VENTIMIGLIA | VILLA HANBURY | 9 LUGLIO – 3 SETTEMBRE 2022
intervista a ARIANNA CAROSSA di Viviana Siviero
Una mostra site specific in un momento di rinascita, in un luogo magico e magistrale: i giardini di Villa Hanbury a Ventimiglia, accolgono The Phantom’s Privilege, personale di Arianna Carossa, nata nei giorni della residenza organizzata presso Atelier A di Apricale in collaborazione con Callisto Fine Art di Londra. L’artista, genovese di nascita e newyorkese di adozione, grazie ad un’instancabile voglia di creazione, ci regala opere che non nascono per il luogo ma si generano o si metamorfizzano insieme ad esso. Ceramica, video, pittura, installazioni, sculture sonore ed olfattive, poesia: medium differenti e variegati che prendono per mano lo spettatore guidandolo delicatamente fra gli artifici di una dimora storica magnifica e la bellezza rinomata di un luogo, da sempre sinonimo di miracolo per quanto concerne il clima. Punto nodale dell’esperienza pare essere il delicato rapporto fra l’Io (l’artista diviene mezzo ben oltre la semplice pratica del mediatore, attraverso una qualità pratica oggettiva) ed il luogo, la sua storia, la sua essenza e perfino il suo futuro (trascendendo il presente): le maschere diventano il volto di qualunque anima sia transitata, transiti o transiterà, vuota non perché priva, ma piuttosto pronta ad assorbire il circostante, rimettendolo in circolo non come “fatto” (alla lunga inutile) ma piuttosto come sensazione universale, attraverso la modificazione umorale, temporale, impalpabile. Per sua stessa ammissione l’arte per Carossa è semplicemente il mezzo che la aiuta a comprendere se stessa e la sua capacità di muoversi in larghezza tra un medium e l’altro le permette di scendere in profondità, come fosse una talpa: scavare per cambiare finché il piccolo trauma del cambiamento non diventi mezzo per mantenere la forma.
Hai interpretato un luogo e la sua valle; hai incontrato il genius loci di uno straordinario mondo che trasuda di passato, di profumi, di gemme, di erbe, di brezza salmastra: come è avvenuto il vostro incontro, cosa vi siete detti e in che modo lo avete fatto? Ci racconti del tuo “particolare modo” di incontrare ciò che poi diverrà strumento della tua poetica, correndo?
Correndo si scoprono nuove strade, sentieri non battuti, percorsi riconoscibili. Talvolta si gira in tondo, ripercorrendo quasi ossessivamente la stessa strada ad anello. Sono tutti metodi, non c’è un modo migliore, ma quello che in quel particolare momento funziona meglio per te, per lasciare andare e far sì che ogni tuo gesto risulti spontaneo. Riguardo il tipo di lavoro site specific, penso non sia semplice entrare in relazione perché occorre esser vuoti, disposti a farsi luogo e, spontaneamente, a farsi occhio. Quando corri, tra un passo e l’altro, c’è un vuoto, ben definito, un momento sospeso per poche frazioni di secondo, prima di riatterrare. In quel momento sei in relazione. Qui, fra Apricale e Villa Hanbury, ho fatto tanti km e messo uno dietro l’altro tanti momenti sospesi, tanti attimi di relazione che si sono concretizzati in una serie di lavori che nascono proprio dal luogo e dalla sua essenza. La prima volta che sono venuta a villa Hanbury avevo 6 anni, l’ho odiata. Pioveva, mia mamma voleva vedere tutto. Ricordo i miei passi sulla strada. Così, quando si è trattato di scegliere un luogo, mi è tornata in mente quella fatica. Lavorandoci ho iniziato ad amarla. È sorprendente, mi ha dato l’opportunità di vedere i miei lavori in un ambiente diverso, lavorare con la natura non è semplice, Lei è già perfetta, l’intervento deve esser minimo.
La mostra si intitola The Phantom’s Privilege ed è risaputo, il primo fra i privilegi dei fantasmi è quello di… attraversare i muri. La tua mostra permette allo spettatore appunto di trasformarsi in qualche modo in uno spirito: non solo di visitare spazi solitamente chiusi al pubblico ma anche di attraversare muri altri, come quello del tempo.
Il fantasma nella sua evanescenza ed inafferrabilità è anche vivo, quasi tangibile nel riproporsi come immagine di qualcosa da superare. Questa serie di opere, create per l’esposizione, vuole essere una sorta di avvertimento su quali siano i limiti che occorre conoscere meglio per esser più autenticamente se stessi. I limiti e gli ostacoli sono sempre quelli del cuore, sono le nostre paure. Mi interessa sostarci dentro. Il mio lavoro di artista è sostare nella paura, diventare sua amica per conquistare quella dimensione di vuoto di cui parlavo prima.
