VIENNA | ateliermultimedia | 20 maggio – 3 luglio 2016
Intervista a DARIO MOLINARO di Francesca De Filippi
Dario Molinaro, classe 1985, è un giovane artista che potremmo definire come un “tenace operaio dell’arte”. Lo conosco da moltissimo tempo e ciò che ho sempre ammirato in lui è proprio la sua naturale e instancabile dedizione alla pratica. Matite, fogli da disegno, colori, pennelli, sono le vere e proprie emanazioni della sua personalità, il riflesso “figurato” del suo immaginario, delle sue riflessioni e dei suoi continui studi. Disegna e appunta ossessivamente tutti gli stimoli e tutte situazioni o gli oggetti che attirano la sua attenzione e che poi ricompone sul piano della rappresentazione quasi fossero annotazioni scientifiche, pregne però dei dettami dell’inconscio, personale e collettivo. E tanto è vero questo, che proprio il titolo della sua ultima personale Fritto, nasce per gioco dallo “sfottò” di un amico, che andandolo a trovare nella sua casa studio di Milano, lo rimprovera che tutti gli ambienti siano sempre intrisi dell’odore della trementina, dell’olio e dei colori, come fosse una friggitoria. In occasione di quest’ultima mostra presso l’Ateliermultimedia Galerie di Vienna, a cura di Annalisa Mentana, l’ho incontrato per due chiacchiere. Qui di seguito una sintesi della nostra piacevole conversazione…
Il tuo lavoro parte dall’illustrazione ed è chiara la fascinazione che hai sempre subito dalla street art. Oggi ti stai confrontando con una pittura pastosa in continua evoluzione, estremamente simbolica e quasi “sintetica”, in cui la materia si condensa nel colore. Quali sono stati gli stimoli che dal disegno ti hanno portato a tela e pennelli?
Semplicemente il lavoro, la pratica. Dipingere e disegnare quotidianamente è importantissimo, ho bisogno di immagini. La pittura e il disegno necessitano di una applicazione costante e giornaliera. In questo modo riesco a sviluppare nuove soluzioni, il tutto ovviamente condito da un immaginario personale che parte dalla letteratura, la filosofia, il cinema, passando per la medicina e la geografia fino ad arrivare alle derivazioni più estreme della contemporaneità come il trash. Lo studio fatto negli ultimi 4 anni porta ai risultati odierni, ma non basta, bisogna andare avanti sempre e magari tra qualche anno parleremo di una ulteriore crescita pittorica. Mi piace la materia e mi diverte modellarla. In certi momenti lavoro come uno scultore.
Insieme alla pittura realizzi anche opere in cui il disegno in bianco e nero si contamina al colore, creando un interessante gioco di piani della rappresentazione. Quali sono gli aspetti che più ti affascinano di questa contaminazione?
Il disegno ancor più della pittura è la massima espressione della mia ricerca. Se da una parte è quasi un diario personale fatto di segni, grazie al quale riesco ad archiviare e raccogliere tutti gli stimoli e le suggestioni che mi coinvolgono, dall’altra è una base, un punto di partenza, crea le fondamenta per il lavoro pittorico. Anche l’approccio al disegno col tempo è cambiato, prima era molto più “strutturato” ed estremamente didascalico, oggi è più morbido ed immediato quasi istintivo. Grazie al disegno è cresciuto anche il mio segno pittorico. È un momento di relax, di studio accanito. Con il disegno si ottengono effetti che con la pittura è impossibile realizzare.
Quanto incide il tuo background e il tuo immaginario nella realizzazione delle tue opere? E quanto invece incide la contemporaneità e gli immaginari collettivi?
Vale tutto. Mescolare tutti gli aspetti del mio immaginario e collettivo è il fulcro del mio lavoro. Anche le cose superficialmente banali mi affascinano e creano presupposti per lavorare, non mi piace “rinchiudermi” in argomentazioni, è una specie di flusso di coscienza e un cut-up di immagini.
Quanto è importante per te la ricerca nella tua arte e nell’arte contemporanea in genere?
È fondamentale, tutto è ricerca. Gli stimoli che provengono dal quotidiano diventano poi degli input che ti permettono di lavorare. La ricerca è anche quel momento ludico e sperimentale che ti porta a fare arte. In definitiva, questa attività è principalmente legata all’atto pratico e fisico, ma estremamente connessa al pensiero.
Nel tuo lavoro ci sono intenti che potremmo definire politici e/o sociali? E se si perché?
Politici non credo. Sicuramente sociali, anche se molto spesso il tutto è accompagnato da una fredda ironia e da una sorta di distacco emotivo. Altre volte ci sono delle espressioni nette, prese di posizione molto forti. Come dicevo in precedenza, mi piace affrontare svariati discorsi e certamente quello sociale mi interessa maggiormente, soprattutto indagare l’aspetto mentale e psicologico.
La tua ultima personale, Fritto, propone la tua ultimissima produzione in pittura. Da dove nasce il titolo della mostra? Che tipo di esperienza è stata per te a livello professionale esporre all’estero? E quali sono le tue riflessioni?
Il titolo è nato un po’ per caso, un po’ per gioco. È partito da un disegno che appunto chiamai Fritto e da un paragone fantasioso di un amico che, entrando nella mia casa studio di Milano, venne inondato dall’odore fortissimo della pittura ad olio, quasi come quando entri in una rosticceria e il fritto ti assale immediatamente. Ho voluto giocare con questa idea, creare un parallelismo tra la mia pittura e la frittura, la materia grassa. I lavori fatti e pensati appositamente per la mostra sono ironici, disperati, riflessivi, critici, alcuni hanno un’impostazione che definirei “classica”, in altri ho lavorato sul concetto di pittura stessa dove la materia e il colore si contrappongono trasformando il gesto pittorico e la massa astratta in figurazione. Sono stato molto fortunato perchè ho avuto la possibilità di lavorare liberamente ai quadri senza nessuna pressione e sono stato molto contento delle analisi dei fruitori.
Dario Molinaro. Fritto
a cura di Annalisa Mentana
20 maggio – 3 luglio 2016
ateliermultimedia
Galerie Kinderspitalgasse 13, Vienna