VENEZIA | 59. BIENNALE ARTE | FINO AL 27 NOVEMBRE 2022
PADIGLIONI SPAGNA | GERMANIA | MALTA | AUSTRALIA
di MATTEO GALBIATI*
Una certa affinità con le modalità espressive adottate da Gian Maria Tosatti per il Padiglione Italia si ritrovano anche in altri padiglioni nazionali che compongono questa 59. Biennale di Venezia. È interessante vedere, innanzitutto, come, cortocircuitando la singolarità autonoma con cui si vogliono interpretare le singole partecipazioni alla kermesse veneziana, si possano trovare chiavi interpretative che avvicinano ad un “comune sentire”, forse specchio delle necessità dei tempi attuali, le sensibilità differenti con cui gli artisti hanno definito le proprie progettualità in occasione del blasonato evento internazionale veneziano.
Visitando i Giardini e l’Arsenale abbiamo trovato che i temi del vuoto, dell’assenza e della distanza, in cui viene calato lo spettatore, siano suggestioni ricorrenti, rintracciabili in un’esperienza vivibile, oltre che nel nostro padiglione, anche in diversi altri progetti che avvicinano, con questo ideale filo conduttore, attitudini e pensieri, motivazioni e convincimenti, spunti e intenzioni assai diverse tra loro. Se l’esito formale è diverso, le sensazioni che si toccano, le vibrazioni che si percepiscono sono del tutto consonanti. Si sfiorano le stesse corde sensibili e le risultanze singole si ritrovano ad intonarsi ad un più corale modo di percepire e di lasciarsi influenzare da quello smarrimento denso di interrogativi che il visitatore sente in modo soverchiante.
Il primo luogo che accoglie subito con l’ingombrante senso di assenza e vuoto è il Padiglione Spagna in cui Ignasi Aballí (1958) lavora concettualmente sull’identità architettonica della struttura e prova a “correggere” un errore di disallineamento esistente tra il padiglione iberico e i due vicini. Dieci gradi, una differenza appena riscontrabile che, però, corretta e colmata all’interno, ridefinisce lo spazio con l’aggiunta di pareti nuove a ripristinare quel “deficit” iniziale. Dimensioni diverse per lo zoccolo e un bianco differente enfatizzano, sempre in un gioco di minimi dettagli, l’originale da quanto l’artista ha ricreato ex novo. Lo sguardo di chi entra si muove tentennando, cercando di capire cosa e dove guardare, conscio che il suo stesso vagare alla ricerca dell’opera lo obbliga a osservare il luogo con un’attenzione mai prestatagli prima. Aballí ritoccando l’architettura del padiglione, nell’anno del suo centenario, prova a ristabilire la sua identità rispetto alla storia della Biennale, ma anche al suo essere parte in relazione con la struttura dell’intera città di Venezia. Contenuto e contenitore si autodefiniscono in modo ancora più coeso e se, apparentemente non è evidente il senso di quanto “collocato” e di quello che “si deve ammirare”, la riflessione non superficiale di questo “nulla” amplifica la portata e il valore della sua investigazione concettuale. Aballí poi dissemina per la città sette libretti, che corrispondono a pari fasi della sua ricerca artistica e che, dal padiglione, costringono il visitatore a cercare un itinerario per ritrovarli in luoghi insoliti di Venezia. Un modo per allacciare ancora, in un continuo gioco di stratificazioni di storie, tensioni e percorsi singoli che ciascuno, in proprio, può animare e attivare di sua volontà, estendendo l’originario stimolo dato dall’artista ad infinite altre esperienze possibili.
Ripercorrendo la storia espositiva del padiglione nazionale anche Maria Eichhorn compie un’operazione analoga impegnandosi in una sorta di atto di dissezione architettonica, un recupero archeologico che prova a riportare alla luce le tracce dell’originale struttura architettonica del Padiglione Germania che, nel corso dei decenni, dal 1909 anno della sua costruzione, ha subito svariate modifiche e interventi, il maggiore dei quali nel 1938 atto a restituire un’impronta più monumentale che rispecchiasse il primato dell’estetica nazi-fascista. Ecco allora che anche qui gli ambienti interni restano vuoti, non ci sono opere vere e proprie, non ci sono “feticci” inseriti a posteriori; il luogo non è più contenitore, ma, ancora una volta, si fa contenuto che, attraverso le “cicatrici” del tempo, ripercorre la sua stessa storia e mette in evidenza l’organizzazione strutturale nel divenire dell’edificio come incubatore di tempo e spazio. Allo spettatore non resta altro che vagare nel vuoto per recuperare tracce e osservare come originariamente l’architettura avesse un rispetto della dimensione umana e, successivamente, sia diventata uno strumento propagandistico. Con Relocating a Structure non solo si ricolloca una struttura, ma anche si ripensa, più in generale, alle implicazioni estetiche, artistiche, filosofiche e, addirittura, socio-politiche che attraversano da sempre l’esistenza dell’uomo. A riprova di ciò, come per Aballí, anche lei ha pensato a un’estensione e una connessione con la città: Eichhorn ha, infatti, collaborato ad una piccola guida e a visite guidate nei luoghi della memoria della Resistenza antifascista, con l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser).
