REGGIO EMILIA | Galleria Bonioni Arte | 18 ottobre – 30 novembre 2014
Intervista a GIACOMO COSSIO di Ilenia Moschini
La galleria Bonioni Arte di Reggio Emilia aprirà la nuova stagione espositiva con la personale di Giacomo Cossio, L’ultima ruota del carro, visitabile fino al 30 novembre 2014. Il titolo della mostra è non solo un riferimento a Van Gogh, al quale Cossio guarda per l’uso del colore e, soprattutto, per la sua capacità di cogliere l’essenza del reale, ma anche un richiamo esplicito al tema della macchina che l’artista parmense sta investigando da qualche anno a questa parte.
L’intento di Giacomo Cossio è infatti quello di osservare la realtà e rappresentarla con immediatezza e sincerità, attraverso un linguaggio genuino e privo di sovrastrutture; i soggetti principali delle sue opere sono le macchine edili che lo affascinano non tanto per le loro componenti tecniche ma in quanto oggetti nello spazio che colpiscono visivamente. A pochi giorni dall’opening abbiamo incontrato l’artista per farci dare qualche anticipazione sui lavori che vedremo in mostra e per farci raccontare da dove derivano le scelte tematiche e stilistiche e il percorso che lo ha condotto all’essere artista…
L’ultima ruota del carro è il titolo della tua nuova mostra. Puoi spiegarci la scelta del titolo e descriverci brevemente le opere che vedremo all’interno dell’esposizione?
L’ultima ruota del carro vorrebbe essere un riferimento alla figura di Van Gogh, che nella sua “follia” è riuscito con molta intensità a cogliere l’essenza del reale intorno a lui. Quindi, visto che il mio intento è quello di guardare la realtà e di rappresentarla così con immediatezza e sincerità, Van Gogh diventa per me un riferimento e un esempio a cui tendere. Ovviamente “l’ultima ruota del carro” tiene conto anche del tema delle macchine che da qualche anno ho sviluppato. Nella mostra ci saranno una ventina di lavori fatti per la maggior parte quest’anno; tutti avranno come soggetto macchine movimento-terra, cioè trattori, ruspe ed escavatori. Una delle caratteristiche del mio lavoro è il colore, quindi le cromie avranno all’interno della mostra un ruolo dominante, altro aspetto che mi lega affettivamente e sentimentalmente a questo artista.
La tua ricerca verte in generale sul tema della macchina, in particolare i macchinari e gli automezzi edili che vengono scomposti e ricomposti attraverso collage polimaterici. Da dove deriva la scelta di queste tematiche e delle tecniche di trattamento stilistico? Dove pensi e dove vuoi che conduca, sia dal tuo punto di vista di artista, sia nei confronti di chi fruisce le tue opere, questa poetica?
Le macchine edili, le ruspe, i trattori non sono oggetti che mi affascinano per la loro caratteristica tecnologica o tecnica. Per me sono oggetti nello spazio molto colorati, buffi, belli ed evidenti. Intendo per “evidenti” che mi colpiscono visivamente, come a mio figlio piace tutto ciò che è grande, colorato e fa rumore. Questo è quello che muove il mio “fare”. Come i trattori, mi attraggono tantissime altre cose che farò: i campi da calcio, i pianoforti, i vasi colorati, le magliette sgargianti indossate dalle persone, i prati verdi, i tir, gli edifici. Credo di voler raggiungere un tipo di approccio con ciò che ho intorno molto immediato: vedo qualcosa e lo dipingo. Ora non sono così stupido e sprovveduto da pensare che tutto ciò non sia privo di insidie (una su tutte come fare questa semplice azione e come non cadere nella retorica espressiva), ma adesso credo di avere tra le mani un linguaggio adeguato, abbastanza semplice ed efficace, privo di pensiero e di sovrastrutture che rendevano la mia pittura carica di eccessivi intenti. Insomma, la semplicità arriva, ma bisogna avere pazienza e lavorare molto, complicandosi i problemi.
Che tipo di rapporto esiste tra quest’ultima personale e la tua produzione nel suo complesso? Sono reciprocamente senza soluzione di continuità oppure questa nuova mostra rappresenta un’evoluzione della tua ricerca artistica?
Questa mostra è un’evoluzione, nel senso che qualcosa è cambiato e io mi sento bene: sto abbandonando la “stampella” della fotografia, che potrà essere usata in modo più disinvolto e la pittura mi sembra abbia acquisito maggiore libertà. Certo che il lavoro sia un processo senza soluzione, dove anche i cambiamenti sono frutto di apparenti retromarce o di salti senza senso. Quindi questa mostra è chiaramente figlia delle mostre precedenti, in quanto il lavoro si sta liberando da paure e costrizioni.
Sempre all’interno della galleria Bonioni Arte, hai partecipato recentemente alla collettiva Costruzioni, nella quale venivano indagate le tendenze artistiche europee e americane dagli anni Cinquanta ai giorni nostri; come ti sei posto nel confronto con i maestri storicizzati? Quali sono le correnti e le personalità dell’arte del XX secolo che hanno influito maggiormente sul tuo percorso artistico e che continuano a influenzarlo?
