critiCALL | #criticall
All’inizio di una nuova fase di emergenza sanitaria, torniamo ad affilare le armi del dialogo intessuto dai fitti scambi della scorsa primavera/estate con #acasatuttibene e #volver.
Dopo artisti e galleristi, senza attribuire gerarchie o classifiche, la chiamata è rivolta ora ad una selezione di critici e curatori/curatrici che, in questo preciso momento storico, si trovano a dover rispondere con maggiore consapevolezza sul loro ruolo all’interno di quello che è da tutti percepito come un sistema ma che di fatto fa parte di una struttura ancora più complessa e articolata: il mondo della cultura in perenne moto e rivoluzione.
critiCALL è la nostra chiamata a chi vuole stare dentro a quel mondo sapendo che “chi affronta qualcosa di enigmatico come l’arte non può permettersi di essere modesto. Ma neanche può permettersi di non essere umile” (Lea Vergine, L’arte non è faccenda di persone perbene, Rizzoli, 2016).
Intervista a DAVIDE SARCHIONI di Livia Savorelli
L’intervista che state per leggere è un vero e proprio viaggio all’interno di alcuni dei progetti realizzati nell’ultima decade da Davide Sarchioni. Ad un lettore attento non sfuggirà l’assenza della recentissima mostra Oltrenatura, in corso, fino al 20 febbraio 2021, negli spazi di Marignana Arte a Venezia. Per andare a fondo di quel progetto collettivo, con opere di Giuseppe Adamo, Silvia Infranco, Yojiro Imasaka e Quayola, dovrete attendere l’inizio del nuovo anno quasi come buon auspicio accompagnato dalle riflessioni che la mostra stessa porta con sé: «confrontarsi con la sfida del mutamento, quale paradigma della nuova dimensione culturale contemporanea che si sta delineando in seguito alla rivoluzione digitale e alla velocità dei cambiamenti economici e sociali, alle emergenze climatiche e ambientali e, in ultimo, alla pandemia ancora in corso»…
Analizziamo insieme l’ultimo decennio, soffermandoci sulle tappe principali del tuo percorso curatoriale, a partire dal ruolo tuttora attivo di consulente artistico dell’Associazione Culturale Il Frantoio a Capalbio. In questo contesto – così come quando, dal 2011 al 2014, hai rivestito il ruolo di “curatore dei progetti speciali” per il Museum am Dom di Würzburg – hai potuto far dialogare le nuove generazioni con artisti consolidati all’interno del panorama dell’arte contemporanea. Quanto sono state importanti queste esperienze e in che termini ti hanno permesso di crescere nel tuo percorso?
Il lavoro che ho svolto a Würzburg rappresenta sicuramente una tappa molto importante. A Würzburg ho avuto la possibilità di organizzare grandi mostre che miravano a intessere dialoghi tra artisti italiani e tedeschi, soprattutto consolidati (come Jonathan Meese, Rainer Fetting, Markus Lüpertz, Enzo Cucchi, Marco Tirelli, Bruno Ceccobelli e altri), ma anche a far conoscere i “nuovi talenti” dell’arte italiana. Nel 2011, infatti, decisi di presentare la prima mostra personale di Matteo Montani in una istituzione tedesca dal titolo Seelenladschaft, documentata da un ampio catalogo, con una serie di enormi lavori su carta abrasiva montata su tela, appositamente concepiti per gli spazi del museo. Nel 2012, invece, ho curato la mia prima mostra di Jannis Kounellis che si intitolava semplicemente Jannis Kounellis im Museum am Dom, toccante e intensa, alla quale fece seguito l’italiana Kounellis Trieste nel 2013, curata insieme a Marco Lorenzetti presso il Salone degli Incanti/Ex Pescheria a Trieste.
