SENIGALLIA | ROCCA ROVERESCA | 4 giugno – 25 settembre 2022
Intervista a CLAUDIA LOSI di Livia Savorelli
Ruota intorno al paesaggio, nell’ambiguità di darne una definizione univoca, e all’intima e personale percezione dell’ambiente intorno a noi, nel precario rapporto tra naturale e atropizzato, l’ultimo progetto di Claudia Losi, Being There. Oltre il giardino, a cura di Leonardo Regano, ora alla sua tappa conclusiva ospitata dalla Rocca Roveresca di Senigallia, fino al prossimo 25 settembre.
In questo lungo dialogo con la Losi, ripercorriamo tutte le tappe del progetto scoprendo come di esso si possano rintracciare prime embrionali tracce molto prima, in tanti suoi lavori precedenti…
Being There. Oltre il giardino è un progetto vincitore dell’Italian Council (IX edizione, 2020) che è partito nel febbraio 2021 e giunge oggi ai suoi sviluppi finali.
Un lavoro che indaga la complessa relazione tra l’essere umano, l’ambiente in cui vive e la lingua con la quale comunica. Quali erano le finalità del progetto? Ormai giunti alla sua tappa conclusiva, ti ritieni soddisfatta dei risultati raggiunti? Ci racconti la genesi di questo processo, il cui nucleo germinale si sviluppa ben prima?
Being There. Oltre il giardino è l’ultima tappa di un processo iniziato diversi anni fa. Costruendo la proposta di partecipazione al bando dell’Italian Council insieme al curatore, Leonardo Regano, e raccontando delle ragioni profonde che mi spingevano a insistere su questi temi, mi sono resa conto di quanto lontano fossero le radici. Probabilmente dai primi licheni ricamati (Tavole vegetali, dal 1993) e sicuramente dal 1999/2000 con la serie di Marmagne (dieci fotografie scattate quando vivevo a Digione per studio, presso Montbard, in un’allevamento di trote abbandonato. Le foto in bianco e nero delle dieci vasche, alcune ancora con l’acqua altre completamente invase dai vegetali, sono state riportate su tela e poi ricamate ognuna con una possibile fase della deriva dei continenti) di cui l’ultima tela è ora in mostra alla Rocca di Senigallia.
Altri progetti poi si sono inanellati, più o meno consapevolmente, nel corso degli anni: dal viaggio “esplorazione collettiva” verso Saint Kilda, nelle Ebridi Esterne, in Scozia, al racconto stratificato raccontato nella mostra How do I Imagine Being There, nelle opere esposte alla Collezione Maramotti nel 2016 e nel libro d’artista edito da Humboldt Books. Quali meccanismi agiscono, quali le aberrazioni percettive e mnemoniche (nel senso di una lente che modifica), s’intrecciano nella percezione e conoscenza dei luoghi reali e quelli della nostra mente.
Un tema di impressionante vastità e che apre contemporaneamente molteplici punti di vista. Cosa mi ha spinto a insistere? Probabilmente il desiderio di costruire il mio, di luogo naturale. Un luogo, come per ogni vivente, di complessità inesauribile. Un luogo da immaginare e da attraversare fisicamente. Un’enigma.
Non so se sono pienamente soddisfatta nel senso che in realtà l’invito a riflettere che è stato perno dell’intero progetto, “Quale è la tua idea di luogo naturale”, ha aperto altre domande e direzioni possibili.
Posso dire comunque che il “luogo”, attraverso l’intero processo, che così tante persone mi hanno permesso di tessere, porta con sé un’idea di naturalità molto interessante che rispecchia l’impossibilità di una risposta univoca.
Ripercorriamo insieme le diverse tappe di Being There, a partire dalle prime fasi interamente dedicate alla ricerca: un workshop nel febbraio 2021, organizzato dal NTU Centre for Contemporary Art di Singapore, basato sull’interpretazione del concetto di “luogo naturale”; un secondo, tra novembre e dicembre 2021, a Gerusalemme organizzato dalla Bezalel Academy of Arts and Design; un terzo, nel dicembre 2021, dedicato agli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Urbino; infine il dialogo instaurato, nel febbraio 2022, con i ricercatori del CIMeC-Centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento e Rovereto. Quanto è stata importante questa parte laboratoriale e di ricerca, soprattutto in relazione alla diversa collocazione geografica, socio-politica e culturale dei partecipanti?