Una connessione a distanza, potente, disarmante e intensa, è quella che Arcangelo Sassolino (con una pioggia di acciaio liquido), Giuseppe Schembri Bonaci (con una serie di incisioni) e Brian Schembri (con una partitura percussiva) propongono per il Padiglione Malta, richiamando all’attualità la poderosa drammaticità teatrale della Decollazione di San Giovanni Battista del Caravaggio. La drammaturgia pittorica del Merisi incontra l’intreccio semantico costituito dalle personalità dei tre artisti che generano una perfetta macchina visiva che coglie di sorpresa il visitatore annichilendolo. Nella semi oscurità è sollecitato dall’imprevedibilità degli eventi che gli si parano dinnanzi a contemplare energie imponderabili, che si definiscono come evento fisico percepibile in un repertino cambio di stato, dal gioco tra gli elementi al ritmo sonoro di canti e di inni quasi snaturati nella loro natura fino al cifrario inciso che guida ad una trascendenza che trasfigura la realtà. Se l’inizio è Caravaggio e la sua opera maltese, quello che si coglie poi in Diplomazija Astuta è l’attualizzazione di un mistero più grande e allargato che supera l’atemporalità del dramma caravaggesco e che trascende addirittura i confini culturali dell’isola per essere esperienza umana. L’attesa è davanti ad un processo di transizione, tribolata e paurosa, inevitabile quanto imponderabile; un processo di cambiamento che riguarda tutti, ma che tutti devono poter accogliere nel silenzio della propria intimità sensibile. La teofanica apparizione alienante del mistero affascina, ma allo stesso tempo disorienta.
Anche il flusso di immagini in scala monumentale di Desastres è incombente nel suo annichilire e sconcertare chi visita il Padiglione Australia: l’artista di origini italiane Marco Fusinato ha pensato di rendere evolutivo il suo intervento suonando una chitarra acustica in una performance lunga tutto il periodo espositivo. L’artista presente interpreta con il suono prorompente un’incessante pioggia di immagini che, provenienti da mass media, dai grandi classici dell’arte, da flussi di ricerche online, si fondono con la vibrante potenza musicale in una frequenza nuova dove visione e ascolto cercano una sintesi impossibile nella lontananza della loro origine. Questo vuoto spetta allo spettatore colmarlo e ridefinirlo: il “frastuono”, che percepisce e cui è sottoposto, agisce per una tensione di opposti cui l’artista fa forza come silenzio-rumore, suono-immagine, ordine-caos, contaminazione-purificazione… La presenza di Fusinato agisce come catalizzatore di presenze nella riduzione di distanze che separano gli individui, le sue tracce idealmente stimolano con energia, sollecitano l’urgenza di ristabilire quelle connessioni perdute e di destabilizzare a tal punto da ricordare di essere vivi.
La s-materializzazione dell’istituto dell’opera stessa assume allora in tutti un portato significante e, nel mantra della lontananza di chi si trova ad osservarla e a definirla, nel suo abbandono nel momento decisivo della comprensione si intuisce quanto importante sia ancora l’individualità come motore di cambiamento, la storia come beneficio di esperienze, le tradizioni come radici vitali del sapere e l’arte come possibilità di ri-identificare il tutto. Mezzo per rimodificare il proprio stare nel mondo a vantaggio di una nuova possibile comunità e collettività umana fatta di migliori relazioni e più forti connessioni.
* Estratto da Espoarte #118 (Trimestre n.3, 2022) all’interno dello “Speciale 59. Biennale Arte”
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Australia
Marco Fusinato Desastres
Commissario Australia Council for the Arts
Curatore Alexie Glass-Kantor
Artista Marco Fusinato
Germania
Relocating a Structure
Commissario ifa – Institut für Auslandsbeziehungen
Curatore Yilmaz Dziewior
Artista Maria Eichhorn
Malta
Diplomazija Astuta
Commissario Commissario Arts Council Malta
Curatori Keith Sciberras e Jeffrey Uslip
Artisti Arcangelo Sassolino, Giuseppe Schembri Bonaci, Brian Schembri
Spagna
Correction
Commissari Ministerio de Asuntos Exteriores, Unión Europea y Cooperación de España; AECID Agencia Española de Cooperación Internacional para el Desarrollo
Curatore Beatriz Espejo
Artista Ignasi Aballí
59. Esposizione Internazionale d’Arte
La Biennale di Venezia
23 aprile 2022 – 27 novembre 2022
Giardini della Biennale e Tese delle Vergini, Arsenale, Venezia
www.labiennale.org/it/arte/2022/partecipazioni-nazionali