MILANO | Galleria Officine dell’Immagine | 22 ottobre 2015 – 23 gennaio 2016
di FRANCESCA DI GIORGIO
Mentre, tra New York, Parigi, Amsterdam, Bilbao e Ostenda – dal Met Museum al Musée d’Orsay, dalla Kahmann Gallery al Guggenheim – sono in corso mostre che si interrogano su quale idea abbiamo dell’Africa e sotto quali forme risiede nel nostro immaginario, a Milano, da Officine dell’Immagine, è in mostra Carte blanche, a cura di Silvia Cirelli. Una collettiva di tre giovani artisti dal Nord Africa: Safaa Erruas, Farah Khelil, Massinissa Selmani rispettivamente da Marocco, Tunisia e Algeria.
Se da una parte il dato geografico rivendica un carattere di appartenenza dall’altra, l’intento del progetto è chiaro: prendere le distanze dagli stereotipi che, troppo spesso, soprattutto nell’arte, ma non solo, contribuiscono a comporre un quadro parziale, se non falsato, di un continente come l’Africa che vive come ricchezza le sue complessità e contraddizioni. Ed è proprio su contrasti, paradossi e certezze solo apparenti che si costruisce la visione di Carte blanche il cui filo conduttore resta sempre visibile nell’estrema diversità degli artisti chiamati a “scrivere” come su di un “foglio bianco” senza temi precostituiti, senza il rischio di “inscatolare” lo sguardo imponendo un punto di vista univoco.
La carta, del titolo, ritorna in Erruas, Khelil e Selmani come disegno-strumento (Erruas) a volte per dare spazio al segno-grafia (Khelil), come base e supporto di installazioni (Selmani, forse il più conosciuto in Italia dopo la menzione speciale all’ultima Biennale di Venezia).
Così il bianco non è solo quello della carta da lucido nei disegni satirici di Selmani ma anche quello del cuore di pollo (vero) tinto da Erruas o ancora dei quadri da suk tunisino che Khelil ricopre di colore lasciando solo qualche lacerto di tela visibile allo spettatore che potrà ricomporre una nuova identità del luogo, il centro turistico di Sidi Bou Said, lontano dai cliché “da cartolina”.
Poi, la parola, immaginata, scritta, ascoltata che in Safaa Erruas diventa tessitura sospesa, composta da aghi appesi a fili che pendono, come lacrime, da un grande bouquet (da sposa?) di fiori bianchi di gypsophila (Ipazia, 2011) o cucitura, incompleta, realizzata con fili di nylon trasparenti che possiamo notare con uno sguardo ravvicinato che ricuciono la “pelle fotografica” del Corazones Desnudo.
Anche le 700 siringhe installate su una delle pareti di ingresso in galleria (Coutures cutanées, 2009) tentano di disegnare l’immagine di un mondo cui l’immagine cambia inevitabilmente se visto da lontano o da vicino in un gioco di attrazione e repulsione che ritorna in molte opere dell’artista marocchina.
Quando Farah Khelil scrive sul retro di una serie di cartoline (Point of view, listening point (Clichés II) 2013, 2014) che hanno alimentato i cliché sulla cultura arabo-musulmana del suo paese d’origine (ora Khelil vive a Parigi) smonta, ritaglia e ricompone l’immagine capovolgendola come se fosse un avvertimento a non fermarsi mai ad una prima lettura.
L’artista tunisina invita a leggere una serie di disegni su carta (IQRA, 2015) e ad entrare, e a perdersi, in una spirale di scritte in arabo che ruotano attorno ad un microchip: una vera “sfida” per lo spettatore che in Point of view, listening point (Readings) 2012 – 2014 viene coinvolto attivamente nel funzionamento di un carrillon che da una frase in braille “traduce” in suono la scritta (in arabo e in francese) sul muro della galleria, una citazione da Denis Didetot: «Per un cieco la bellezza, separata dall’utilità, è soltanto una parola».
Apparente distante Massinissa Selmani il cui lessico come racconta Silvia Cirelli predilige l’ironia e un evidente richiamo a fatti socio-politici attuali. Il mezzo è l’immediatezza del disegno che è narrazione di una realtà restituita con humor tagliente e composta, come in una messa in scena, da livelli soprapposti (le carte da lucido dove Selmani disegna) o da una sequenza di disegni animata nel video La parade (2010).
Artisti molto diversi tra loro, dicevamo, ma che in mostra rivelano un equilibrio e una coerenza che segna anche il percorso di Officine dell’Immagine. Un progetto intrapreso un paio di anni fa insieme alla curatrice Silvia Cirelli che vuole creare delle “parentesi culturali” importanti per approfondire l’arte dell’area medio-orientale e africana e che, dopo la chiusura di Carte blanche, continuerà dal 4 febbraio 2016 con la personale dell’artista iraniana Gohar Dashti.
Safaa Erruas, Farah Khelil, Massinissa Selmani
CARTE BLANCHE. Giovani Artisti Dal Nord Africa
a cura di Silvia Cirelli
catalogo vanillaedzioni
22 ottobre 2015 – 23 gennaio 2016
Galleria Officine dell’Immagine
Via Atto Vannucci 13, Milano
Orari: martedì – venerdì: 15.00 – 19.00 sabato: 11.00- 19.00; lunedì e giorni festivi su appuntamento
Info: +39 02 91638758
info@officinedellimmagine.it
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