Ciclo incontri | sedi varie | gennaio – maggio 2016
Intervista a GIUSEPPE DE MITA di Matteo Galbiati
Dopo i primi due appuntamenti ad Ercolano e Benevento, proseguirà a Sorrento (in aprile) e a Napoli (in maggio) il ciclo di incontri Il capitale culturale: sfida per un nuovo Mezzogiorno che vuole promuovere un intenso e fitto dibattito tra le voci diverse di chi, nel Sud, è attivamente impegnato nel settore culturale, svolgendo un’importante azione di promozione e rilancio di risorse inesauribili come quelle legate alla cultura e al turismo.
Un capitale spesso inespresso, mal gestito, oppure sfruttato senza le opportuni reti che ne aumenterebbero la valorizzazione, questi appuntamenti voglio creare un movimento di idee e persone che diventi propositivo proprio nel generare un coordinamento capace di rendere funzionale e produttivo l’ingente patrimonio di cultura che caratterizza il nostro Mezzogiorno. In tempi di crisi, di difficoltà, di generale sfiducia rispetto le occupazioni tradizionali, partire di nuovo dal territorio per il territorio esaltandone i patrimoni presenti potrebbe essere un’intuizione vincente.
La cultura potrebbe diventare, quindi, un potente motore propulsivo di risveglio non solo culturale, ma anche economico, sociale e istituzionale che rivitalizzerebbe intere collettività.
Ideatore e promotore di questa serie di iniziative è l’onorevole Giuseppe De Mita che abbiamo intervistato per avere un report sui primi incontri e sui contenuti di questa iniziativa:
Come è nata l’idea di questo ciclo di appuntamenti e di discussioni?
L’idea di questo ciclo di incontri è nata da una considerazione che non so quanto sia scontata o elementare: sulla crisi o sulle fratture, che stiamo vivendo dal punto di vista sociale, economico, istituzionale e politico, sta emergendo un’opinione che inizia ad essere diffusa, e cioè che siamo di fronte ad una modifica strutturale dell’architettura delle nostre comunità, una modifica che implica, come premessa, una risposta ed una riflessione di tipo culturale. È curioso, e per certi versi esplicativo della difficoltà a venir fuori da una condizione immobile, verificare come, essendo crollate le vecchie infrastrutture, la nostra cassetta degli attrezzi culturali sia esigua e sia fatta soprattutto di strumenti per rompere e di pochissimi utili per costruire. Quest’idea di dare vita ad appuntamenti di discussione nasce, perciò, dalla considerazione che c’è la necessità di elaborare, sulla scorta dei grandi filoni culturali del nostro Paese, un’attrezzatura culturale adeguata ai problemi del presente.
Mezzogiorno e cultura un binomio davvero possibile – aldilà delle ricchissime risorse culturali che innegabilmente contraddistinguono le regioni del Sud – è concretamente realizzabile per il rilancio di queste aree? Facendo conto con scarsi investimenti, problematicità croniche, tagli, spending review…
Per intenderci: i termini del rapporto non dovrebbero essere Mezzogiorno e cultura. La questione non è il rapporto tra la cultura ed un luogo, quanto il rapporto tra la cultura e l’agire, laddove la riflessione culturale sia il retroterra in termini di motivazione di un’azione. La questione centrale è questa: recuperare la cultura come retroterra dell’agire. Se è questo il rapporto, allora può avere una sua rappresentazione anche in un luogo ed in un luogo come il Mezzogiorno. Perché si potrebbe dire che, in un ribaltamento totale degli schemi abituali, il ragionamento non dovrebbe essere più basato sulla logica del divario, ma sulla logica delle opportunità. Se il ribaltamento è così radicale, allora non ci sarà una questione di tagli o di spending review, perché avremo un ragionamento che si colloca tutto dentro una prospettiva totalmente nuova.
Avete già proposto due incontri a Ercolano e a Benevento, quali sono i primi risultati e le prime idee concrete emerse?