In continuità con l’antico legame che lega la città di Würzburg all’Italia, simboleggiato dall’imponente affresco eseguito da Giambattista Tiepolo sul soffitto dello scalone della Residenz (“L’Olimpo e i quattro continenti” del 1751-1753), ho potuto collaborare, insieme al direttore artistico Jürgen Lenssen, a importanti progetti di mecenatismo. Lui si occupava di coinvolgere gli artisti tedeschi, io quelli italiani. All’interno del Duomo di Würzburg è possibile scoprire le opere di Marco Tirelli, Matteo Montani, Mimmo Paladino, Thomas Lange, Ben Willikens, tra gli altri. Nel 2015, infine, è stato inaugurato il grande rilievo in terracotta e ceramica, lungo circa 12 metri, realizzato da Mimmo Paladino come opera permanente installata nella corte della Burkardus Haus.
Nel periodo in cui lavoravo per il Museum am Dom è nata anche un’importante collaborazione con l’Associazione Culturale Il Frantoio di Capalbio e la sua presidente Maria Concetta Monaci – unico riferimento per l’arte contemporanea nella maremma toscana – che continua tutt’ora con la medesima energia anche se con formule diverse rispetto agli inizi, che si sono sviluppate ed evolute nel tempo. Il Frantoio ha rappresentato in quegli anni il mio legame con l’Italia, una modalità di lavoro assai diversa rispetto all’impegno richiesto da una realtà museale. Insieme a Maria Concetta abbiamo costruito un approccio di ampio respiro, svolto nella più totale libertà e vivacità, formulando relazioni tra artisti italiani, sia consolidati sia emergenti, spinti dal desiderio di sperimentare inedite connessioni linguistiche e formali attraverso numerosi progetti espositivi presentati negli ampi spazi della galleria dell’associazione che difficilmente avremmo potuto realizzare, ad esempio, nell’ambito della programmazione di una galleria d’arte mainstream. Oggi questa prassi sembra essere ormai rinsaldata e attualmente a Capalbio stiamo lavorando su nuove sinergie maggiormente dedicate al territorio, grazie alla neonata Fondazione Capalbio. L’anno 2021 riserverà molte sorprese.
L’arte pubblica e, in generale, una certa attitudine a lavorare con lo spazio è dimensione a te molto congeniale, che rientra in molti tuoi progetti, tra cui uno dei più recenti LA CITTÀ IDEALE. Mirandola: galleria a cielo aperto (co-curata con Beatrice Audrito). Ci racconti la genesi di questo progetto di trasformazione attraverso l’arte di Mirandola, città in provincia di Modena fortemente lesionata dal terremoto del 2012; su quali presupposti e con quali finalità è stato concepito?
L’arte pubblica, con le tutte le sue complesse problematiche, è per me una sfida irrinunciabile e continua, un ambito di lavoro sempre molto affascinante, arricchente e che sento particolarmente mio. Un percorso che, negli ultimi anni, ho condiviso anche con la curatrice Beatrice Audrito in diverse occasioni, trovando una forte affinità, tanto negli intenti quanto nella pratica: insieme abbiamo lavorato al progetto Made in Forte a Forte dei Marmi nel 2017 e, recentemente, abbiamo inaugurato La Città Ideale a Mirandola. La città è rimasta profondamente ferita dall’evento sismico del 2012 e il suo pregevolissimo centro storico, emblema della raffinata influenza culturale della famiglia dei Pico, è da anni nascosto dalle imponenti impalcature dei cantieri, con conseguenze negative sulla vita sociale e sul turismo. Il progetto si prefigge lo scopo di ricostruire l’identità della città, facendo tesoro del suo passato glorioso, ma con uno sguardo rivolto al futuro, coinvolgendo sei differenti artisti a rileggere e a reinterpretare gli spazi, gli edifici e luoghi più significativi del centro storico attraverso i loro interventi. In assenza di veri e propri luoghi o spazi fisici da poter praticare e dedicare a questa operazione, anche a causa delle importanti limitazioni anti-sismiche, insieme agli artisti abbiamo sperimentato diverse modalità di intervento finalizzate a re-inventare i luoghi stessi dove agire per mezzo di ogni singola installazione. Siamo così riusciti a trasformare il caos visivo e spaziale dell’assetto urbano della città, invasa dai cantieri, in un itinerario visivo coerente, particolarmente significativo e attraente. Gli artisti, infatti, hanno utilizzato le impalcature, le strutture e gli edifici dismessi come parte integrante dell’opera. La finalità del progetto sta, dunque, nel favorire la rinascita estetica, sociale e culturale della città grazie all’arte contemporanea.
