PARABITA (LE) | permanente dall’11 maggio 2024
di ROBERTO LACARBONARA
Da quando i lari vegliano su di noi, la casa è sempre stata luogo dello spirito, dimora dell’uomo e del dio, un unico tempio del sacro e del laico. I segni della devozione popolare si addensano sulla pelle degli edifici, raccordando l’intimità dei luoghi con la strada, con l’aperto e con il fuori, ovvero con il mondo al di là del confine protetto dell’abitare. Ed è lì che il religioso funziona come soglia che unisce e che separa, che protegge dal pericolo dell’ostile mentre reca i segni della comunità, del rito, dell’appartenenza.
Nel piccolo comune salentino di Parabita, a una quarantina di chilometri a sud di Lecce, le antiche e dismesse edicole votive, un tempo “sede” dell’effigie del santo e della Vergine, ritmano il reticolo di strade nel centro cittadino, articolando la minuta e ricorrente presenza di una sacralità domestica, riservata e a volte magica, tra la preghiera e la superstizione. Edicole che ancora partecipano alla venerazione dell’icona – in molti casi, statuette e affreschi di fattura locale rivelano una partecipazione osservante, potremmo dire ancora “attiva” – miste ad altre che il tempo secolare ha reso vuote, concavità scavate nella pietra arenaria che plasma il borgo intero. A partire dall’individuazione di queste ultime nasce l’intuizione di Votiva, collezione permanente di arte pubblica destinata a conservare e rinnovare, in senso differente, la presenza delle edicole, a partire dalla profonda e convinta adesione della comunità: ogni spazio destinato alle opere è uno spazio privato, messo a disposizione da chi abita verso chi sopraggiunge, sosta, osserva, procede oltre.
16 gli artisti coinvolti, autori di interventi in gran parte concepiti e realizzati per l’occasione, con la curatela di Laura Perrone e Flaminia Bonino; la direzione artistica è di Giovanni Lamorgese, artista che ha scelto Parabita per il proprio studio e atelier e che, difatti, con un primo gesto di innocente profanazione, dava innesco all’intera operazione allorquando decideva di piazzare una scultura nello spazio ormai svuotato della sua nicchia muraria. Da quell’intuizione, si passa oggi alla scelta di ridestinare un patrimonio dismesso all’opera d’arte, proponendo al pubblico una partecipazione visiva che spesso, per inevitabile automatismo culturale, sembra destinata a svolgere ancora la sua trama mitica.
È così nel caso del Miracolo senza titolo di Luigi Presicce, scultura di una mano in ceramica smaltata blu di prussia, colta in atto benedicente, che raccoglie all’interno del palmo un piccolo cumulo di denti. La stessa è incoronata da conchiglie, elementi della devozione popolare oltre che della tradizione iconografica verginale, ma anche simbolo del viaggio e del pellegrinaggio (come quello in nome di San Giacomo, nell’antico cammino verso Santiago de Compostela). Perché spesso il santo è santo per qualcosa, per un compito o una funzione protettiva: il santo dei denti, la santa degli occhi e via dicendo.
Temi di ordine evangelico riemergono anche nella proposta di Chiara Camoni – una singolare “Annunciazione” che, ricorrendo a terracotta, pelliccia riciclata e fiori secchi, assegna all’angelo e alla madonna i “panni” di un cappuccetto rosso e un lupo, riportando il linguaggio dalla sfera religiosa a quella delle tradizioni orali e del racconto. Oppure nella frammentaria Addolorata di Lamorgese – candida ceramica smaltata che reca i segni di lacerazioni irreversibili – e ne Il piede del santo che Felice Levini ha plasmato in ceramica smaltata d’oro e trafitto da una freccia, allusione iconografica a San Sebastiano, protettore contro la peste, o ad Achille, l’eroe vulnerabile. Così anche il santo si umanizza, reca i segni corporali della passione quotidiana e comune: la Figura de nudo di ektor garcia – scultura frutto di una residenza nello spazio “Progetto” a Lecce – è un idoletto realizzato con un unico cordone intrecciato in ceramica smaltata; ne vien fuori una figura che sorregge tra le braccia il peso delle proprie viscere interne. Parte invece dalla riproduzione in rame di un ex-voto ligneo del 50 a.C., la scultura Viandante di Namsal Siedlecki: l’oggetto devozionale, originariamente in legno di faggio, gettato in acqua come offerta votiva e gesto propiziatorio, viene plasmato ancora una volta in acqua per mezzo dell’azione elettrolitica che consuma e forgia il metallo immerso in vasca galvanica, cedendo e aggregando materia.
Ricorre alla tecnica musiva di tradizione bizantina Mimmo Paladino: l’icona di un volto, una mano, una ciotola e un cerchio nero compongono i segni essenziali di una postura mistica atta alla mediazione tra presenza terrena e infinito celeste, così nel ricorso al fondo aureo e al cerchio nero in cui si addensa il motivo imperscrutabile del mistero.
In questo processo di rinnovamento di temi iconografici, posture, idolatrie e forme della rappresentazione del limite tra umano, divino e disumano, diversi gli interventi concepiti come sembianti metamorfici, corpi ibridi e allegorici: gli Amuleti Animalia di Claudia Losi e il Kaya sciamanico di Helena Hladilová mescolano il pensiero animista con l’effigie animale, convocando lo spirito delle cose, dei materiali, degli esseri viventi.
Mentre nell’opera S/T (segnale non visivo) di Ludovica Carbotta, alcuni particolari anatomici emergono da forme geometriche che schermano come scudi un corpo robusto, confinato nello spazio costrittivo dell’edicola: quello che emerge, quel poco che resta visibile e nitido, è appena un resto, una parte interpretabile e ambigua, l’invito a partecipare ad un segreto.
Così come al non visibile e al fideistico rivolge l’attenzione Francesco Arena con la scultura in marmo di Carrara DIO (CUBO): due blocchi geometrici sovrapposti custodiscono al loro interno la parola DIO, divisa tra le lettere D e O nel blocco superiore e la I nell’inferiore; la sola congiunzione delle due parti, perfettamente giustapposte, compone il mistero e il volume del cubo, pur collocandosi come una presenza eccedente, ben oltre il limite circoscritto dell’edicola. Esso è bloccato, inclinato e sospeso mediante semplici cunei di legno: il provvisorio con l’eterno, il pensiero geometrico e razionale scende a patti con il gesto precario e transitorio, in uno spazio concepito dall’uomo per dare forma all’incontenibile. Traduzione visibile e plastica del senso stesso di ogni devozione, sacra e laica che sia.
VOTIVA
Collezione permanente di arte pubblica del borgo di Parabita (LE)
Un progetto del Comune di Parabita
nell’ambito di Parabita per il contemporaneo
a cura di Laura Perrone e Flaminia Bonino
direzione artistica di Giovanni Lamorgese
Opere di: Francesco Arena, Chiara Camoni, Ludovica Carbotta, Claire Fontaine, Gianni Dessì, ektor garcia, Helena Hladilová, Felice Levini, Claudia Losi, K.R.M. Mooney, Liliana Moro, Adrian Paci, Mimmo Paladino, Luigi Presicce, Michelangelo Pistoletto, Namsal Siedlecki.
Info: +39 0833 392311
www.comune.parabita.le.it/