua ricerca artistica. L’occasione è propizia anche per presentare al pubblico i suoi fondamentali scritti, raccolti nel libro “Sergio Lombardo. Scritti. Volume I. 1963-1999″, edito da Magonza a fine 2023. Abbiamo realizzato con l’artista una lunga e illuminante intervista.
Come hai visto cambiare il ruolo degli artisti e delle istituzioni artistiche durante questo periodo di transizione culturale?
L’arte stessa è cambiata in modo irreversibile negli ultimi decenni, anche se gran parte dei cambiamenti erano stati intuiti durante il tremendo lavoro di critica epistemologica avvenuto all’interno delle avanguardie che si sono susseguite durante tutto il secolo scorso. Molti concetti estetici, che io ritengo ormai superati, sono però purtroppo ancora considerati validi dalla maggior parte degli studiosi di storia dell’arte e dagli artisti: l’abilità artigianale, lo stile, la creatività senza uno scopo preciso, l’espressione arbitraria di contenuti soggettivi. Altri concetti apparentemente nuovi, ma anch’essi, secondo me, superati, nascono dalla spasmodica ricerca di uno stile originale: la trasgressione provocatoria (Cattelan), la battuta smart (Banksy), il riciclaggio tecnologico senza nuovi scopi (Chat GPT. eccetera), l’arte digitale priva di una nuova teoria estetica (da Laposky a Mandelbrot, dagli attrattori strani al caos deterministico), l’esibizionismo sui social (milioni di designer, venditori di croste e altre stranezze). In questo infinito horror vacui postmodernista, ogni sedicente artista s’inventa il proprio stile, la propria storia dell’arte, senza mai, ripeto mai, definire che cosa sia l’arte, dunque affidandosi ciecamente al giudizio del mercato. A me sembra assurdo che si deleghi al mercato di definire la propria identità.
Qual è stata la tua motivazione principale nello sviluppare la teoria eventualista e in che modo ritieni che si differenzi dalle altre teorie estetiche esistenti?
Contro un mondo che confonde la libertà con l’arbitrio, quindi soggetto alla dittatura del più forte, ho cercato di costruire una teoria estetica operativa e misurabile. Questo era il mio scopo. Senza una formulazione scientifica qualsiasi teoria è arbitraria. Le teorie estetiche finora sono state fondate su opinioni critiche o su teorie filosofiche in competizione fra loro senza che nessuna di esse potesse prevalere, perché non erano misurabili, quindi non erano scientifiche. La competizione culturale era basata sulle capacità retoriche del critico, non su fatti e misurazioni confrontabili; perciò, queste teorie erano adatte solo a fare intrattenimento per fanatici intellettuali. Contro questi critici da salotto il mercato e la finanza internazionali hanno schierato un valore misurabile con estrema precisione: il prezzo d’asta. Un valore imbattibile. Era ovvio che i critici da salotto si sarebbero affrettati ad esaltare gli artisti più costosi e più sostenuti dal sistema finanziario. Dopo il 1964, quando l’Europa cedette agli USA il primato culturale, la critica d’arte da salotto fu asservita sempre più al mercato. Le riviste d’arte, avide di vendere pubblicità, divulgavano solo gli artisti più costosi, quelli americani. Si formarono giganteschi monopoli internazionali con sede negli Stati Uniti. I critici italiani diminuirono, ma quei pochi rimasti diventarono sempre più autorevoli, spartendosi il sotto-monopolio dell’Italia postmoderna. Alla fine degli anni Settanta erano rimasti sostanzialmente in tre: Germano Celant, Achille Bonito Oliva e Maurizio Calvesi.
Come hai integrato concetti provenienti da discipline così diverse per creare un quadro teorico coeso e completo?
Negli anni del triunvirato critico avevo capito che l’Italia non poteva competere contro i monopoli internazionali e che quindi l’arte italiana sarebbe diventata un prodotto sempre più secondario rispetto all’arte americana, sarebbe diventata l’arte americana dei poveri. Perciò dopo il 1964 ho cominciato a distaccarmi dalla critica, dal mercato e dalle gallerie d’arte, avvicinandomi invece all’Università. Nel 1977 ho fondato Jartrakor, un centro di ricerca sperimentale e spazio espositivo autonomo senza scopo di lucro. Nel 1979 ho fondato la Rivista di Psicologia dell’Arte. Nel 1980 ho vinto la cattedra di Teoria della Percezione e Psicologia della Forma presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Come psicologo dell’arte e membro dell’International Association of Empirical Aesthetics ho tenuto conferenze in tutto il mondo e sono stato eletto active member dell’International Informatization Academy di Mosca. Ho inventato l’Eventualismo continuando a fare avanguardia come ricercatore scientifico prima che come artista. Ho dovuto integrare ricerche provenienti da discipline diverse perché nessuno in quell’epoca si sognava di creare un’estetica scientifica che sfidasse l’arte commerciale.
