CRITICALL | #CRITICALL
Con #critiCALL torniamo ad affilare le armi del dialogo intessuto dai fitti scambi della scorsa primavera/estate con #acasatuttibene e #volver.
Dopo artisti e galleristi, senza attribuire gerarchie o classifiche, la chiamata è rivolta ora ad una selezione di critici e curatori/curatrici che, in questo preciso momento storico, si trovano a dover rispondere con maggiore consapevolezza sul loro ruolo all’interno di quello che è da tutti percepito come un sistema ma che di fatto fa parte di una struttura ancora più complessa e articolata: il mondo della cultura in perenne moto e rivoluzione.
critiCALL è la nostra chiamata a chi vuole stare dentro a quel mondo sapendo che “chi affronta qualcosa di enigmatico come l’arte non può permettersi di essere modesto. Ma neanche può permettersi di non essere umile” (Lea Vergine, L’arte non è faccenda di persone perbene, Rizzoli, 2016).
Intervista a Valentino Catricalà di Livia Savorelli
Indubbiamente quest’ultimo anno, ha visto radicalmente modificato il nostro rapporto con la tecnologia che da mero strumento è diventata, grazie al distanziamento e alla negazione del rapporto in presenza, opportunità per portare avanti molte attività del nostro quotidiano: lavorative, scolastiche, relazionali. La tecnologia è ormai parte delle nostre esistenze e contribuisce a delineare le nuove linee di un mondo che, proprio a seguito della pandemia, è improvvisamente cambiato.
Nel corso dei decenni, il rapporto tra arte e tecnologia è diventato oggetto di sempre maggiore interesse, uscendo dalla nicchia di mercato in cui era stato inizialmente relegato.
Oggi per critiCALL rivolgiamo la nostra attenzione ad un percorso curatoriale che si costruisce intorno al mondo dell’innovazione, intersecandosi all’arte contemporanea. Molte le esperienze professionali che hanno condotto Valentino Catricalà fino ad oggi, a partire dal Media Art Festival, con la Fondazione Mondo Digitale (e con essa anche la curatela della sezione “Umano o sovrumano?” nella mostra Human+. Il futuro della nostra specie tenutasi nel 2018 al Palazzo delle Esposizioni di Roma) alla Maker Faire.
Ripercorriamo con lui i più recenti traguardi professionali, tra i quali la nomina a curatore della SODA Gallery di Manchester e lecturer presso la Manchester Metropolitan University…
Il tuo percorso formativo e professionale è fortemente caratterizzato da lunghe permanenze all’estero come ricercatore. Cosa è stato determinante per definire il tuo ambito di interesse e di specializzazione? Cosa ti ha spinto verso l’analisi del rapporto tra arte e nuove tecnologie/nuovi media?
Il mio percorso professionale non è stato particolarmente lineare, altrimenti non sarei probabilmente finito a occuparmi di queste cose (ride, ndr). Ho iniziato studiando cinema e media, ma mi interessavo molto all’arte. Quando iniziai l’università non pensavo che esistesse un campo che mi permettesse di unire queste due dimensioni. Lo scoprii durante il dottorato, quando iniziai a viaggiare molto all’estero. Per ricerche (ciò che si chiama Ph.D. Visiting) andai mesi allo ZKM di Karlsruhe, alla Tate, all’Università di Dundee, al LIMA di Amsterdam. Incontrai molte persone stimolanti e iniziai a capire che esisteva un campo che univa lo studio sui media a quelli sull’arte, e così cominciai. All’epoca eravamo una nicchia, oggi è un ambito esploso anche nel mondo dell’arte contemporanea. Capii l’importanza di una ricerca ampia che comprendesse una parte più organizzativa e sul campo. Per me è fondamentale prendere la pratica curatoriale come una forma di ricerca e viceversa.
Sei il direttore della sezione Arte della Maker Faire-The European Edition, sezione introdotta per la prima volta nel 2019 con lo scopo di valorizzare il connubio tra arte, scienza e innovazione tecnologica. Puoi tracciare un bilancio di questa esperienza, anche alla luce dell’ultima edizione svoltasi in digitale? Vorrei che aggiungessi una tua personale riflessione sul ruolo degli strumenti tecnologici in un momento, come quello determinato dalla pandemia, in cui la relazione fisica e in presenza ci è stata negata…
Penso che sia fondamentale trovare un nuovo ruolo dell’artista oggi. Era una necessità che esisteva già da tempo e che il Covid ha accelerato. Da un certo punto di vista è una grande occasione. Gli artisti oggi usano tecnologie complesse, i media che fondamentalmente stanno modificando la nostra contemporaneità. Le usano inserendosi in contesti inediti, quali quello dell’innovazione (lavorando con Aziende del settore, tecnici e ingegneri), della scienza (sempre più artisti entrano in dipartimenti scientifici). Inserendosi in questi ambiti, spesso accade che l’artista dia nuovi input alla ricerca di questi settori, nuove idee e contenuti. L’artista così non è più solo colui che crea contenuti per il mondo dell’arte contemporanea, ma è anche un motore per l’innovazione, e per la società più in generale. È quello che ho iniziato a fare con il Media Art Festival (Museo MAXXI), insieme alla Fondazione Mondo Digitale, ed è il motivo che mi ha spinto a entrare nella Maker Faire-The European Edition, un contesto non artistico, che rappresenta il cuore del rapporto creatività e innovazione, essendo la fiera più grande in Europa in questi ambiti. Il successo della sezione arte è evidente proprio dall’ultima edizione. Grazie alla innovativa piattaforma siamo riusciti a creare progetti artistici ad hoc, oltre la semplice migrazione di contenuti in digitale. Nonostante tutti parlassero del fallimento delle fiere digitali, noi abbiamo avuto molto pubblico.
