SERAVEZZA (LU) | Palazzo Mediceo | 30 aprile – 29 maggio 2016
Intervista a PAOLO ULIAN di Matteo Galbiati
La bella e ricca mostra intitolata Paolo Ulian. La leggerezza delle intuizioni, allestita nelle sale di Palazzo Mediceo a Seravezza (LU), ci ha dato la possibilità di approfondire il pensiero e la ricerca di uno dei maggiori rappresentanti internazionali del design italiano come Paolo Ulian (1961). Allievo e collaboratore di grandi maestri del design storico, affermatosi poi per una sua peculiare e caratteristica visione progettuale e artistica, nelle sue creazioni evidenzia un indiscutibile e innato talento che lo ha portato, osservando la realtà del quotidiano nelle sue diverse sfaccettature, non solo a re-interpretare il concetto, l’utilizzo e l’estetica di oggetti d’uso, ma anche a un innato istinto che ridefinisce le cose stesse superandone le funzioni tradizionali.
Ulian si racconta in questa intervista:
Ci racconta come è riuscito a diventare uno dei più apprezzati designer italiani a livello internazionale? Quale percorso, convinzioni e desideri ha seguito?
In ogni cosa che fai il risultato dipende sempre dalla passione che dedichi al progetto e molto spesso anche dalla quantità di tempo che spendi per portarlo a termine. In questo senso penso di aver dato sempre il massimo; e in piena libertà, senza mai pensare a cosa il mercato avesse bisogno, lasciandomi guidare solo da quel sano entusiasmo infantile che ti porta a sperimentare con ogni materiale che incontri. Poi a volte è successo che qualche azienda inseriva nel proprio catalogo dei progetti che avevo già sviluppato autonomamente, ma è sempre stato un caso, non sono mai riuscito ad andare a presentare i progetti direttamente alle aziende. In pratica tutto quello che ho ottenuto in termini di visibilità credo che sia stato solo una fortuita conseguenza di quella passione che ho infuso in ogni progetto.
Ha avuto la fortuna di lavorare con un grande maestro come Mari, di cui è stato anche assistente, cosa le ha lasciato? Quali insegnamenti e quali esempi sono per lei indimenticabili?
Mari è stato un maestro formidabile non solo per me, ma per diverse generazioni di progettisti, anche per quella dei giovanissimi di oggi. Ha insegnato a tutti che il progetto non è solo forma, funzione, invenzione, ma che è anche significato, atto politico, messaggio didattico, strumento concettuale per cercare di cambiare il presente. In questo senso il suo capolavoro assoluto è stato Proposta per un’autoprogettazione del ‘74, un progetto quasi immateriale (fece editare solo un piccolo catalogo in cui erano contenuti i disegni per auto realizzarsi i mobili di casa con tavole da cantiere). Un meraviglioso manifesto anti-consumismo, che sono certo diventerà sempre più attuale negli anni a venire.
Quali temi principali affronta il suo design, visto che le sue produzioni sono connotate da una personale cifra stilistica legata ad uno sviluppo sperimentale dei progetti?
Uno degli aspetti che sento molto vicino da sempre è il tentativo di comunicare dei messaggi, a volte importanti a volte meno, attraverso i progetti che realizzo, e questo può succedere in mille modi, rielaborando scarti pre-esistenti o immaginando oggetti che utilizzano i loro stessi scarti di lavorazione per completare la loro costruzione, o ridisegnando fiammiferi con due teste infiammanti invece che una, per sprecare la metà del legno, o pensando a un biscotto da “pucciare” con il dito direttamente nel barattolo della Nutella, una piccola idea che ha istituzionalizzato un gesto molto diffuso. Avere un motivo valido intorno a cui costruire un nuovo oggetto è sempre stata una mia priorità.
Cosa significa pensare ad un design che vuole aspirare ad essere senza tempo, capace di far riflettere ma con l’ironia?
Difficilmente parto con l’intenzione di realizzare un oggetto senza tempo, è sempre molto difficile conoscere in anticipo quale sarà il suo destino. Però ce la metto tutta per far sì tenda al migliore livello di qualità possibile, a cominciare dai contenuti etici che spesso diventano la colonna vertebrale dell’oggetto. E riuscire a trasmettere un concetto in cui credo fortemente attraverso l’ironia e il sorriso è la soddisfazione più grande.
Come riesce un designer ad anticipare – ad esempio come ha fatto lei con il food design in tempi non sospetti – i gusti e le tendenze? Dove coglie e attinge i propri stimoli e le proprie visioni?
Succede per caso, per partecipare a delle mostre che si prefiggevano di creare nuove tipologie di oggetti. È successo con la mostra Pappilan o con la mostra Sistemi di Misura dei designer, o ancora con la mostra Hotel Droog, dove le idee che in quegli anni potevano sembrare visionarie e improponibili, venivano invece promosse con entusiasmo e che poi, con mia grande sorpresa, si sono anche trasformate in prodotti reali negli anni successivi. Questo per dire che spesso il merito non è solo del designer, ma anche di altre persone con cui il designer si confronta e della loro capacità di innescare nuovi stimoli di progetto. Le idee non nascono mai dal nulla ma piuttosto dalla contaminazione dei pensieri e qualche volta anche osservando semplicemente la realtà che ci circonda.
Per quanto concerne la mostra a Palazzo Mediceo di Seravezza, su quali contenuti e scelte muove? Cosa ammiriamo da visitatori?