Siamo partiti da Ercolano un po’ simbolicamente. Quando si è svolta la nostra iniziativa, eravamo a pochi giorni dalla designazione della Città Capitale Italiana della Cultura per il 2017 e c’era la candidatura di Ercolano che ha fatto seguito a quella di qualche mese prima a Capitale Europea. Ci siamo posti la domanda se questo insistere sulla candidatura di Ercolano fosse dentro uno scherma che vedesse la cultura come un bene di consumo o se questa operazione non potesse essere declinata in termini eversivi: vivere la cultura non come qualcosa da utilizzare, ma come qualcosa della quale noi potessimo diventare strumento. Poi c’è stato il confronto di Benevento come il passante di una cucitura che legasse aree geografiche diverse dentro uno stesso ragionamento per dare respiro ed omogeneità a questo percorso che in questa fase è soprattutto di discussione. Il primo risultato è stato quello di aver avviato la discussione ed aver raccolto una serie di disponibilità a ribaltare uno schema. È prematuro parlare di idee già definite: c’è una gestazione in corso e che è evidente che debba maturare.
Chi partecipa agli incontri, quali esperti si confrontano e a che pubblico si rivolgono?
Non partecipano esperti, partecipano persone che si mettono in discussione, che mettono in discussione la propria esperienza e che sono animate da questa voglia di essere eversivi, dove l’eversione non è sul crinale della rottura intesa nei termini noti, quelli della rottamazione per intenderci, ma è sul piano del recupero della prospettiva storica e della costruzione di una sfida verso il futuro che sappia recuperare la memoria.
Su che tipo di risorse culturali puntate? Quali progetti pensate e auspicate?
Non immagino una risorsa culturale in termini materiali ma una risorsa culturale in termini politici come attenzione alla comunità, alla città in senso etimologico. I progetti ed il percorso, che ha certo necessità di una sua dimensione concreta, possono essere solo la naturale conseguenza di come questa gestazione vada a compimento. Dobbiamo avere la pazienza di lasciare che le cose maturino in maniera naturale. Oggi c’è un’esigenza che ha la necessità di tradursi in un pensiero condiviso sulle sue ragioni e sulle prospettive. Solo allora potrà diventare progetto e quindi fatto. È chiaro come non sarebbe più un progetto così come l’abbiamo conosciuto finora, ma rappresenterebbe più che altro una prospettiva.
Quali sono, invece, le criticità? Quali sono gli ostacoli e le difficoltà da superare e vincere?
Le criticità sono rappresentate da noi, dalla rigidità involontaria a cambiare le nostre abitudini. E la difficoltà più grande è coltivare la memoria, non come ricordo nostalgico, ma come radicamento storico del futuro. La difficoltà vera non sta nelle cose, ma abita dentro di noi.
Come sta reagendo il territorio alle vostre sollecitazioni?
C’è curiosità e c’è diffidenza. Perché dobbiamo essere tutti consapevoli del fatto che un percorso come questo non è di certo agevole. Non ha una soluzione immediata, non è un modello di gestione di un museo, ma è il recupero della centralità della questione antropologica. Abbiamo, però, questa ambizione: vogliamo parlare al mondo dell’arte o ci proviamo come l’interlocuzione con un mondo che è fatto di possibili avanguardie, di un mondo a cui si vorrebbe dare uno spazio di libertà di espressione perché la libera manifestazione di queste avanguardie possa profeticamente aiutarci ad individuare una via d’uscita.
Vi state muovendo pensando alla regione del Sannio, ma pensate si possa estendere il vostro progetto anche ad altre realtà regionali? Non pensa sia importante creare una rete virtuosa?
In questa fase è come se volessimo accendere dei fuochi per illuminare la notte. Non c’è, perciò, un punto specifico del territorio da cui partire.
Quali sono i prossimi appuntamenti?
Stiamo pensando ai prossimi appuntamenti. Immagino un prossimo incontro in Penisola Sorrentina e immagino ovviamente a Napoli così come penso ad un confronto in Irpinia. Credo che ci muoveremo dove ci sono le condizioni per farlo.
Il suo grande sogno rispetto al patrimonio culturale che, ad oggi, resta inespresso, sommerso o “maltrattato”?
Più che un sogno, il mio è un desiderio e cioè che questo tentativo diventi un fatto politico nell’accezione più ampia del termine, diventi un motore di cambiamento. Possa, cioè, innescare una competizione o anche conflitti tra punti di vista diversi, tra diversi modi di interpretare questa questione affinché il fisiologico attrito generi una novità. Mi augurerei che il patrimonio culturale inteso come pensiero possa generare un fatto politico di rilievo.
Il capitale culturale: sfida per un nuovo Mezzogiorno
ciclo di incontri da un’idea di Giuseppe De Mita
gennaio – maggio 2016
Info: www.giuseppedemita.it