ROMA | CONTEMPORARY CLUSTER | FINO AL 11 MARZO 2023
di MICHELA LAPORTA
Se ad un primo sguardo appare come un ritorno alla pittura, da cui emerge inequivocabilmente la volontà dell’artista di ribadire quella predilezione per la pratica manuale che ne ha caratterizzato l’attività fin dagli esordi, ad una lettura più ravvicinata la personale di Luigi Presicce, La bigiotteria della Terra, si rivela allo spettatore offrendo una riflessione intima e complessa sull’epilogo e sulla volubile condizione della specie umana. L’artista interpreta questo concetto affidandosi all’incondizionata autonomia espressiva che riconosce quale prerogativa assoluta dell’atto del dipingere; e lo fa rinnovando i codici di un immaginario già di per sé colmo di suggestioni oniriche, echi e riferimenti ad una simbologia primitivista, ma anche e soprattutto alla realtà rurale delle sue radici meridionali, attingendovi per costruire il proprio universo visivo.
Homo Sapiens Sapiens Sapiens è il titolo emblematico del corpus di dipinti in mostra a Roma fino all’11 marzo al Contemporary Cluster, lo spazio espositivo di Palazzo Brancaccio. Realizzata nel limitante clima di incertezza dovuta all’isolamento, la serie di opere costituisce un compendio pittorico degli ultimi tre anni della produzione di Presicce; periodo in cui la sua multiforme poetica strutturata sulla centralità della figura umana, considerata vettore di inesauribili significati e significanti, ha intrapreso una direzione ulteriore, voluta e dovuta all’impedimento di poter proseguire con la pratica performativa e la realizzazione di tableau vivant.
Alludendo quindi a una progressiva involuzione del genere umano, l’artista si sofferma sulla depauperante sovraesposizione della figura umana nella congerie della rete, culminata in una percezione distorta del corpo e del suo valore di senso. Un processo degenerativo accentuato dalle modalità di diffusione e assimilazione, che hanno portato l’immagine umana ad essere recepita come vetrina e palcoscenico per finalità commerciali, profanando la sua iconica aura di musa. Presicce descrive questo fenomeno riaggiornando gli elementi formali di una già riconoscibile cifra stilistica, ed elabora soggetti mutanti in un Eden di “esseri immaginari”, parafrasando un celebre titolo borgesiano. Dei moderni mirabilia che prendono forma da magmatiche pennellate fluorescenti, intrise di una luce talvolta perlacea e cangiante, oppure vagamente artificiale. Se ne ammirano i ritratti di piccolo formato nei saloni principali, allestiti secondo una disposizione simile a quella di certe quadrerie nobiliari, trattandosi però di personaggi da Giardino delle delizie, come del resto suggerisce il titolo di uno dei dipinti più rappresentativi. Volti che suscitano nell’interlocutore un effetto straniante, dalla figurazione esasperata fino a rasentare l’eccesso: menti e nasi inverosimilmente lunghi e ricurvi protesi verso l’alto, zigomi protuberanti su cui spuntano applicazioni coralline e capigliature vaporose in un’opulenza a tratti disorientante, giocata sull’audace accostamento di elementi umani, animali e vegetali. Le tre sfere si compenetrano al punto da risultare l’una il prolungamento dell’altra, una sorta di estetica dell’aberratio generata dalla commistione di attitudini e stili: medievale e mistico nell’affermare una spiritualità superiore a qualsiasi volontà e forza umana; classico nella narrazione di una mitologia che incarna un ideale di purezza; surreale nelle linee di silhouette vicine alle immagini molli di Dalì, o ai corpi trasfigurati di El Greco.
Dunque la pittura di Presicce si evolve in una pseudomorfosi e assume la funzione di lente deformante, erede degli studi leonardeschi sulla fisiognomica, com’è evidente dall’esagerazione di molti dettagli anatomici. Forse metafora di quel decadente ribaltamento di senso e significato subito dalla figura umana, ed evocato dalla rappresentazione di scimmie intente a emulare pose e atteggiamenti da selfie; dissacranti e derisorie, dai magnetici occhi di rubino, sono lì a ricordarci le teorie scientifiche formulate da Desmond Morris, anche se in questo caso è l’animale a seguire comportamenti umani.
E se il tratto fluido dei disegni monocromi e dei pastelli rende il corpo materia plasmabile, le ceramiche costituiscono invece il completamento di un’indagine che racchiude un’istrionica propensione al camuffamento. Nelle due opere esposte Presicce omaggia l’abilità del “saper fare” di Paolo Condurso, noto per i tradizionali Babbaluti, definito da Picasso “il calabrese dalle mani d’oro”. L’artista attinge dalle maschere apotropaiche del maestro di Seminara, e rielabora la figura archetipica del grillo medievale nelle sculture sospese come apparizioni di atavica memoria. Un lavoro di ricerca che va ben al di là del glorioso revival, ma teso piuttosto a ristabilire una connessione profonda con l’antica ed eterna sapienza della manualità, mezzo privilegiato per indagare con estrema consapevolezza e libertà d’esecuzione i vari livelli e orizzonti che trascendono il reale, sconfinando oltre l’enunciato dato del visibile.
La bigiotteria della Terra. Luigi Presicce, gli ultimi tre anni
Fino al 11 marzo 2023
CONTEMPORARY CLUSTER
Via Merulana 248, Roma
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