Non ho potuto raggiungere Singapore, come previsto inizialmente, poiché è stato uno tra i primi paesi a chiudere le frontiere per le ragioni pandemiche. Abbiamo dovuto organizzarci diversamente. Avevo già trascorso qualche mese presso il NTU CCA nel 2018 dove avevo avviato in maniera più articolata le linee guida di Being there. Oltre il giardino. Avevo scelto il titolo, in quella occasione: Being there il titolo originale del film di Al Ashby del 1979, con Peter Sellers, e uscito in Italia col titolo Oltre il giardino. Il film racconta di un uomo (una sorta di Bartleby contemporaneo) cresciuto nello spazio concluso di un giardino, vitale ma claustrofobico, che lo ha protetto ed escluso. Tutto ciò che conosce del mondo esterno passa attraverso la televisione e una volta costretto a uscire si ritrova, letteralmente, a camminare sulle acque. Tra le tante letture che si possono dare del film quella sul linguaggio mi sembra perennemente fertile: molte parti dell’arcipelago Wittgenstein rimangono inesplorate, ogni descrizione vale il mondo che l’ha originata, che il senso sia condiviso o meno.
Ti racconto questo perché in parte credo risponda a quanto mi chiedi: luoghi diversi, lingue diverse, immaginari distanti tra loro ma con tanti punti di tangenza che riguardano, mi viene da dire, la nostra specie.
I partner coinvolti lavorano soprattutto con studenti, ricercatori e artisti. Devo quindi ammettere che la tentazione di tornare, di ampliare le tipologie di persone sollecitate a rispondere è forte. A chi ci si rivolge ovviamente indirizza il risultato. Ma è un carotaggio, in qualche modo. Una sezione di mondo che mi è capitato, cercandola, d’intercettare.
Le sfaccettature poi che questa domanda prende in questi Paesi, dalle storie così complesse, stratificate, apre ancora altre possibilità di lettura.
In Italia ho fatto diverse presentazioni ma in particolare è stato il workshop al Cimec di Rovereto, organizzato da Giorgio Vallortigara, a sollecitare alcune importanti riflessioni in particolare rispetto alle corrispondenze tra le domande che lo scienziato ricercatore si pone e quelle alla base, più o meno consapevolmente, della ricerca artistica.
Oltre ai workshop, a Gerusalemme hai realizzato una performance utilizzando uno dei tuoi materiali di elezione: la ceramica. Ci racconti i contenuti di questa azione?
Durante i mesi di chiusura pandemica ho cominciato a modellare forme amuleto, con della terra cruda che casualmente avevo conservato a casa e non in studio. Forme animali e umane che convivevano insieme, una memoria del romanico delle chiese della città dove sono cresciuta, forse, o figure votive per preghiere senza parole e destinatario preciso. Ogni giorno o quasi, un amuleto.
A Gerusalemme, un luogo dove ogni pietra sembra imbibita di preghiere e maledizioni contemporaneamente, ho voluto dedicare una mia personale preghiera laica (non so a chi, ne esattamente perché) modellando argilla fresca, durante una giornata, e disponendo le piccole forme, una decina circa, negli interstizi delle pietre dei muretti del giardino di Hansen House (un ex lebbrosario trasformato in attivo centro culturale e universitario), tra i rami degli ulivi, tra le foglie dei tanti ciclamini in fiore. Mentre modellavo in silenzio le persone passavano senza capire bene cosa facessi per poi seguirmi mentre disponevo le piccole sculture in giro.