Tantissimi sono gli artisti a cui ho guardato nel mio percorso artistico. Inizialmente una grande fascinazione me la diede Graham Sutherland, con le sue radici e i colori acidi. Poi l’informale, più che italiano, quello americano di De Kooning e di Gorky. Burri è stato per me un grande pittore, per la sua capacità di rendere prezioso e solenne un pezzo di plastica, un sacco di iuta. Poi Kiefer, ma prima di Rauschenberg, per poi capire che senza Rauschenberg non ci sarebbe stato Kiefer, per poi capire che, a sua volta, senza Burri non ci sarebbe stato nemmeno Rauschenberg. Quindi Appel, poi Jorn e Soutine, anzi trovo anche adesso che sono ormai adulto, che c’è più vita in un quadro di Soutine che in tanta arte contemporanea… Se poi si guarda all’antico vengono i brividi a pensare a Giovanni Bellini, a Velasquez, a una pala di Van Eyck o a un quadro di Caravaggio. Cosa vuol dire avere dei riferimenti? Vuol dire trascorrere la vita a cercare e a curiosare tra pittori, scultori e architetti, tra chi ha costruito e inventato dal niente mondi nuovi e luminosi per capire chi e che cosa si è. Quindi cercare per poi dimenticare: se in studio con te ci sono troppe presenze, il lavoro non si fa.
Quali sono invece gli artisti della tua stessa generazione ai quali ti senti più vicino e credi siano affini alla tua poetica?
Siamo in un mondo abbastanza schematico, in cui se io dipingo non potrà mai piacermi Duchamp. Se tu lavori sul concetto e sull’aspetto più letterario del fare arte, allora non potrai mai apprezzare Barceló. Credo che su questo molto intelligentemente un artista non della mia generazione come Richter stia basando tutto il suo lavoro: piace sia ai pittori che agli intellettuali. Detto questo, un artista come Arcangelo Sassolino mi piace moltissimo. Trovo il suo lavoro molto stimolante e vero. C’è chiarezza, forza e intelligenza, poca furbizia e molta intensità. Un lavoro come Elisa mi ha folgorato per la sua capacità di sintesi. I lavori su ritratto, queste fotografie stampate su metallo e poi deformate, mi sembrano una risposta molto efficace ad alcune problematiche che anch’io nel mio lavoro mi sono posto (come inserire e far convivere la fotografia e la pittura).
Le tue opere si collocano spesso ai confini tra bidimensionalità e tridimensionalità poiché aggettanti nello spazio. Ciò si può considerare un effetto o una conseguenza della tua formazione di architetto? A questo proposito, puoi raccontarci il percorso che ti ha portato alla maturazione come artista?
Mi sono iscritto alla Facoltà di Architettura perché mi piaceva Gaudì; sono uscito da Architettura pensando che Terragni fosse stato un grande genio e che Gaudì mi piacesse meno. Detto questo l’Architettura si impara osservandola, entrando nelle case, realizzate dai grandi architetti e percependo lo spazio. Sulla carta L. B. Alberti può sembrare un etereo intellettuale senza pratica del nostro Umanesimo, ma quando si entra in Sant’Andrea a Mantova, ci si rende conto della potenza spaziale e delle proporzioni sconvolgenti e armoniose di quegli spazi. Quindi l’architettura mi ha confermato la grande concretezza dello spazio. Anche Aldo Rossi, da molti considerato un intellettuale, è poi in realtà un magnifico e strambo costruttore di spazi. Quando voglio vedere qualcosa di bello e di intenso vado al Cimitero di San Cataldo a Modena. Questo per dire che l’architettura, lo spazio, per me sono proporzione, o meglio hanno una proporzione intrinseca che va rispettata. Una stanza è una lunghezza e una altezza, niente di più. Aver studiato questa disciplina mi ha condizionato, mi ha anche limitato, perché la pittura non ha niente a che fare con essa. Almeno oggi, non siamo più nell’Umanesimo. Però lo spazio mi interessa, lo sento, è importante perché in fondo quando dipingo “costruisco”, assemblo pezzi. L’immagine è sempre il risultato di una costruzione. Credo che questo sia il legame più stretto con l’architettura.
Se vuoi, puoi darci qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti?
A questa domanda non saprei rispondere. Non faccio mai progetti per il mio futuro.
Giacomo Cossio. L’ultima ruota del carro
a cura di Chiara Canali e Niccolò Bonechi
18 ottobre – 30 novembre 2014
inaugurazione sabato 18 ottobre 2014, ore 17.00
Orari: da martedì a domenica ore 10.00-13.00 e 16.00-20.00, chiuso il lunedì.
Galleria Bonioni Arte
Corso Garibaldi 43, Reggio Emilia
Info: 0522 435765
info@bonioniarte.it
www.bonioniarte.it