VENEZIA | 59. Biennale Arte | Fino al 27 novembre 2022
di FRANCESCA DI GIORGIO
In tutte le Biennali che si rispettano ci sono dei Padiglioni che restano in ombra più o meno meritatamente. È chiaro che il set, più propriamente il display dei progetti all’interno dei singoli Padiglioni, gioca un ruolo fondamentale nell’essere ricordati a distanza di tempo e assecondare le aspettative non sempre condivise: lo spettacolo.
Se penso alla “mie” biennali, senza meditare troppo, ho delle immagini che prevalgono sulle altre. BOY, il mega bimbo iperrealista, accovacciato di Ron Mueck e La nona ora, Papa Giovanni Paolo II (al secolo, Karol Wojtyła) abbattuto da un meteorite di Maurizio Cattelan, entrambe nella 49. Biennale d’Arte, la Platea dell’Umanità firmata da Harald Szeemann nel 2001. Ricordo gli AES+F con il video Last Riot per il Padiglione Russia nel 2007. Impossibile non pensare ai giovanissimi guerrieri dei loro video e all’immaginario apparentemente distopico in cui agiscono alla luce del clima di guerra e alla mancata partecipazione del Padiglione russo alla 59. Biennale. Proprio nei giorni del pre-opening dell’evento veneziano, il collettivo di artisti ha comunicato la sua presa di posizione netta: cancellate tutte le prossime mostre con le istituzioni statali russe, nessun progetto in Russia fino a quando il regime di Putin sarà al potere.
E, ancora, penso a Death of a collector, il manichino “annegato” in piscina del duo scandinavo Elmgreen & Dragset, all’ingresso del Padiglione dei Paesi Nordici nel 2009, a Senza Titolo (La Fine del Mondo), l’installazione monumentale di Giorgio Andreotta Calò per Il Mondo magico del Padiglione Italia di Cecilia Alemani nel 2017.
Sicura che ricorderò anche Gyre, l’avveniristica ed ipnotica matassa/serpente di Yunchul Kim, del Padiglione Corea di quest’anno.
È chiaro che in tutte le opere citate a predominare è la grande installazione spettacolare, immersiva. Accade anche l’esatto contrario. Restano anche alcuni interventi all’apparenza defilati, dall’energia sottesa e a tratti ambigua. Restano i contenuti che parlano delle persone e dei luoghi da cui provengono e che si riappropriano di qualcosa che si è dimenticato o, nel tempo, si è perso.
Sono storie di debita riappropriazione di identità culturali, a volte dimenticate a volte distorte, quelle raccontate all’interno dai Padiglioni Danimarca, Belgio e Israele.
Si tratta di una ipotetica fiaba nordica spiazzante quella di Uffe Isolotto per la Danimarca «un dramma di vita e morte, speranza e disperazione, in un mondo transumano abitato da centauri» recita lo statement del padiglione che ci pone di fronte ad «un’esperienza di essere umani in un’epoca in cui la vita umana sta diventando sempre più integrata, se non inseparabile, da contesti e processi che sono sia diversi dall’umano che più grandi dell’umano stesso. Ciò significa che dobbiamo ampliare la nozione di cosa significhi essere umani? Questa è la domanda fondamentale che si pone l’installazione» spiega il curatore Jacob Lillemose dal profilo instagram del Padiglione (@wewalkedtheearth).
We Walked the Earth di Uffe Isolotto mette in scena la tragedia di una famiglia di centauri. Nelle stanze/stalle del padiglione si sviluppano i momenti di un dramma non immediatamente percepibile ma che si svela poco a poco davanti ai nostri occhi. In una fattoria danese, apparentemente idilliaca, ci si trova in faccia la morte in maniera inspiegabile. È una allucinazione? Cos’è successo ai Centauri e al loro mondo?
La perfetta riproduzione degli scenari, degni di un set cinematografico, ci catapulta in un ambiente verosimile ma lontanissimo da noi anche se il titolo rimanda al loro passaggio sulla terra. Eppure, l’ipotesi di vivere una vita semplice ed autosufficiente ci lusinga contemporaneamente all’idea di viverla al passo con le nuove tecnologie.
