MILANO | Fabbrica Eos | 24 settembre – 22 ottobre 2020
di MATTEO GALBIATI
Ha avuto una gestazione lunga la preparazione di Disembody, prima personale di Manuel Scrima negli spazi di Fabbrica Eos; le opere di questo progetto, infatti, sono state definite nel corso degli ultimi otto anni ed è proprio in questo ampio lasso di tempo che l’artista ha affinato il processo di definizione potente dell’anima espressiva dei suoi soggetti che, grazie a tale lavoro di continuo avvicendamento di prove, scelte, selezioni, ripensamenti e perfezionamenti, lo hanno condotto ad una meditazione accorta sul senso e sull’estetica del corpo che, tradotto fotograficamente, aspira ad un processo di universalizzazione, quasi astratta nella connotazione ultima della sua immagine.
Del resto il nudo è – come mette in evidenza anche Chiara Canali nel suo testo critico – uno dei capisaldi della storiografia artistica; uno dei primi soggetti cui è ricorso l’uomo nella comunicazione, narrazione, descrizione e percezione di sé attraverso l’arte. Il nudo è senza tempo, il nudo è per sempre, il nudo è il corpo nella sua originaria visione, la più pura e la meno condizionabile. È l’essenza di quanto l’uomo è o vorrebbe essere.
In questo caso siamo davanti a immagini fotografiche che, pur non rinunciando alla tecnica del mezzo, non esplicitano appieno quel corpo così come ci aspetteremmo si facesse ricorrendo al mezzo fotografico: Scrima ha curato, infatti, con attenzione ogni scatto provandolo e riprovandolo, inseguendo quella perfezione che ha in sé l’eco della bellezza classica, quella assoluta e a-temporale della statuaria greca, ad esempio, quella che idealizza nel bello il corpo nella massima connotazione di proporzione estetica e morale, allontanandolo da ogni individuo e, perciò, divenendo punto-esempio di inarrivabile perfezione.
Se la scultura classica cercava i principi di un canone di virtù totale nei connotati di un’eterea bellezza che sfiorava l’impossibile accoglimento nella naturale realtà e verità della vita, Scrima attinge dai numerosi modelli e modelle che hanno posato per lui e che, proprio per la loro bellezza, sono icone per la moda e per il costume del nostro tempo. Non sono “progetti” di fantasia, ma sono persone messe in posa, sono presenti davanti a lui (e a noi) con la fisicità della propria corporeità. Sono persone reali la cui connotazione fisica le rende, allora, esclusive agli occhi di chi le osserva, essendo espressione di una sensibilità legata al presente. Incarnano il profilo, come si diceva, di quello che vorremmo essere, di quello che di più forte identifica il nostro odierno concetto di bellezza.
Nell’avvincente lettura che ne segue questi corpi sono privati, poi, proprio di quelle connotazioni che li rendono riconoscibili nella loro peculiarità estetica e si assottigliano a semplici silhouette compresse in pose anti-naturalistiche, costrette nello spazio angusto del “quadro” per cui si mettono in posa. Silenziano la loro esclusività, spengono ogni risonanza di narcisistica affermazione di sé per piegarsi ad un muto rigore, alla schiettezza di un equilibrio che stabilisce il fondamento di un principio di coerenza relativa a una alterità che rifugge dalla risonante proliferazione massmediatica o dalla diffusione svelta imposta dalla rapida consumazione social.
Scrima costruisce e decostruisce la logica fisica del corpo, fino a spingersi a quel processo di rastremata semplificazione che porta a tradire i particolari connotanti di ciascun individuo. Queste tracce restano come impercettibili impressioni, fuggevoli e caduche rimanenze da interpretare nell’intricata composizione di piani e campi cromatici, dentro l’addensamento di ombre o la rarefazione successiva nella trasparenza della luce.
Sovrapponendo due immagini – sono stampate su lastre di vetro e di plexiglass sovrapposte – della stessa tipologia, Scrima derubrica il concetto stesso di corpo e, disallineando le pose, opponendole e girandole, inclinandole e ribaltandole, riesce a comporre nuove forme, nuovi profili che portano lo sguardo a comprendere altre relazioni e altri equilibri, non più legati alle verità di un corpo originante, ma ad un linguaggio nuovo per la fotografia di questo genere. Un lessico che si assimila ai principi dell’arte astratta.
Il labor lime attuato da Scrima ha allora un senso nella volontà dialettica di riprendere il concetto dell’antico e di riabilitarlo, con la fotografia, alla contemporaneità, invertendo, però, la polarità della sua procedura espressiva e narrativa. Il suo linguaggio fotografico configura quella nuova classicità contemporanea delle sue opere che affascina per il ribaltamento continuamente iterato degli assunti acquisiti, pur citando sempre la storia e i maestri del passato di cui e tutt’altro che immune.
La sintesi formale della storia acquisisce in lui la licenza di una complessa semplicità che è proprio figlia di quel lento processo creativo che ha portato la sua fotografia a farsi carico di una rinuncia importante: lasciata l’impronta figurativa riscopre la bellezza dell’ordine di una nuova sensibilità percettiva, intuita oltre il tempo e le mode.
Manuel Scrima. Disembody
a cura di Chiara Canali
24 settembre – 22 ottobre 2020
Fabbrica Eos
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