In questo 2020, con la chiusura prolungata dei musei e dei luoghi dedicati all’arte e alla cultura, l’arte pubblica assume una rinnovata importanza? Come concepisci da curatore, in progetti come quello di Mirandola, l’interazione con gli abitanti del luogo, come si innesta il dialogo tra la storia del luogo, chi lo vive e la nuova narrazione avviata dalla reinterpretazione artistica?
In questo particolare momento, con la chiusura dei musei, l’arte pubblica assume un ruolo centrale per la diffusione e la divulgazione della cultura. Un ruolo che non dovrebbe mai venire meno, né essere dimenticato, poiché i progetti di arte pubblica costituiscono la modalità più diretta per intavolare un confronto tra il pensiero artistico e la comunità di un luogo innescando un dibattito aperto e libero. Sta alla sensibilità del curatore e dell’artista comprendere le dinamiche sociali e culturali che caratterizzano il luogo in cui si va ad agire ed escogitare i sistemi più adeguati per raccontare agli abitanti la storia dell’opera e renderli partecipi di ogni fase di realizzazione. In fondo, ogni opera di arte pubblica è pur sempre un dono dell’artista che la comunità dovrebbe adottare, imparare ad apprezzare e sentire proprio. A Mirandola abbiamo raccontanto il nostro progetto organizzando incontri pubblici e gruppi sui social, diffondendo immagini e video documentari. Naturalmente si sono verificate anche manifestazioni di contrarietà, ma questo è il rischio che si corre quando si decide di portare avanti un progetto di arte pubblica.
Tra i sei artisti coinvolti ne La città Ideale c’è anche Thomas Lange, artista particolarmente legato alla tua formazione: hai infatti dedicato a Lange e agli sviluppi della pittura tedesca tra gli anni Settanta e gli anni Novanta la tua tesi, laureandoti a pieni voti in Storia dell’Arte Contemporanea con Enrico Crispolti, presso la facoltà di Lettere dell’Università di Siena. Vorrei che mi raccontassi qualcosa del rapporto che intrattieni con gli artisti, se ci sono alcuni di essi che segui con continuità. Se dovessi definire la tua linea curatoriale in breve come la definiresti?
Thomas Lange è un artista a cui sono particolarmente legato, da tantissimi anni. È un artista complesso, un grande pittore con la capacità di rinnovarsi continuamente, spesso prefigurando nuovi scenari, ma con la coerenza e la radicalità che caratterizza la sua ricerca, il suo linguaggio e la sua personalità dal 2010 mi occupo del suo lavoro in Italia e del suo archivio.
Il lavoro di Lange è in grado di raccontare la storia della pittura tedesca – di cui lui è stato protagonista tra gli anni Settanta e la fine degli Ottanta – con tutte le sue implicazioni sociali, politiche e culturali, ma attraverso una visione costantemente rivolta all’Italia e alla storia dell’arte, generando commistioni impensabili e di grande attualità.
Gli altri artisti che abbiamo coinvolto a Mirandola sono stati scelti dopo una lunga selezione basata sulla presentazione di un’idea progettuale e sulla capacità di ognuno da saper affrontare lo spazio pubblico, seppur con diverse modalità, con originalità, senza tradire la vera natura del proprio linguaggio. Oltre a Lange, hanno partecipato al progetto di Mirandola anche Debora Hirsch, Vincenzo Marsiglia, Valentina Palazzari, Francesca Pasquali e Cristiano Petrucci.