La tua riflessione relativa al fatto che la Natura necessiti di interventi precisi sembra rispecchiarsi alla perfezione nell’opera Respiri, in cui hai installato maschere in cera in mezzo ad una natura scapigliata, lasciando che si modificassero come fossero un corpo di carne, per opera del tempo, delle intemperie e delle temperature; fisionomie che si modificano come una sorta di memento mori contemporaneo e geniale…
Ho realizzato questo lavoro l’anno scorso per il premio che ho vinto a NY Nyfa, esponendo i calchi quasi tutti miei sugli alberi della Comunity Garden La Plaza Cultural nell’east village. Mi piaceva il fatto che, attraverso un intervento semplice e non invasivo, tutto l’albero diventasse opera. La cera è profumata, gialla, malleabile: è viva, come l’albero stesso. La cera mi interessa per la sua capacità di cambiare; allo stesso tempo è delicata ma non fragile…
Quali sono a tuo avviso i quattro punti cardinali della mostra? Ce li descrivi attraverso quattro opere fondamentali?
Dividerei la mostra prima in “Dentro” e “Fuori”, “Nord” e “Sud”. Riguardo “Dentro”, “Sud” ed “Est” le opere maggiormente sensoriali, quasi frustranti: il profumo, i suoni, i video, hanno bisogno di esser contenuti per esser percepiti. La pittura invece rappresenta il mio “Est” dove nasce il sole. Fra il creatore e la tela c’è solo un piccolo strumento, il pennello, che diventa l’intermediario di un mondo. Il “Fuori Nord” rappresenta la punta della “mia” montagna, dove nasce l’acqua con le opere nel centro delle fontane. Poi l’ovest quello dei pionieri, andando verso l’Oregon, trovi l’oro alchemico che, per quanto leggero, è materiale, solido, può subire la pioggia, il vento ma rimane immutabile.
All’interno di una fontana all’esterno ho installato una maschera grigia in ceramica, che non era nata per quel luogo. L’ho realizzata mesi prima, volevo fare una testa che evocasse un lavoro di Kokoska, l’ho realizzata ad Albissola, cava, pensando sarebbe stata più leggera, ma una volta finita non stava in piedi, mi serviva un posto che la bloccasse. Ho messo sugli occhi due pezzi di vetro di una bottiglia di gin; così è nata La preghiera del sentimento per l’acqua. Ora quell’opera sembra nascere da quelle rocce.
Una sala con un’installazione inafferrabile dove si mettono in moto diversi medium che stimolano altrettanti sensi….un video in cui sembri generare un serpente dalla bocca e molto altro…
L’installazione Il profumo del Santo Vecchio, a cui sono molto legata mette in moto una relazione fra spettatore e sensi alternativi alla vista e necessariamente deve essere circoscritta in uno spazio definito: il profumo è cosi frustrante per me, sono ossessionata dall’idea di afferrarlo. Il fatto che sia impossibile mi eccita. Il mio amore per i profumi mi accompagna dalla preistoria della mia vita; questo lavoro nasce pensando al profumo che i Santi lasciano lungo la loro strada. Collaborando con un naso (creatore di profumi n.d.r.) a New York, abbiamo creato un’essenza di rosa stagionata, col supporto dell’azienda Delbia.do. Pensavo a quanto possa diventare insopportabile una cosa gradevole, quando è in eccesso. Ho pensato al Paradiso come ad un luogo carico di luce, forse troppa. Una luce accecante, che non ti permette di vedere le ombre, pervasa dal profumo di rosa invecchiata. Insomma un luogo dal quale scappare dopo un po’.
Nel video La Muta, invece, mi mostro con le ultime vertebre del serpente a sonagli in bocca: l’ho realizzato dopo aver sentito per la prima volta un sonaglio e ricordo di aver pensato fossero Maracas; invece era un serpente. Ho messo il sonaglio in bocca perché volevo essere lui. Volevo essere la sua nuova pelle.
Progetti per il futuro (e per il presente)?
Sì, il pensiero di questa sera, nell’imminenza della giornata di domani è comprare un serpente di gomma.
Prossimamente farò delle mostre di pittura con la Banca San Paolo, una inaugurerà il 15 dicembre a Genova nel loro edificio nella centralissima Piazza Corvetto. Un regalo. Sto lavorando anche ad un progetto con una azienda italiana insieme al sound designer Marc Urselli (con cui ho collaborato anche per questa mostra e che vanta tre Grammy Awards e collaborazioni con i nomi più importanti del panorama musicale; per esempio ha lavorato sette anni con Lou Reed). Lavoro con lui da lungo tempo e abbiamo in programma di recarci nel deserto californiano.
Dopo, vincerò un premio ma ancora non so quale, mi inviteranno ad una residenza ma non so ancora dove, forse inciderò un disco come cantante ma non so quando e non so ancora con quale voce.
Arianna Carossa. The Phantom’s Privilege
in collaborazione con Michele Cristella, Callisto Fine Arts London, Atelier A Apricale
testi critici di Luca Bochicchio, Michael Higgings, Anna Daneri e Michela Murialdo
in collaborazione con gli artisti Marco Antonini, Paolo Boriani, Phebe Legere, Ennio Sirello, Marc Urselli
9 luglio – 3 settembre 2022
Villa Hanbury
Corso Montecarlo 43, Ventimiglia (IM)
Orari: da mercoledì a domenica, dalle ore 10.00 alle ore 12 e dalle ore 15.30 alle ore 17.30