DOLOMITI – Patrimonio dell’UNESCO | Il progetto Dolomiti Contemporanee – laboratorio d’arti visive in ambiente
Intervista a GIANLUCA D’INCÀ LEVIS di Valeria Barbera
Dolomiti Contemporanee, il “laboratorio a cielo aperto” curato da Gianluca D’Incà Levis, porta avanti dal 2010 una riflessione legata alla regione Dolomiti-Unesco – intesa come spazio fisico e mentale – grazie alle arti visive, alla loro capacità di dialogare con l’ambiente e leggerlo con nuovi occhi, di valorizzare siti a grande potenziale, attualmente in uno stato di totale o parziale sottoesposizione dando loro nuovi significati. La IV stagione di DC ha un ricco ed articolato programma che si estenderà sino a dicembre 2014 e che valicherà i confini con collaborazioni internazionali grazie all’adesione a PIANO, piattaforma franco-italiana di scambi artistici e culturali. Dopo un’estate intensa, abbiamo incontrato il curatore per farci raccontare gli sviluppi dell’iniziativa sino ad oggi e quelli previsti per il futuro…
È stata una lunga estate quella di Dolomiti Contemporanee, che ha visto il progetto impegnato su più fronti: dalle mostre nel Nuovo Spazio di Casso, alle residenze nell’ex villaggio Eni a Borca di Cadore, al doppio bando di Twocalls. Come è andata? Cosa ci aspetta per l’autunno?
È ancora un po’ presto per fare il punto, la nostra stagione è in pieno svolgimento. Siamo partiti a giugno, con il lancio del Concorso Twocalls, che si concluderà, nella fase di ricezione dei progetti, a fine ottobre; mentre le mostre a Casso andranno avanti fino alla metà di novembre, ed a Borca vi sarà praticamente soluzione di continuità, con le residenze di artisti attive anche durante l’inverno. Anche rispetto alla piattaforma di scambio franco-italiana di PIANO, siamo in piena azione: Daniele Pezzi partirà per la Francia a giorni, Lise Lacombe e Jeremy Laffon sono ora in Residenza a Casso, insieme ad altri cinque artisti italiani. Oltre a ciò, diverse altre cose stanno per arrivare: tra pochi giorni saremo ad ARTVerona, con uno stand nella sezione Independents, insieme a Protocombo; a dicembre sarà la volta di Chiavi di Accesso, un progetto sull’accessibilità culturale del Museo, sviluppato insieme al GAL Altobellunese, che vedrà all’opera tre artisti (Mario Tomè, Michael Fliri, Nicolò De Giorgis).
Rispetto a tutto ciò, direi che il lavoro che stiamo conducendo è definibile come un processo, più che come una serie di attività o eventi in successione. Ci interessa implementare il processo, ovvero ampliare lo spettro culturale del progetto, e il ragionamento generale che stiamo portando avanti, che è coerente in ognuna delle sue parti (i singoli eventi), e chiaro nei suoi assunti generali: si lavora, direi, in senso lato sull’assetto del paesaggio, in termini critici e teorici, di ricerca e sperimentazione, metodologici, operativi e pratici.
In questi mesi quali sono state le reazioni e i risultati raggiunti?