Seguo le ricerche di tantissimi artisti con metodo assiduo e animato da una grande curiosità, molti di loro indirettamente e altri in modo più diretto, dipende dal progetto che ho in mente di realizzare. Vorrei avere a disposizione più tempo per seguirli tutti…
Prediligo lavorare con gli artisti in situazioni in cui sia necessario mettersi alla prova, affrontare una nuova sfida per sperimentare modalità creative inedite. Fare in modo, cioè, che l’artista possa realizzare una tipologia di lavoro che normalmente non avrebbe l’opportunità di eseguire, per esprimere al massimo grado il senso della sua ricerca. Per questo motivo, dopo aver studiato attentamente il loro percorso, invito gli artisti a lavorare su progetti specifici.
Come curatore e consulente per i progetti legati all’arte contemporanea della Fondazione Luca e Katia Tomassini, hai recentemente avviato un progetto espositivo in tre atti finalizzato alla trasformazione graduale delle aree verdi del Vetrya Corporate Campus di Orvieto in un parco di scultura a cielo aperto. Ci racconti come hai modulato le scelte, quali requisiti le opere dovevano soddisfare concettualmente e materialmente? Che ruolo gioca in tutto ciò l’innovazione, in una progettualità più ampia di dialogo tra Impresa e Cultura?
Dalla fine del 2018 sono curatore e consulente d’arte per la Fondazione Luca e Katia Tomassini, una realtà straordinariamente sorprendente nata del 2017 a Orvieto per volere di Luca Tomassini e Katia Sagrafena, che promuove e realizza progetti di convergenza tra cultura digitale, intelligenza artificiale, letteratura, arte e musica, ricercando l’innovazione in ogni ambito. Non una fondazione per l’arte, ma un luogo di scambio interdisciplinare. Tra le diverse mostre organizzate con la fondazione (le personali di Christian Leperino, Antonio Barbieri, Mutsuo Hirano, Marco Milia, Cristiano Petrucci e altri) è necessario citare Beyond di Achille Perilli, dove il maestro ha presentato una serie di dipinti perlopiù inediti in cui le sue geometrie impossibili su fondi scuri sembravano ispirarsi alle configurazioni di uno schermo digitale.
Il 13 marzo di quest’anno siamo stati tra i primi in Italia a lanciare il progetto #lartenonsiferma, in cui 43 artisti italiani hanno realizzato contributi video, molti dei quali concepiti come vere e proprie opere, che sono stati diffusi sui canali social della fondazione. In ultimo, a luglio di quest’anno, abbiamo presentato il primo atto del progetto Vedere lontano, una mostra di sculture e installazioni collocate nelle aree verdi del Vetrya Corporate Campus, luogo dove ha sede la fondazione e quartier generale dell’azienda Vetrya, un gruppo leader internazionale che sviluppa servizi e soluzioni digitali, quotato in Borsa e con società in Asia, USA, Brasile e Spagna. Vedere lontano vuole essere un monito rivolto al presente per ampliare lo sguardo verso nuovi orizzonti da raggiungere. Uno sguardo lungimirante veicolato dalla forza visionaria degli artisti che, riflettendo in senso critico sulle conseguenze e i cambiamenti segnati dall’emergenza Covid-19, continuano imperterriti a formulare e a immaginare un futuro possibile. Gli artisti sono stati invitati a riconfigurare con le loro opere gli ampi spazi esterni del Corporate Campus che offre una vista privilegiata a 360° sulle colline circostanti e sull’antica rupe di Orvieto, sperimentando svariate soluzioni e possibilità di dialogo con le specificità del paesaggio, tanto nello sviluppo formale quanto sul piano concettuale, per approfondire le relazioni tra ogni opera e il rispettivo contesto e, in senso metaforico, quelle tra passato e presente, tra cultura della tradizione e dell’innovazione, tra memoria storica e ipotesi futuribili di un domani sempre più vicino. In questo caso mi sono molto concentrato sul senso di ogni opera e sui materiali utilizzati, invitando artisti che avevano già collaborato con la fondazione, come Antonio Barbieri, Thomas Lange e Valentina Palazzari, per generare una certa vivacità dialettica. In questo primo atto abbiamo ospitato anche un’importante opera di Mauro Staccioli, Prismoidi del 2003, gentilmente concessa dall’archivio dell’artista. A causa dell’emergenza sanitaria il progetto è stato interrotto, ma speriamo possa riprendere a marzo 2021 con il secondo atto e le opere di nuovi artisti.