Hai osservato cambiamenti nel panorama artistico o culturale a seguito della diffusione della teoria eventualista? In che modo la tua visione dell’arte e dell’estetica ha contribuito a ridefinire i paradigmi esistenti?
Gli studiosi da salotto legati al mercato e ai monopoli internazionali non ammetteranno mai di aver usato le mie idee per insaporire i loro artisti. Basterebbe guardare le date e rispettare la completezza scientifica. Gli studiosi incompleti si occupano solo di chi conoscono loro, azzardano storie dell’arte unilaterali, salvo poi rimanere a bocca aperta quando confrontano le date. Nel 1972 in un’intervista con Marisa Volpi feci questa dichiarazione: “Il mio lavoro è la ricerca di strumenti capaci di provocare un comportamento attivo nel pubblico, o in determinati individui. Questo comportamento è imprevedibile e irripetibile, perciò, al contrario dell’arte tradizionale, non può essere conservato nel tempo, né può essere commerciato. Tuttavia, gli strumenti usati e la documentazione dei risultati possono subire i processi normalmente riservati all’arte, sebbene non posseggano più alcun significato e la loro specifica funzione sia stata saturata. Mentre l’arte tradizionale produce oggetti eterni e immutabili, il mio lavoro riguarda il comportamento umano accidentale, che non si ripete mai allo stesso modo” (Marisa Volpi: L’arte, domani, in “Futuribili”, Anno VI, nn. 42-43, 1972). Oggi molti critici condividerebbero questo punto di vista, peccato che erroneamente ne attribuiscano l’origine a testi americani o francesi scritti molto più tardi.
Quali sono stati i principali cambiamenti o sviluppi dell’approccio eventualista nel corso degli anni e cosa ti motiva a esplorare continuamente nuove forme e ricerche nell’ambito di questa teoria?
L’approccio eventualista deve essere riferito a tutto il mio lavoro artistico a cominciare dai Monocromi del 1958. La teoria non ha subito cambiamenti, solo approfondimenti e allargamenti degli ambiti di applicabilità. L’Eventualismo non persegue la ricerca di una cifra stilistica personale, è l’applicazione di un metodo scientifico alla ricerca di risultati estetici imprevedibili, sempre diversi e possibilmente sempre più profondi. Ma misurabili.
Come pensi che l’Eventualismo possa contribuire al dibattito più ampio sulla natura dell’arte e sulla sua relazione con la società e la cultura, anche alla luce dei recenti progressi nel campo dell’Intelligenza Artificiale?
L’Eventualismo è un metodo completamente diverso, direi opposto, a quello dell’AI text-to-image. Con una battuta facile potrei chiamarlo AI image-to-texts. Quando gli studiosi incompleti se ne accorgeranno, scopriranno l’Eventualismo. L’errore dell’AI test-to-image è lo stesso errore che commise il creatore di un notissimo test standardizzato per misurare l’intelligenza (IQ) degli studenti. Quando si accorse che nella realtà della vita spesso avevano avuto più successo (secondo gli standard USA del 1950) gli studenti che avevano ottenuto il punteggio IQ più basso, dovette aggiungere un parametro nuovo che chiamò “creatività”, o intelligenza “divergente” (Guilford 1950). La creatività, infatti, non può essere la media delle idee condivise dalle persone normali, non può tendere verso il centro della curva di Gauss, ma deve divergere verso gli estremi. Peccato che gli estremi della curva di Gauss rappresentino qualità opposte; infatti, si può essere estremi sia in quanto geniali, sia in quanto stupidi (ho trattato più estesamente questo argomento in: Requisiti scientifici della psicologia dell’arte II. La creatività dell’artista. In Rivista di Psicologia dell’Arte, NS, a. XXII, n. 12, 2001). Per ora la creatività dell’AI text-to-image non riesce a scegliere fra genialità e stupidità e “converge” verso l’interno della media.