Come dicevo tutto è in divenire, non ci sono risultati, ma piuttosto una costante proiezione in avanti. Il progetto rilancia sempre: ci è difficile fare dei report. I risultati sono quest’azione stessa: in qualche modo non raggiungiamo mai risultati (definitivi), in quanto reinvestiamo costantemente nel progetto, crescendolo. Naturalmente, ciò non impedisce di misurare e rilevare quel che si sta facendo: quasi un mese fa (venerdì 12 settembre) abbiamo inaugurato a Casso due mostre: Meteorite in Giardino, in partnership con Fondazione Merz e Palazzo Riso, e Paths. I siti che scegliamo di riattivare, e in cui viviamo e lavoriamo, sono, per scelta deliberata, difficili: difficili da raggiungere, difficili da ripensare, difficili da riaprire, difficili da gestire. Ma sono siti potenti e stimolanti, in modo peculiare ed estremo, dei quali riusciamo a mostrare, ed a muovere, il potenziale, mescolando i flussi, i network, le attenzioni, gli uomini. All’opening del 12, erano presenti molti artisti, venuti da ogni parte d’Italia (in mostra, Michael Fliri, Cecilie Hjelvik Andersen, Botto&Bruno, Caretto e Spagna, Alessandro Piangiamore e Stefano Cerio). C’erano i nostri partner della Fondazione Merz, Willy Merz e Maria Centonze, e c’era Angela Vettese – le ultime due anche nella Giuria di Twocalls – e c’era il pubblico. C’erano poi gli abitanti di Casso: si cerca quotidianamente, attraverso il lavoro, di coltivare relazioni con la comunità locale. Se si vuole lavorare sul territorio, non si può evitare di muoversi anche in questo senso, bisogna possedere un’attitudine spiccata alla relazione, che va coltivata. Non basta quindi invitare i bravi artisti e i partner di peso culturale, portando nei contesti chiusi i loro preziosissimi sguardi esterni. È altrettanto necessario lavorare dall’interno. Durante l’inaugurazione diversi residenti hanno anche accettato di prendere parte ad una performance di Alessandro Piangiamore, i cui esiti mostreremo a breve: ancora una volta, sguardo interno ed esterno si sono incontrati. In questo modo, accade che una mostra non si riduca ad un’esposizione, ma diventi una parte di un costrutto socio-culturale rinnovativo, e questa è precisamente la nostra accezione del sostantivo contemporaneo.
Come dicevamo i fronti di lavoro di DC si sono moltiplicati: puoi raccontarci brevemente come si sta sviluppando il progettoborca dell’Ex Villaggio Eni a Borca di Cadore?
Si tratta di una piattaforma aperta, con degli obiettivi strategici di rifunzionalizzazione di una parte del sito, nel quale lavoreremo nei prossimi tre anni, insieme alla proprietà del sito stesso, il Gruppo Minoter e la famiglia Cualbu, che alcuni anni fa rilevò il Villaggio dall’Eni. Le funzionalità base del progetto sono state attivate: una Residenza Internazionale, alcuni programmi curatoriali ed artistici che saranno sviluppati ed avviati progressivamente e per gradi, una piattaforma di comunicazione, un lavoro di implementazione delle reti – com’è proprio di DC – volto alla ricerca di partnership funzionali agli obiettivi sul breve e medio periodo. Siamo ancora nella fase iniziale, nella quale, attraverso misure ed operazioni di diverso tipo, si costruisce l’architettura del sistema che pensiamo possa costituire la base di un possibile programma di rilancio del sito, e di alcune sue parti in particolare. Il programma e la strategia sono articolati e complessi, ma l’obiettivo, in realtà, è, semplicemente, sempre lo stesso, come nel caso degli altri siti: riuscire a generare un momento di attenzione a favore del bene sottoutilizzato, ridefinirne l’identità, valorizzarne e amplificarne il potenziale, trovare per esso una destinazione d’uso nel nostro tempo. È quanto facciamo in ognuno dei siti che affrontiamo, l’impulso è il medesimo, mentre le procedure cambiano sempre, perché non esiste un sito uguale ad un altro, e quindi non esiste alcun format replicabile.
L’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore è un sito formidabile: intendiamo utilizzarne la forza, per tradurla in immagini, trasformandolo, come abbiamo già detto, in una sorta di cava culturale, e al tempo stesso instillare in esso altra energia, caricandolo ulteriormente, per contribuire a innescare una reazione che possa, finalmente, riaccenderlo.