Si è da poco conclusa l’esperienza di Maker Art, sezione dedicata alla relazione tra arte contemporanea e nuove tecnologie, della VIII edizione della Maker Faire Roma, svoltasi in versione digitale dal 10 al 13 dicembre scorsi.
Tu hai avuto un duplice ruolo, co-curando insieme a Davide Silvioli, il progetto FACE ON FACE ON STAR HOLO di Vincenzo Marsiglia, promosso dalla Fondazione Luca e Katia Tomassini, e moderando una serie di Art-talk in streaming con critici e giornalisti, imprenditori e architetti volti all’approfondimento della articolata ricerca dell’artista e del suo rapporto con la tecnologia.
Alla luce di questa recente esperienza e della tua pratica curatoriale, quali possibilità e modelli alternativi può l’utilizzo della tecnologia nell’arte amplificare, soprattutto laddove, come nel caso di Marsiglia, si ricerchi l’interazione con un pubblico allargato e a una platea potenzialmente infinita?
Il rischio che corre un’opera d’arte digitale e tecnologica è quando la spettacolarizzazione del mezzo supera o depaupera il contenuto artistico. Questo è un fenomeno a cui dedico particolare attenzione nei progetti per la fondazione, analizzandolo criticamente. D’altra parte, anche l’eccessiva enfasi sull’aspetto estetico e scenografico di un qualsiasi lavoro di pittura, scultura, video o altro, viene troppo spesso ed erroneamente scambiata dal pubblico per il suo valore artistico e culturale. La fondazione Luca e Katia Tomassini ha scelto di presentare il progetto di Vincenzo Marsiglia Face on Face on Star Holo alla Maker Art 2020, in cui l’artista ha introdotto per la prima volta la tecnologia HoloLens2 in un lavoro d’arte contemporanea, seguendo proprio tali ragionamenti e puntando anche in questo caso sull’innovazione. Il progetto, articolato in diversi momenti, è stato appositamente concepito per essere fruito dalla piattaforma digitale della fiera, ponendo in risalto il docu-video Holo private immersion, la registrazione da HoloLens 2 di una performance eseguita dall’artista girando tra gli ambienti domestici, le aree verdi e i monumenti storici della città di Parma e restituita come un viaggio immersivo nella mixed reality.
La tecnologia digitale sta diventando sempre più di primaria importanza nello svolgimento delle nostre vite e in ogni settore, soprattutto in questo difficile momento di distanziamento sociale. Ma come esseri umani non possiamo rinunciare al contatto fisico con l’altro, così come a fare esperienza di un’opera d’arte dal vero.
Davide Sarchioni (Orvieto, 1979) è un curatore italiano d’arte contemporanea, consulente e storico dell’arte. È laureato in Storia dell’Arte Contemporanea con Enrico Crispolti presso l’Università di Siena. Attualmente è curatore dei progetti d’arte della Fondazione Luca e Katia Tomassini di Orvieto. Dal 2005 svolge attività di curatore e consulente per enti pubblici, fondazioni, musei, gallerie d’arte e privati in Italia e all’estero, curando numerose mostre, collezioni, libri e cataloghi d’arte, collaborando con svariati artisti italiani e internazionali, affermati ed emergenti. Dal 2010 al 2014 ha collaborato con il Museum am Dom (MAD) di Würzburg curando mostre e progetti di arte pubblica di importanti artisti italiani e tedeschi. Dal 2010 è consulente e curatore dell’Associazione Il Frantoio di Capalbio. Nel 2015 è co-fondatore del progetto TerraMedia – LaDi Art. Ha tenuto conferenze in diverse istituzioni italiane e internazionali. Ha pubblicato saggi, cataloghi e monografie con diverse case editrici tra le quali SKIRA, Gangemi, Gli Ori, Bandecchi & Vivaldi, Broecking Art Edition.
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