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#CROSSINGOVER

Appuntamento periodico online con la rubrica Crossingover, a cura di Alessandra Frosini. Un viaggio attorno all’idea di Museo nella sua forma ideale e concreta, per molti (troppi) ancora oggi considerato il luogo statico di conservazione della memoria mentre stiamo sempre di più imparando a riconoscerlo come luogo di produzione e ad accoglierne i suoi lati sempre più cangianti e necessariamente mutevoli.

Joseph Cornell. Museo come invito al viaggio

di ALESSANDRA FROSINI

Quelle assemblate dall’artista americano Joseph Cornell (1903-1972) sono delle piccole wunderkammer, camere delle meraviglie, vere antesignane del museo come oggi lo conosciamo. Ephemera di oggetti tra i più disparati, comprati o ritrovati per strada: fotografie, fogli di giornali e riviste, souvenirs, biglietti dei treni, rami, conchiglie, chiavi, piume, molle metalliche, foglie e molto altro.

Joseph Cornell, Untitled The Crystal Cage Portrait of Berenice, 1934-1967 ©Joseph Cornell

La tecnica dell’assemblaggio – di cui è considerato uno dei pionieri –, ottenuta con associazioni casuali, la metodologia di lavoro e l’isolamento dalle vicende storiche contemporanee lo avvicinano alla corrente del Surrealismo, a cui però non ha mai aderito.
Negli anni Trenta inizia a realizzare le sue Shadow Boxes, scatole di legno chiuse da un vetro all’interno delle quali combinava quegli oggetti raccolti in assemblage densi di suggestione, sviluppando una visione intima del reale, una sorta di raccolta di “reliquie”, di appunti visivi ed emotivi di un passato non vissuto direttamente ma evocato dagli oggetti, che creano un piccolo universo bastevole a se stesso dentro ogni scatola. È un archivio di frammenti concentrato sul dettaglio e sul marginale, sembra quasi il risultato della ricerca di ricostruzione e di comprensione personale del mondo, fatto attraverso questi souvenirs di viaggi immaginari e immaginati.

Joseph Cornell, A parrot for Juan Gris, 1953 ©Joseph Cornell

Le azioni che Cornell compie e i risultati che ci propone illustrano una visione simbolica della pratica del collezionismo, ma allo stesso tempo in parte se ne discostano, nella ricerca di oggetti non rilevanti, ordinari, di elementi di secondaria importanza.
Dalle opere di Cornell emerge un particolare rapporto tra arte e memoria che passa anche attraverso la nostalgia, di cui tutto sembra intriso: la ricerca del passato che compie si concentra sulle cose che possono essere perdute, che parlano del quotidiano e delle sue manifestazioni marginali, di quello che si potrebbe definire lo spirito di una data epoca.
Negli anni Quaranta le sue scatole vengono declinate in un’altra forma, quella delle scatole-scrigno, con una serie chiamata Museum, rappresentazioni metaforiche del museo composte con bottigliette di vetro ed un elenco degli ingredienti, oppure da contenitori con fogli arrotolati con le storie di antiche civiltà. L’aspetto dei suoi precedenti boxes richiamava sia la struttura del teatro che l’allestimento dello spazio museale, mentre nelle scatole scrigno abbiamo un ulteriore passaggio: gli oggetti del museo non esistono e vengono evocati in absentia, ma la conformazione della scatola sembra quasi annullare ogni messa in scena, per far calare quegli oggetti nella totale realtà. È un invito a toccare e ad aprire le boccette di vetro e a rovesciarne le sostanze, a far sprigionare i sentori che racchiudono: le bottigliette agiscono da condensatori e attivatori di associazioni, collegamenti e contraddizioni. Così si attua la metafora della memoria come scrigno di tesori e del museo (del mondo) come invito al viaggio.

Joseph Cornell, L’egypte de mlle Cleo De Merode cours élémentaire d’histoire naturelle, 1940 ©Joseph Cornell


Info: 
https://americanart.si.edu/research/cornell

Lettura consigliata: Charles Simic, Il cacciatore di immagini. L’arte di Joseph Cornell, 1992

Leggi tutti gli altri contenuti della serie #crossingover: https://www.espoarte.net/tag/crossingover/

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