Galleria Dep Art
Milano
Emilio Vedova. Monotipi (di Luisa Castellini)
Una mostra interamente dedicata all’artista veneziano scomparso nel 2006. Un omaggio al Vedova dei Monotipi, realizzati con una particolare tecnica di stampa che permette di mantenere una straordinaria libertà d’esecuzione e vena creativa. La mostra da Dep Art sceglie di concentrare lo sguardo su un preciso momento della più recente sperimentazione artistica di un Maestro del Novecento. Per la prima volta a Milano una selezione di Monotipi realizzati proprio nell’anno della sua scomparsa, concepiti in quello studio oggi parte integrante degli spazi della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova nata, per volere del Maestro, in collaborazione con Renzo Piano…
«La vita, in un continuum, da infinita e mai chiusa sperimentazione ti porta a estremi di testimonianza, in aperta articolazione». Sono proprio questo continuum, l’irrinunciabile volontà alla testimonianza che è vita ed esperire e, non ultima, la vastità di un’articolazione che consapevolmente è possibilità, a poter guidare, tra le molte possibili rotte, alla scoperta della pratica del monotipo di Emilio Vedova. Pratica, ben prima e oltre l’essere tecnica, perché prende corpo e si dispiega nel suo linguaggio forzandolo dall’interno e detonandone le potenzialità in uno scarto. Una presa di distanza necessaria per volgere lo sguardo su di sé, in quella pittura che è verbo capace di coniugarsi su versanti impervi quanto inattesi e, in questo frangente, dichiaratamente opposti.
È il novembre del 2005: Art of The Next Century, che nel proprio nome-manifesto evoca, rendendole omaggio, Peggy Guggenheim e la sua prima galleria, domanda a Vedova una serie di monotipi. A questo ciclo che riconduce al nipote di Peggy, Sandro Rumney, ne segue rapidamente un secondo l’anno successivo. È il 2006, anno della scomparsa del Maestro in quella sua Venezia dove sessant’anni prima aveva incontrato proprio Peggy. Lei, che non aveva esitato a riconoscerlo, avrebbe acquisito a breve due opere che ancora oggi figurano nella collezione che porta il suo nome: Immagine del tempo /Sbarramento del 1951 e Città Ostaggio del ’54. È quindi in questo milieu e nella consonanza di un’antica amicizia che è pubblicato il volume Vedova. Monotypes presentato nel 2007 a Venezia durante l’omonima esposizione ordinata a Palazzo Venier dei Leoni. Ed è in questa occasione che la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova dona alla Collezione Peggy Guggenheim il monotipo Spazio Opposto del 2006.
È dunque nel monotipo che prendono corpo gli ultimi lavori di Vedova. Tra la fine del 2005 e il 2006, si diceva: sullo sfondo quello spazio alle Zattere concesso dal comune di Venezia all’indomani dei suoi ottant’anni e oggi convertito in una macchina non celibe ma virile nel coup de théâtre fruitivo orchestrato da Renzo Piano. È qui, nel suo studio, che Vedova torna a guardare e ad affrontare la pittura attraverso il monotipo. Alle spalle i primi esperimenti condotti alla fine degli anni Ottanta con i grandi monotipi che vedono la luce sotto il sole californiano di Santa Barbara e, l’anno successivo, sulla West Coast newyorkese nell’atelier di Garner Tullis. Punto di riferimento nel panorama del monotipo contemporaneo e padre di una particolare carta rigorosamente handmade, molto spessa per l’incontro con il suo torchio, accoglie nel suo studio molti artisti tra cui Vedova, Arnaldo Pomodoro per le monostampe e in particolare Sam Francis. Più avanti, nei primi anni Novanta, Vedova è invece invitato a Spruce-Pine nel North Carolina: nei Rarvey Littleton’s Studios sperimenta l’incisione su vetro giungendo a siglare un proprio modus operandi e a realizzare le sue vetrografie.
