ANDORA (SV) | Palazzo Tagliaferro | Fino al 1 agosto 2021 e MILANO – Malpensa | Aeroporto | Fino a dicembre 2021
Intervista a DANIELE SIGALOT di Francesca Di Giorgio
«Ciao Francesca, non ci conosciamo ancora ma confido sulla reversibilità di questa condizione. Ti scrivo perché volevo condividere con te una mostra che ho realizzato e che vive il paradosso di non essere ancora inaugurata e di essere tuttavia l’unica mostra aperta al pubblico in Italia. Si tratta infatti di un’installazione esposta all’aeroporto di Milano Malpensa, dove rimarrà almeno per tutto il 2021. L’installazione consiste in 12 mappe di 12 città incise al laser su lastre di acciaio lucido e disposte in un cerchio di 35 m di circonferenza. Quando qualcuno si specchia in una di queste lastre, l’immagine che gli viene restituita è un caleidoscopio di lineamenti rimodellati e plasmati dalle strade e dagli edifici della città incisa sull’acciaio. Esattamente come le città dove nasciamo e cresciamo ci formano e trasformano continuamente. Il catalogo che ti invio descrive ampiamente questo lavoro e, poi, racconta anche gli ultimi sette anni di ciò che ho fatto. Spero ti incuriosisca o quanto meno ti serva come tagliere sotto a bel salame stagionato. Se ci sarà l’occasione per fare l’inaugurazione non mancherò di invitarti/vi. Un saluto, Daniele».
Era marzo 2021, quello che è successo dopo ve lo racconto con Daniele Sigalot in questa intervista che, nell’ordine, segue a: la mia lettura della monografia Skira (un grande volume cartonato che rende l’idea di voler contenere A portrait of everyone, everywhere, per citare il titolo del progetto in corso a Milano Malpensa), la mia visita alla mostra Daniele Sigalot. Una Sfida al Nulla, a cura di Viana Conti e Christine Enrile a Palazzo Tagliaferro di Andora (SV) e, non ultima, la telefonata del 21 giugno, il giorno prima dello shooting che ha trasformato un centinaio di persone nella mappa di una città…
Lo spunto per la mia prima domanda arriva dal titolo della tua personale in corso a Palazzo Tagliaferro, Una Sfida al Nulla. La sfida è uno dei moventi che ti ha portato a fare ciò che fai. Essere un artista può essere qualcosa che capita ma, poi, hai incrociato l’intenzione di diventarlo?
Inizio a risponderti auto-citando la quarta di copertina della pubblicazione di Skira di cui sopra: “Non ho mai voluto essere un artista. È stato un incidente, ci sono praticamente caduto nel mondo dell’arte. Ma invece di uscirne subito ho cominciato a scavare, e ormai son così in fondo che per trovar l’uscita mi conviene continuare a scavare.” Quanto al titolo della mostra a Palazzo Tagliaferro, quello è frutto di Viana Conti, la curatrice. Più che alle sfide ambisco alla scomodità. Cerco, quando la mia paura si distrae, di fare cose di cui non sono capace, forzandomi a uscire in territori sconosciuti, che poi mi portano a conoscere la gente che sa fare molto bene quelle cose e che poi mi permettono di dire che le ho fatte io.
Ci sarà qualcosa o qualcuno che ti ha convinto a restare nel mondo dell’arte. Mi riferisco ad incontri fisici e/o ideali…
Come dicevo prima, non è una scelta restare nel mondo dell’arte. Non saprei dove altro andare. E comunque a parte le categorie dei grandi presuntuosi, se riesci a farti strada tra gli ego giganteschi di chi abita il pianeta arte, e scruti bene, in fondo al setaccio ci trovi persone validissime che sono grande fonte di ispirazione e che poi magari diventano anche ottimi amici. Due artisti validissimi e ottimi amici sono per esempio Dario Puggioni e Cristiano Tassinari, essenziali per superare i punti più bassi della mia carriera, quelli dove l’acqua era alta e i piedi di piombo.
Torniamo a parlare della mostra a Palazzo Tagliaferro, a volte si ha quasi la sensazione di non assistere ad una personale. La dimensione installativa è evidente per tutte le opere, ognuna comunica una forte indipendenza pur con elementi ricorrenti come la presenza della parola, del colore usato come elemento significante, della ripetizione come impulso seriale, dell’ironia, del rapporto da stabilire con lo spazio e con le persone…
È vero sembra una collettiva. Ma come dici tu ci sono dei fili conduttori. Quando posso cerco di spostare la mia produzione in territori nuovi. A volte lontani, a volte limitrofi a quelli dove ho già la residenza. La mostra a Palazzo Tagliaferro è stata pensata ovviamente in virtù dello spazio, avere 7 sale separate è stato un invito a lavorare su 7 opere indipendenti e differenti. Fosse stato un unico grande spazio avrei fatto sicuramente qualcosa di diverso. Qui invece potevo accompagnare il visitatore in 7 posti diversi. Alla fine è un po’ come una casa, con ambienti diversi. Analogia che mi spinge a riflettere su quale delle 7 stanze sarebbe il bagno.