Qual è il nostro destino? Guardare indietro o avanti per trovare soluzioni ai problemi del mondo?
Estremamente calato nei fatti del mondo The Nature of the Game, è un’installazione di filmati concepita dall’artista Francis Alÿs per il Padiglione Belgio. Nuovi video come DR Congo e vecchi girati, realizzati, dal 1999 ad oggi, in Iraq, Hong Kong, Repubblica Democratica del Congo, Belgio e Messico passano su grandi schermi. Una selva di schermi. Un padiglione come un grande campo da gioco popolato da 14 video. I ritratti di bambini colti a giocare in spazi pubblici diversi diventano traccia della loro realtà e degli eventi bellici o politici del luogo in cui vivono. Attraverso il gioco scopriamo tradizioni culturali e riconosciamo l’inconsapevole natura universale di alcuni gesti, perché il gioco fa parte della vita di ognuno di noi, in ogni parte del mondo e in ogni contesto sociale e culturale.
All’ingresso del padiglione una serie di piccole, splendide e delicatissime pitture, realizzate tra il 1994 e il 2021, che forniscono una testimonianza grafica del contesto paesaggistico dove alcuni di questi video sono stati realizzati. Anche a voi fa pensare al fatto che è sempre più raro vedere bambini che giocano all’aperto e negli spazi pubblici? E, poi c’è forse qualcosa di più serio del gioco per capire il mondo? Dobbiamo ricordarlo.
È una storia di dimenticanza e riappropriazione quella che si svela nel Padiglione Israele affidato all’artista Ilit Azoulay che, a partire dal titolo, Queendom, pone l’attenzione sul genere femminile di Regno sfidando riferimenti nazionali maschili di conoscenza e trasferimento delle informazioni. Azoulay ha lavorato negli spazi del Padiglione con grandi fotomontaggi panoramici insieme ad un’installazione sonora e interventi architettonici.
L’artista, che abitualmente lavora attraverso il mezzo fotografico, scomponendo e ricomponendo i diversi elementi come in un set, mette in discussione l’intera struttura del padiglione: la sua architettura e il suo scopo.
Il padiglione è stato costruito dopo l’emergere dello stato israeliano all’inizio degli Anni ’50, la sua architettura Bauhaus riflette il desiderio del Paese di essere percepito come parte del mondo dell’arte modernista, occidentale e progressista: incarna una pretesa eurocentrica. Il fatto di essere collocato proprio nel mezzo dei Giardini è stato elemento importante per l’immagine della scena artistica israeliana nel contesto europeo.
In Queendom la Azoulay esplora e reinterpreta la ricca collezione d’arte islamica del celebre archeologo ebreo, di origine anglo-austriache, David Storm Rice (1913-1962), donata, dopo la sua morte, al Museum of Islamic Art di Gerusalemme. L’artista ha scelto immagini particolari: vasi in metallo islamici del periodo medievale, la cui storia li ha portati dal Medio Oriente verso l’Europa, attraverso Venezia, entrando a fare parte delle collezioni dei musei occidentali. I cimeli della collezione, decomposti e riassemblati attraverso fotomontaggi, propongono, quindi, una lettura stratificata e non lineare della storia. Tutto sotto uno stesso “cielo” – il blu delle pareti e di alcuni elementi architettonici del padiglione – dalla nuova e visionaria prospettiva.
Danimarca
We Walked the Earth
Commissario: Danish Arts Foundation
Curatore: Jacob Lillemose
Artista: Uffe Isolotto
Belgio
The Nature of the Game
Commissari: Jan Jambon, Minister-president of the Government of Flanders e Flemish Minister for Foreign Affairs, Culture, ICT e Facility Management
Curatore: Hilde Teerlinck
Artista: Francis Alÿs
Israele
Queendom
Commissari: Michael Gov, Arad Turgeman
Curatore: Shelley Harten
Artista: Ilit Azoulay
59. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
23 aprile 2022 – 27 novembre 2022
Giardini della Biennale, Venezia