Il rapporto Arte e tecnologia è anche il fulcro del progetto editoriale condiviso con Cesare Biasini Selvaggi, uscito lo scorso anno per i tipi di Electa come secondo volume de I Quaderni della Collezione. Ci puoi raccontare obiettivi e genesi di questo volume e come nasce il dialogo con la Collezione Farnesina?
Quando la Farnesina ci ha chiamato per proporci di scrivere un libro dedicato ai rapporti arte e tecnologia, per i quaderni della Farnesina, siamo stati colpiti e allo stesso tempo entusiasti. Un’ulteriore dimostrazione di come questo ambito da nicchia sia diventato sempre più comune, a tal punto da essere un argomento per i più importanti musei del mondo. Soprattutto, a ben guardare, a causa della pervasività della tecnologia digitale nelle nostre vite e nel lavoro delle nuove generazioni che non fanno più distinzione tra ciò che è tecnologico e ciò che non lo è. Questo infatti è proprio l’incipit del libro: ha senso oggi parlare ancora di rapporto arte e tecnologia? Per noi sì, oggi più che mai serve una riflessione su questi temi, ma va fatto da un nuovo punto di vista. Da qui, abbiamo approfondito i maggiori trend artistici degli ultimi anni in questi ambiti e che abbiamo suddiviso in: l’iperintelligenza; il postumano fra cyborg e antropocene; l’Expanded Internet Art; dalla realtà estesa alla videogame art; la sound art; “l’artista inventore”. Inoltre, novità fondamentale, il libro contiene il primo focus Italia, una mappatura con schede inedite di più di 80 artisti. Mappatura che adesso verrà migrata e ampliata su un portale online.
Quest’anno è prevista l’uscita di un altro libro a tua firma The Artist as Inventor? Di fatto, nel volume precedentemente citato un capitolo, intitolato L’artista inventore, fungeva già da citazione di questo volume. Ci puoi sintetizzare a quale tipologia di artisti ti riferisci con questa definizione e di che tipo di rapporto con la tecnologica devono farsi interpreti?
Sì, sembra che scrivo chissà quanti libri! In realtà sono tutti progetti accumulatisi negli ultimi anni. Questo in particolare è un libro a cui tengo molto. Ci ho lavorato tanto e fa parte di una ricerca, anche curatoriale, che porto avanti da qualche anno sul rapporto arte e innovazione (che ho descritto nella tua precedente domanda). La differenza con gli argomenti trattati sopra sta nell’approccio di ricerca. Questo è un libro che cerca di trovare le tracce storiche, attraverso un atteggiamento “archeologico”, di questi rapporti, tratteggiandone una metodologia utile per analizzare ciò che sta succedendo oggi. Pensiamo ad artisti quali Nam June Paik, che insieme al suo amico ingegnere Abe, realizzò il primo sintetizzatore: il Paik-Abe Synthesizer; o Michael Naimark il quale realizzò, con gli ingegneri dell’MIT, la prima mappa interattiva, antesignana di Google Street View. Fino a oggi, con le grande Aziende e Centri di Ricerca che hanno iniziato a creare interi dipartimenti dedicati a residence d’artista, a inglobare, dunque, gli artisti all’interno dei processi produttivi. È fondamentale che noi, “operatori culturali”, e le istituzioni culturali, iniziamo a prendere seriamente questi cambiamenti.
Il nuovo anno si è aperto con un incarico importante, sei stato infatti nominato curatore della neonata SODA gallery della Manchester Metropolitan University, che si prospetta diventare una delle più importanti realtà europee nell’ambito digitale e tecnologico. Di che modello parliamo e come avverrà il dialogo tra la formazione e la programmazione culturale?
Rispetto alla prevista inaugurazione nel settembre 2021, ci puoi dare qualche anticipazione? Che spazio riserverai agli artisti italiani?
Esatto, il nuovo anno si è inaugurato con questa bella notizia, molto stimolante, anche se in un periodo ancora molto complesso. Ciò che mi stimola di più è la possibilità di lavorare per una nuova Gallery in un nuovo mondo, o, se non nuovo, un mondo che subirà dei cambiamenti. Ancora più interessante è il fatto che la Gallery è connessa con un nuovo Dipartimento, una struttura avanzata con laboratori, tecnologie, auditorium, expertise di alto livello. Questo permette di pensare alla Gallery come ad un qualcosa di dinamico, un vero centro di produzione e ideazione: mostre, ovviamente, ma anche residenze d’artista, commissioni per artisti di alto livello, progetti con giovani artisti e middle career. Stiamo ora attivando un network internazionale attraverso il quale attiveremo nuova progettazione e stiamo disegnando i futuri progetti. Inoltre, parte del lavoro della Gallery sarà uscire fuori e sviluppare progetti in contesti di alto prestigio. Sì, stiamo anche sviluppando una opening exhibition, ma probabilmente sposteremo la data dell’opening, quindi avremo tempo per approfondire (ride, ndr).
Valentino Catricalà è studioso, curatore d’arte contemporanea. Si è specializzato nell’analisi del rapporto degli artisti con le tecnologie e con i media. Attualmente è direttore della SODA Gallery di Manchester e lecturer presso la Manchester Metropolitan University. È inoltre direttore della sezione Arte della Maker Faire – The European Edition e art consultant per il Sony CS Lab di Parigi. Su questi temi è dottore di ricerca presso l’Università degli Studi Roma Tre, è stato Part-Time Post Doc Research Fellow nella stessa Università. Ha svolto ricerche in importanti centri quali lo ZKM di Karlsruhe, la Tate Modern, l’Università di Dundee partecipando a Convegni internazionali e scrivendo diversi saggi in libri e riviste specializzate (vedi, academia.edu). www.schoolofdigitalarts.mmu.ac.uk
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