Come valuti il rapporto tra arte e tecnologia nell’era digitale? Credi che la tecnologia abbia ampliato o limitato le possibilità creative degli artisti?
La tecnologia ha raggiunto livelli finora impensabili, ha ampliato le possibilità creative ed evolutive di tutta l’umanità. Quindi anche quelle degli artisti. Purtroppo, questo cambiamento da solo non è determinante per gli artisti. Dopo l’invenzione della macchina da scrivere i poeti hanno iniziato a scrivere a macchina, ma non sono diventati poeti a causa della macchina da scrivere. Inoltre, l’AI viene quasi sempre utilizzata al contrario. Tutte le persone normali senza particolari talenti, senza inventare alcuna teoria estetica, oggi attraverso la tecnologia digitale sono in grado di creare con facilità prodotti visuali che, se fossero stati creati 100 anni prima sarebbero stati forse interessanti. Purtroppo, di questi prodotti ce ne sono così tanti da risultare mediocrissimi lavori artigianali. Anche dopo l’Impressionismo la tecnologia industriale produsse tele, telai, pennelli e colori sempre più belli e sempre più accessibili, perciò si formarono masse di dilettanti in grado di dipingere quadri “en plein air” artigianalmente impeccabili, persino paragonabili a quelli degli impressionisti storici. In quella stessa epoca però, mentre i dilettanti usavano la tecnologia avanzata per imitare gli impressionisti, i veri geni inventavano il Futurismo.
Hai speso molte parole sulla differenza in l’Italia tra il successo internazionale degli artisti della generazione anni ’60 e la deriva passatista degli anni ’70. Di quella generazione, oltre ad essere tra i pochi rimasti, sei stato tra gli artisti che non ha rinnegato l’avanguardia. Oggi, alla luce della pubblicazione di un’importante mole di tuoi scritti, ti senti un sopravvissuto? Qual è stato l’impatto della demonizzazione delle teorie artistiche durante gli anni ’70 e ’80 sull’evoluzione dell’arte italiana?
Effettivamente già nel 1974 Giorgio de Marchis scriveva (Apax legomena, L’Espresso, 12 maggio 1974) che ero un sopravvissuto perché non avevo rinnegato l’avanguardia: “Un artista schifiltoso dalle scarze grazie poetiche… l’unico sopravvissuto al naufragio dell’avanguardia”.
E infatti in quegli anni “di piombo” l’Italia ebbe un tracollo culturale, tornarono i sindacati degli artisti, come nella Russia di Stalin. Dovevi essere iscritto ad un partito istituzionale, altrimenti venivi considerato un sovversivo, o un probabile terrorista. Venivi filtrato dal “triumvirato” della critica d’arte per esporre in sedi istituzionali. Solo quella che ho definito “arte americana dei poveri”, oppure l’arte anacronista e citazionista erano accettate nel sistema dell’arte postmoderno. Qualsiasi altra teoria estetica era sospetta, veniva considerata come “ideologia” potenzialmente sovversiva. Questo clima ostile alla cultura e vietato alla ricerca sterilizzò l’arte italiana. Tutti gli artisti italiani dovevano essere spiegati attraverso qualche predecessore americano, oppure dovevano essere nati dal nulla, senza padri e senza maestri. L’assurda teoria che gli artisti nascono dal nulla, come i miracoli, è ancora oggi ben rappresentata nelle nostre istituzioni: si fanno mostre di “artisti emergenti”, si parla con entusiasmo di “giovani artisti”, ma se la continuità storica della ricerca è stata interrotta, l’unico pregio di questi “artisti” è la data di nascita.
Sergio Lombardo. Una programmatica differenza
a cura di Moira Chiavarini e Simone Zacchini
nell’ambito del progetto Galleria Aperta, a cura di Alessandro Sarteanesi e Marco Pierini, organizzato dalla Fondazione Guido d’Arezzo e dall’associazione culturale Le Nuove Stanze e Magonza, con il patrocinio del Ministero della Cultura e con la collaborazione dell’Archivio Sergio Lombardo.
26 marzo – 2 giugno 2024
Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea
Piazza S. Francesco 4, Arezzo
Orari: mercoledì ore 15.00 – 19.00 | da giovedì a domenica ore 11.00 – 19.00
Aperto i festivi (11.00 – 19.00) e in caso di eventi speciali in calendario