Ho suddiviso l’esposizione in due aree principali: quella più ampia che riguarda la ricerca nell’ambito del marmo svolta dal 1990 ad oggi e quella che riguarda una serie di altri temi che vanno dalla ceramica al vetro, dal metallo a quello delle piccole invenzioni tipologiche o a quello dell’illuminazione. Ognuna delle dieci sale racconta un capitolo preciso della mia ricerca. La mostra si apre con la sala Cosimo, la più grande, in cui sono esposti oggetti in marmo che si ispirano al gesto dello “spezzare” e sulla dignità formale che questo atto casuale può produrre. Le altre sale dedicate al marmo sono tutte incentrate sul suo uso responsabile passando dalla “leggerezza” all’utilizzo dei “semilavorati di scarto” fino al tema dell’ottimizzazione nella lavorazione del marmo, dove si possono vedere tra gli altri, anche l’intera collezione 40×40, una serie di oggetti tridimensionali ricavati da semplici marmette piane da rivestimento tagliate a waterjet senza produrre sfridi di lavorazione.
Cosa s’intende con il titolo La leggerezza delle intuizioni?
Il titolo allude al rapporto per me imprescindibile tra intuizione e leggerezza in ogni progetto. Le intuizioni sono sempre all’origine di ogni avventura progettuale e la leggerezza è la caratteristica a cui tendo sempre per cercare di ottenere oggetti essenziali e puri.
Come avete pensato l’allestimento?
Per l’allestimento della mostra ho disegnato un modulo facilmente montabile e smontabile realizzato in MDF naturale che può essere usato singolarmente o affiancato agli altri moduli dello stesso tipo per formare basi di diverse lunghezze. Quando la mostra chiuderà i battenti i moduli potranno essere smontati e immagazzinati in pochissimo spazio per poi essere riutilizzati in altre future esposizioni.
Attraverso quali pezzi si vede e si legge meglio il suo spirito capace di re-inventare oggetti abituali e quotidiani?
Ci sono alcuni oggetti come il Mat Walk – un tappetino da bagno con ciabattine incorporate – che nasce osservando la comune abitudine di usare un asciugamano a terra per muoversi nel bagno appena usciti dalla doccia. O come il guanto toglipelucchi disegnato per Coop, una spazzola a forma di guanto che riprende il gesto spontaneo di spazzolare i vestiti con le mani, o ancora, le ciabattine Print che lasciano impronte sulla sabbia con messaggi di invito a seguire chi le indossa.
A quale oggetto o progetto è più legato? Quale rappresenta qualcosa di profondamente speciale?
Forse la ciotola in terracotta Una seconda vita, perché la terracotta è un materiale meraviglioso, è terra che torna terra ed è stata pensata anche in funzione di una sua eventuale rottura accidentale. In questo malaugurato caso alcuni pezzi di forma predeterminata si possono salvare per essere utilizzati come piccoli contenitori alternativi. È un oggetto che nella sua semplicità formale ci invita osservare con occhi diversi qualsiasi cosa prima di gettarla via, anche i cocci. Se li guardiamo bene sono certo che si può trovare qualcosa di buono e utile anche in quelli.
Quanto incide il tema dell’etica delle produzioni, la scelta dei materiali poveri e/o di scarto nel suo lavoro? Cosa e come influenzano (se lo fanno) gli orientamenti del design attuale?
Il tema dell’etica è una costante del mio lavoro fin dagli inizi, ho sempre pensato che un oggetto non è mai solo un oggetto ma è qualcosa di più, qualcosa che può indurre alla riflessione come lo può fare un’opera d’arte, come un film o un buon libro. Non importa quanto sia l’influenza reale sulle persone e a quante persone arrivi veramente, l’importante per me è sapere di aver creato un oggetto capace di raccontare storie a chiunque abbia la volontà di saperle ascoltare.
In molte produzioni quanto, secondo lei, dipende dalla moda e dalle tendenze e quanto dal vero impegno e dalla sincera convinzione in merito a tali scelte?
Penso che il vero prodotto di design dovrebbe essere totalmente immune dalle mode e dalle tendenze. Dovrebbe essere il prodotto di design a suggerire i nuovi scenari del prossimo futuro e a indicare i nuovi riferimenti, non il contrario, altrimenti non ci può essere innovazione e crescita civile. Eppure, in questi ultimi anni anche le aziende più solide e blasonate del design italiano stanno lentamente abbandonando il progetto di ricerca per lasciare sempre più spazio al mercato facile e immediato, con risultati che a volte lasciano imbarazzati.
Quale strada deve, secondo lei, percorrere il design del domani?
Credo che la strada giusta da seguire sia quella di indirizzare tutte le energie e le risorse per cercare di riavvicinare le persone ai buoni e sani stili di vita, e in questo senso il design potrebbe avere un ruolo determinante.
Che consigli vuole dare ai giovani creativi, ai futuri designer?
Il mio suggerimento è di lasciar perdere la pratica del design come lo abbiamo conosciuto sin qui, il design non è solo progettare sedie, tavoli e vasi, il design è un atteggiamento mentale di purezza e logica, di utopia e realismo insieme, e se siamo capaci di applicare questo atteggiamento a ogni cosa che ci apprestiamo a fare, anche la più distante dal mondo del design tradizionale, sono certo che faremo del bene alla comunità e a noi stessi.
Paolo Ulian. La leggerezza delle intuizioni
a cura di Associazione culturale Imaginificat e Elisa Zannoni
con il sostegno di Valcucine Spa, Driade, Paola Lenti srl, Schiffini, Bonacina1889, Ceccotticollezioni, Danese, Artemide, Roda, Bufalini marmi, Archimek, Le Fablier, Giulio Vanelli Marmi, Sanlorenzoyacht, G.I.A.D.A. srl, Zava, Carraradesignfactory, Alpha marmi
30 aprile – 29 maggio 2016
Palazzo Mediceo
Viale Leonetto Amadei 230, Seravezza (LU)
Orario: da giovedì a domenica 16.00-20.00
Ingresso libero
Info: +39 334 3642524; +39 349 7252647
imaginificat@gmail.com