BOLOGNA | LABS CONTEMPORARY ART | FINO AL 26 GIUGNO 2021
Intervista a GIUSEPPE DE MATTIA di Maria Chiara Wang
Narrazioni brevi – prima personale di Giuseppe De Mattia nel capoluogo emiliano, ospitata alla Labs Contemporary Art – è una mostra che può essere letta su più piani. Da un lato vi è il racconto della relazione dell’artista con la città di Bologna, dall’altro lo sguardo si allarga al rapporto tra memoria e contemporaneità attraverso l’uso di media differenti come fotografia, video e disegno, in ultimo gli otto testi brevi, uno per opera in esposizione, a firma di altrettanti curatori, offrono l’occasione per indagare gli elementi della ricerca dell’artista pugliese e per approfondire temi più ampi legati al sistema dell’arte. Si giunge così a discutere di argomenti quali: il mercato dell’arte, la funzione della pittura, il ruolo e l’uso sia dell’immagine che della scrittura, l’autorialità.
Nel testo per Decorazioni per cavalli da guerra, Maura Pozzati scrive: «il rapporto tra il cavallo e il cavaliere è simile a quello che esiste tra l’artista e la pittura: bisogna essere preparati e mentalmente forti per domarla perché la pittura è una bestia». Qual è il tuo rapporto con la pittura e, più in generale, quale posto e ruolo ricopre la pittura nel panorama artistico attuale?
Ho una bella collezione di pennelli, ne compro continuamente e a volte il mio lavoro ha bisogno di un supporto simile alla pittura: vernice su tela. Infatti utilizzo solo l’acrilico e tinte piatte, perché sono più semplici da dosare. La pittura che io uso ha altra funzione ed esigenza rispetto a quella di un pittore, sono riempimenti di forme o segni semplici che ricopiano un modello esistente dal vero o in fotografia. A volte è un disegno a vernice di grande formato, a volte uno strumento per cancellare o arricchire una fotografia. Può essere su carta, su tela o su PVC, ma non è pittura.
Non saprei dirti che ruolo occupi, penso che sarà importante e resistente ad ogni forma di avanguardia tecnica. Per quanto mi riguarda, continuerò a guardarla sempre con grande ammirazione.
Lorenzo Balbi, relativamente a Tre forme semplici, autonome e rotanti, dirige l’attenzione alla processualità del tuo lavoro legata all’indagine sull’immagine e alla sua trasfigurazione. Puoi approfondire questo aspetto della tua ricerca?
Lorenzo mi conosce bene e sa che con semplicità cerco sempre di complicarmi la vita, di guardare un oggetto sotto tutti i punti di vista possibili. In questa serie, quella delle Forme Semplici intendo, parto da un’immagine esistente che fa parte del rimosso per sua natura. È un fotogramma che sarebbe sfuggito all’attenzione dello sguardo, poiché uno di sedici per ogni secondo di filmino a cui appartiene. Nonostante ciò, io mi focalizzo sulle prime tre forme semplici che ne derivano e le trasformo nell’opera più grande e ambientale dell’intera mostra. Diventa un’installazione in cui puoi inciampare o in cui devi sbatterci il naso. L’immagine in generale, nel mio lavoro, è quasi sempre un grilletto che fa scaturire altro. Questo mi interessa dagli esordi, anche da quando facevo ‘solo’ fotografie. Diciamo che è come se la fotografia non mi bastasse mai da sola, ma che avesse bisogno di suono, di interventi di altri artisti, di segni grafici e di esplosioni come in questa serie.
Questa serie è la più giovane in ordine di creazione, è nata in un anno complicato in cui mi sono riappacificato con due cose: le mie origini centro salentine e la fotografia analogica. Le due cose sembrano non collegate e invece in questo caso sono state una precisa formula chimica. Avevo voglia di rendere unica la fotografia e quindi l’analogico mi ha aiutato, poiché dopo la stampa distruggo il negativo, e nello stesso tempo avevo voglia di sovvertire la prima regola espositiva della fotografia, cioè l’utilizzo di un cartoncino bianco che ‘da respiro e evidenza’ ad un’immagine e così sono nati i fatterelli. La scrittura per me è sempre stata fondamentale. Ho passato molto più tempo in un negozio di penne di Bologna che nelle aule dell’università o in qualsiasi altro luogo della città. Il negozio si chiamava La casa della penna e io restavo lì per quasi tutto l’orario di apertura. Ho imparato come si vendono, riparano e comprano gli strumenti di scrittura. Ho visto provare, con gesti goffi o sapienti, migliaia di penne o matite da altrettante persone.
In questa serie, poi, ho unito anche la mia grande passione per gli appunti cartacei, per i canovacci teatrali, per i copioni del cinema, per le sottolineature e l’aggiunta di note e le ho portate a dimensione di quadro, coniugandole all’altra passione che è legata all’ascolto di aneddoti popolari. Anche in questo caso l’immagine è l’innesco e la parola è una conseguenza, ma anche viceversa.
Dici bene. L’atto del guardare è un atto di fede e come tale viene monumentalizzato e reso scultura in questo lavoro. Qui c’è un riferimento diretto ai porta-preghiere degli induisti, dei tubini in metalli di vario genere che custodiscono fino alla morte delle preghiere dedicate a chi le indossa; portare queste preghiere al collo è un atto di fede estrema. Noi ci dobbiamo fidare di tutti: del pilota dell’aereo che ci porta a destinazione e del chirurgo che ci opera, perché non fidarci dell’artista che mi dice di aver visto qualcosa?
GIUSEPPE DE MATTIA. Narrazioni Brevi
Note critiche di: Lorenzo Balbi, Orsola Vannocci Bonsi, Enrico Camprini, Vasco Forconi, Fabiola Naldi, Claudio Musso, Maura Pozzati, Gabriele Tosi.
8 maggio – 26 giugno 2021
Labs Contemporary Art
Via Santo Stefano 38, Bologna
Info: +39 051 3512448, M +39 348 9325473
info@labsgallery.it
www.labsgallery.it