Altra “novità” di quest’anno è il doppio concorso Two Calls che intende coinvolgere artisti e street artist in un’operazione non così facile: rileggere attraverso le arti – almeno in parte – il territorio del Vajont che nel nostro immaginario è ormai indissolubilmente legato a una tragedia che segnato la storia del nostro Paese…
Twocalls è, in sostanza, una dichiarazione: è possibile, crediamo noi, pensare questo luogo (l’area del Vajont) in modo nuovo, invece di continuare a guardarlo attraverso la lente opaca della commemorazione, della disperazione rassegnata, considerandolo morto per sempre. Questo luogo non è proprietà esclusiva di chi ci vive, né di chi ancor oggi soffre nel ricordare la tragedia terribile. Questo luogo, proprio in virtù della terribile emblematicità della sua storia, è di ogni uomo. E nessun uomo può esser lasciato solo, dentro alla tragedia, che, in casi simili, non è mai ineluttabile, ma, soprattutto, non è mai insuperabile. Non si tratta dunque di venir qui a fare due opere d’arte contemporanea, sulla Diga e sulla facciata dell’ex scuola di Casso (ora Nuovo Spazio di Casso) che guarda il versante franato del Monte Toc. Si tratta di venire qui a dichiarare che questa terra non interessa solamente per la sua terribile, spettacolare tragedia, e che l’uomo è ancora in grado di pensare, dire, fare cose, precisamente qui, e che la morte non l’ha potuto fermare, azzittire, sconfiggere, e che l’arte contemporanea è prima di tutto pensiero ed azione, capacità e responsabilità.
Che l’arte è ricerca del senso, e sensibilità e intelligenza, e per questo essa ha il diritto di venire, deve venire, non ad insegnare o a guarire, ma ad essere e a dire. L’arte e la cultura rappresentano la disposizione dell’uomo alla vita, alla costruzione, alla tensione critica produttiva, che è il contrario della rassegnazione. In questa terra, nulla di culturalmente significativo è sorto, per decenni, perché la tragedia ha preso tutto, annichilendo l’uomo e le sue facoltà. Riaprire la scuola di Casso, dopo mezzo secolo, ha voluto dire questo: opporsi alla logica passiva dell’eterna celebrazione di un lutto atroce, paralizzante, e alle sue economie. Twocalls è una manifestazione di quest’idea, che si apre al mondo, e porta su questo luogo l’attenzione di molte persone disposte a pensare ed a fare, trasformando i luoghi-simbolo della morte, chiusi, in cantieri proiettivi, aperti; trasformando un non-luogo, in uno spazio, dove per spazio intendiamo appunto un luogo con un senso (fare spazio è fare senso).
In questi ultimi tempi si parla molto di conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico, meno di frequente questo dibattito coinvolge il paesaggio sempre più legato ad una sua lettura turistica… DC cerca proprio di lavorare su questo: ridisegnare l’immaginario che da sempre colleghiamo alle Dolomiti. Quali sono gli strumenti principali e quali le maggiori resistenze – se ne hai incontrate ?
In effetti, come già dicevo, il lavoro che facciamo in DC può essere letto anche in questo modo: ripensare il paesaggio umano, sociale, fisico e culturale delle Dolomiti (ma anche il paesaggio in generale, e l’approccio ad esso), che spesso viene rappresentato in modo stereotipo, fermo, attraverso cliché e immagini fossili. Produrre immagini nuove, contemporanee, vuol dire credere nel valore di stimolo di questa terra e di questi luoghi, non limitarsi a contemplarne la bellezza, essere determinati ad attivare al suo interno delle prassi di senso, ovvero a realizzare delle idee. Il paesaggio è l’uomo: questo il titolo della conversazione che si è svolta tra me e Marc Augé due settimane fa, a Forni di Sopra. L’uomo fa la propria storia e fa il proprio paesaggio, ogni giorno, nel momento in cui lo riconsidera criticamente, senza prenderlo per già dato. Il paesaggio, dunque, non è un fossile. Riguardo alle resistenze: chi rinnova, trova le resistenze di chi non sa rinnovare, sempre. Le resistenze caratterizzano le mentalità fossili. Che non possono mai molto.