Queste esperienze e le molte altre che si potrebbero richiamare alla memoria – come dimenticare, infatti, le prime litografie realizzate alla fine degli anni Cinquanta e le numerose acqueforti – e la dedizione al monotipo sono saldate in un rapporto di continuità ma, ancor più precisamente, di consonanza. È proprio la natura intima e unica del monotipo, la sua intrinseca complessità pronta ad accogliere infinite variazioni, a configurarlo oltre la prassi tecnica quale medium concreto. Viatico privilegiato del farsi del pensiero di Vedova, un farsi che si attua in quello che lui stesso definisce Spazio Opposto.
Il monotipo, unica impronta di nome e di fatto, ha fisionomia episodica, di evento, al pari della natura e della pittura. È il frutto maturo di una migrazione intuita voluta perseguita su carta di un fluido momento pittorico denso di olio, tempera o inchiostro. Tra l’orizzonte della superficie non assorbente, sia questa vetro, metallo o plexiglass, e il lido cartaceo: il gesto. Ora segno adesso pressione ma comunque fatto lontano da qualsiasi mediazione. A essere consegnato allo sguardo attraverso la calibrata pressione manuale è dunque l’opposto, su carta. A nulla o quasi è concesso albergo sulla superficie prima della composizione, che è quindi supporto, spazio praticabile ma effimero. Di certo non matrice, pronta a scoprire processi quali l’incisione o l’acidazione e quindi lo sdoppiamento, la moltiplicazione. Le tangenze tra il monotipo e le tecniche di stampa si arrestano quindi alle soglie della specularità e nella presenza di un trasferimento e della pressione.
Il monotipo respira la propria unicità, il suo farsi oggetto tra le mani quale evento altro. Non contro, ma inverso e contrario. Spazio opposto a quello della pittura, allora, sebbene questa ne sia genesi irrinunciabile ma irrisolta fino alla migrazione, al compiersi sull’altro lido. Luogo interstiziale, per definizione, agito nella propria ambigua fisicità, sonda privilegiata di quella possibilità, in primis semantica, che è carne stessa della pittura, è allora varco, segno liberato dalla servitù dell’essere traccia. La permutazione su carta è teatro di un nuovo evento: tellurico sì ma ancor più sacro. Oltre il tempo dell’ordine – qui Vedova e la pittura – il tempo dell’apertura, del rito e della festa: dell’alterità che si compie nell’alchimia di un gesto antico.
Monotipo allora non come altare ma quale sindone che, ancora una volta, si offre allo sguardo solo nel suo positivo. In quel suo opposto sotteso da uno sguardo speculare attraverso cui contemplare e farsi sedurre. Il racconto di Vedova è nel farsi più che nel suggerire, nel lambire di una fluidità lenta che tracima l’immanente.
L’animale è «nel mondo come l’acqua dentro l’acqua» scriveva Bataille: è soggetto che si contrappone a un oggetto che è il mondo tutto ma non riesce a scorgersi e concepirsi come tale. L’uomo in quest’acqua ha invece imparato a nuotare e a navigare poi per farne parte di sé tra esperienza e ragione. Vi ha dato ordine, tempo e simbolo per poi sorprendersi a ricercarne la perduta unità.
Il monotipo, medium riflessivo, è episodio dell’altrove fatto rito. Dispiegamento di un’occasione posta in discussione. Il mondo, la pittura e quindi i suoi stessi orizzonti che si danno alla contemplazione anche in dittico. Qui, su lande sideree, irrompono movimenti e scosse di vita, colore. Forme vibranti strette nella morsa tra indeterminazione e tensione che risuonano, forse, del movimento di quelle stringhe che sottendono il farsi del nostro universo.
La mostra in breve:
Emilio Vedova. Monotipi
testo di Luisa Castellini
Galleria Dep Art
via Mario Giuriati 9, Milano
Info: +39 02 36535620
www.depart.it
Fino al 18 dicembre 2010
In alto, da sinistra:
“Spazio Opposto n°18”, monotipo – olio su carta , cm 57×75
“Spazio Opposto n°28”, monotipo – olio su carta, cm 57×75