L’attitudine scultorea è certamente un tuo tratto distintivo. La collaborazione con l’azienda WEM (Magistris & Wetzel S.p.A) ti ha fatto sondare l’utilizzo dell’acciaio per molte tue opere…
Con WEM e con Marco Bracaglia c’è una collaborazione in corso, iniziata nel 2017, quando esposi alla Reggia di Caserta due grandi sculture in acciaio lucido raffiguranti due aeroplanini di carta alti due metri. Da lì in poi ci è un po’ scappata la mano, la mostra a Malpensa e le sue dimensioni sono appunto il frutto della sinergia tra una fabbrica e un artista. È proprio questo forse il punto più interessante da esplorare, più che con l’acciaio, materiale che di suo va gestito con strumenti industriali, è appunto avere a disposizione una fabbrica e una serie di macchinari capaci di tradurre un’idea in un oggetto. Questo al momento è un grande mezzo, che spero di poter sfruttare in maniere che ancora ignoro.
Il richiamo alla carta è presente in molti tuoi lavori, penso ai “totem” di carta stropicciata dei tuoi attempts at greatness, agli aeroplanini, ai post-it… Torna il senso di sfida, questa volta rappresentato da due materiali differenti come carta e alluminio.
Mi piace ingannare. Fregare l’occhio, confondere le idee. Trasformare il metallo in carta, mascherare l’essenza per concentrasi sull’apparenza. I totem di cattive idee, che poi più pomposamente ho intitolato “tentativi di grandezza”, sono una vera e propria collezioni di errori, di cui sono grandissimo produttore, che ho cercato di costringere a un percorso di redenzione, portandoli dal cestino della spazzatura dove erano destinati, a diventare l’opera che temevano di non essere. Di nuovo cerco di trasformare un errore nel suo contrario, o quantomeno di dimostrare che una somma di sbagli, se ben assemblati, può diventare qualcosa di buono.
L’installazione a Malpensa, Un ritratto di chiunque ovunque, parte da un dato autobiografico per poi assumere una dimensione decisamente allargata. La scelta di installare, in un circolo, le 12 mappe, incise su lastre di alluminio, è un invito ad entrare “in piazza” in quell’agorà ideale, cuore pulsante della vita sociale, accessibile a tutti, trasparente, senza segreti. Per certi versi ci specchiamo nel tuo lavoro ma non con l’obiettivo di rivederci identici…
Una cosa di cui vado molto orgoglioso è che in questo lavoro, io non faccio nulla. Qui mi permetto di citare quel titano di Alighiero Boetti, quando diceva che la cosa che più gli piaceva delle sue mappe era che lui non controllava nulla. Non sceglieva la morfologia delle nazioni e il colore delle bandiere. E a volte neanche il colore del mare. Ecco, con le topografie incise su acciaio, anche io non ho il controllo su nulla. Non scelgo io come sono fatte le città, e non scelgo io come sono fatti i volti di chi vi si specchia. Non prendendo neanche una decisione, quando questi elementi si sommano, il risultato è esattamente quello che cercavo.
Torniamo alla base, nel tuo studio che, da Berlino, nel 2019, hai trasferito a Napoli. Lo hai chiamato La Pizzeria. Puoi parlarci di questo spazio?
La Pizzeria apre le sue porte a Berlino nel 2010, il nome nasce da una semplice reazione, in Germania l’italiano veniva visto come degno di rispetto solo se dietro ad una cucina. Siccome amo prendere in giro, specie chi magari prende in giro me, la scelta di uno stereotipo mi è sembrata la più valida. Un altro fattore nella scelta del nome è stato porsi la domanda “come faccio a dare un nome ad uno studio che sia più figo della Factory di Andy Warhol?” La risposta è stata quella di uscire subito da un campo di emulazione o di insana competizione e di spostarsi di nuovo su un territorio a me più consono, quello del cazzeggio. Un’ultima cosa da dire sulla Pizzeria, che poi senza alcuna falsa modestia, è anche la cosa più bella che faccio, è il torneo di calcio 2 vs 2 tra artisti, galleristi, curatori, creativi, musicisti e anche gente con lavori più rispettabili, che organizzo ogni anno e che porta il nome di Coppa Pizzeria. Un torneo che ha pochissimo a che fare col calcio e molte più affinità con l’Oktoberfest ed il carnevale di Viareggio. Una coppa dalle regole strampalate, dove per esempio viene fatto l’etilometro a chi segna un gol, e se il tasso di alcol indica la sobrietà il gol viene annullato.
Daniele Sigalot. Una Sfida al Nulla
a cura di Viana Conti e Christine Enrile
main partner WEM EMPOWERING ART PLATFORM
Fino al 1 agosto 2021
Palazzo Tagliaferro
Largo Milano, Andora (SV)
Orari: da giovedì a domenica ore 19.00 – 23.00 ingresso libero
Info: +39 348 90 31 514
info@palazzotagliaferro.it
www.palazzotagliaferro.it
A PORTRAIT OF EVERYONE, EVERYWHERE
installazione all’ingresso del Terminal 1 dell’aeroporto MPX di Milano
a cura di Luca Beatrice in collaborazione con l’azienda Wetzel&Magistris
con il patrocinio di SEA – Milan Airports e del Comune di Milano
Fino a dicembre 2021
Prossimo evento:
Partecipazione a Biennale Le Latitudini dell’Arte
Dal 10 Luglio 2021
Pulchri Studio, a Den Haag (L’Aia)
Info: www.artcommissionevents.com