A tal proposito quest’estate hai avuto modo anche di parlarne con Marc Augé…
Augé è stato nostro ospite a Forni di Sopra, all’interno dell’evento Paesaggi contemporanei, realizzato insieme alla Provincia di Udine. Ha viaggiato con noi per una settimana per le Dolomiti, vivendo tra Casso e Borca di Cadore, lavorando con noi, condividendo i nostri spazi, ragionando sui progetti e sui temi, incontrando gli artisti negli studio-visit. Si è immerso nel paesaggio, fisico e culturale, in cui operiamo, entrando nel vivo del progetto. Non l’abbiamo chiamato qui per farlo parlare delle espressioni arcinote per cui è celebre nel mondo, per declinare, per l’ennesima volta, le sue categorie culturali, ma per applicare il suo sguardo chiaro e diritto a questa realtà specifica, ai processi a cui attendiamo, e per aiutarci a sviluppare una riflessione articolata, antischematica, aperta. Il confronto ha dato i suoi frutti, com’era naturale che fosse. Abbiamo pubblicato una primo breve videointervista, in cui Augé, che fa anche parte della Giuria di Twocalls, fa alcune considerazioni sintetiche. Stiamo per pubblicare un altro video, più ampio, una sintesi della conversazione che abbiamo condotto insieme a Forni di Sopra. Lì escono delle cose interessanti e nuove.
Dolomiti Contemporanee fa parte di Progetto X (Industria, Cultura, Creatività, Sviluppo), iniziativa di ricerca elaborata nel 2013 dal Laboratorio di Management delle Arti e delle Culture – m.a.c.lab – dell’Università Ca’ Foscari e finanziato dalla Regione Veneto. Sul sito si legge che Industria, Cultura, Creatività e Sviluppo sono le parole chiave del progetto. Ci puoi raccontare in che modo si inserisce DC in questo contesto?
DC, come abbiamo detto, non è una prassi autistica, autoreferenziale, in cui l’arte contemporanea galleggia su un territorio in cui non si sa o vuole immergere, rimanendone sostanzialmente avulsa, e creando rispetto ad esso una discontinuità di processo, utilizzando linguaggi esclusivi. È il contrario: un sistema di nuove relazioni e integrazioni. La discontinuità è essenziale, a livello culturale, nel rivalutare il senso e il potenziale di oggetti, cose, spazi, paesaggi, memorie, identità. La discontinuità culturale coincide con il non dare per scontate le ragioni delle cose, col volerne mettere in luce le essenze e i potenziali. Questo è quanto dovrebbe fare l’arte, o no? E questo è quanto possono riuscire a fare i progetti di cultura innovativi, che sono una cosa ben diversa dalle mostre (l’espressione fare una mostra, non è forse, effettivamente, stucchevole e infantile?). La discontinuità culturale è quindi un’esigenza critica. La discontinuità sociale corrisponde, invece, ad un’incapacità di coltivare relazioni capitali, di alimentarsi del tessuto, alimentandolo a propria volta.
Questa capacità di reciprocità, unitamente ai risvolti di concreta operatività funzionale del progetto, e alla sua effettiva capacità di fornire impulsi positivi al territorio in cui si opera, impulsi anche economici, anche produttivi, è interessante per gli analisti dell’economia culturale. Il format del progetto, mette in luce, anche, attitudini di managment culturale. DC è un laboratorio d’arti visive in ambiente. E il M.a.c.Lab è anch’esso un laboratorio, d’economia creativa, nel quale si analizzano esempi, come il nostro ed altri, di rigenerazione e ripensamento innovativo delle modalità operative per/nel territorio, attuate attraverso l’arte e la cultura. Il progetto DC è quindi perfettamente a suo agio in questo ambito accademico-operativo, nel quale dunque la ricerca prosegue, e dove si creano relazioni con altre pratiche, analoghe e diverse, si sviluppano ed analizzano modelli inediti.
Prossimo appuntamento da segnare in agenda?
Io inviterei chi non c’è stato ancora a venire a visitare Casso, e Borca, ed a seguire il Concorso Twocalls: tre cantieri ben accesi, in moto, nei quali si produce un’attività continua, che non può essere del tutto compresa attraverso parole e immagini: dei siti e dei cantieri potenti non basta leggere: occorre andarci.
Info: www.dolomiticontemporanee.net
www.twocalls.net
www.progettoborca.net