Tutti i contributi visivi e narrativi originati dai workshop sono diventati materiale prezioso per la realizzazione della grande opera in tessuto, Oltre il giardino, esposta nella tua personale alla Rocca di Senigallia. L’opera è frutto di una collaborazione molto importante tra due aziende tessili toscane, ci racconti come si è sviluppata l’idea di attivare un dialogo con il mondo dell’impresa?
Completa la mostra Being There una selezione di tre tue opere iconiche…
Quasi tutte le immagini e i testi (in tutto più di trecento) sono stati ridisegnati da me, per rendere il tratto omogeneo. Il disegno servito poi alla tessitura per realizzare lo jacquard è stato realizzato con il prezioso aiuto di Chiara Neviani (studioarighe): comporre quelle immagini in una narrazione unica non è stato affatto semplice!
Per la preparazione del tessuto, oltre a tre libri tessili (una tela da arrotolare come un rotolo cinese con, in piccolo, una selezione ricamata dei disegni dello jacquard) ho potuto contare sull’ottimo lavoro di Lottozero, laboratorio tessile di ricerca di Prato, presso il quale ho anche svolto una residenza. Attente alla stretta relazione con le aziende d’eccellenza del territorio (sono tutte giovani donne a costituire Lottozero), le Lottozero hanno individuato per me un’azienda pistoiese, Aromata, specializzata in creazioni di tessuto a telaio jacquard. Straordinaria esperienza. Come spesso mi è capitato lavorando con aziende di tale qualità, gli aggiustamenti e i consigli che mi hanno suggerito si sono rivelati fondamentali per la riuscita del lavoro finale.
In mostra, oltre a Marmagne, che ti ho descritto più sopra, ho allestito, per le sale del piano terra della Rocca di Senigallia, capofila e destinataria del progetto, un altro “luogo” per me importante, Ossi (2019): tre forme in terra dell’Impruneta che riproducono la forma delle costole di un cetaceo di grandi dimensioni e sistemate in modo da formare una sorta di capanna. Opera parte del racconto di Balena Project (altro percorso di lunghissima durata) e prodotte da Fondazione Museo della Ceramica di Montelupo e Comune di Scandicci. Nella stanza centrale delle tre che ho avuto a disposizione ho installato Cose che sono cose (2015): oggetti d’uso in alluminio schiacciati e “abitati” da forme-lichene in cartapesta e a suo tempo realizzate per la mostra del 2016, How do I Imagine Being There presso la Collezione Maramotti.
Un progetto così complesso e dilatato nel tempo, ha sicuramente richiesto una regia curatoriale importante, sia nella fase preliminare di definizione del progetto sia in tutte le tappe successive. Parliamo del rapporto artista e curatore…
La gestione di un progetto così complesso sarebbe stato se non impossibile doppiamente difficile senza una figura curatoriale presente in tutti i vari step. Leonardo Regano, che mi invitò a partecipare inizialmente, al premio, ha svolto egregiamente il suo ruolo accompagnandomi pazientemente anche nei momenti più difficili (e ce ne sono stati parecchi) in tutte le varie tappe. Credo che entrambi abbiamo imparato parecchio da questa esperienza. Soprattutto mantenere la calma quando c’è tempesta. Qualcosa succederà e non è detto che sia in negativo. Per mio carattere difficilmente lavoro bene se non s’instaura un clima tranquillo: almeno con alcune figure con cui stai lavorando. Ci sia abitua a lavorare con tutti, per professione. Se però si riesce a creare una relazione di scambio, anche amicale, tutto assume una densità differente. Mi viene da dire più sensata.
La restituzione in forma di libro di questo viaggio avverrà nel prossimo novembre alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, che nel 2016 aveva già ospitato la tua personale How do I imagine being there. Puoi darci qualche anticipazione sul progetto editoriale e sull’evento di presentazione?
Il prossimo novembre presenteremo, presso la Collezione Maramotti, il libro d’artista edito da Viaindustriae Publishing di Foligno: vi saranno inclusi dei testi ospiti (di Giorgio Vallortigara, Ugo Morelli, Alice Benessia, Gioia Laura Iannilli e altri), immagini di viaggio mie, e parte dei materiali raccolti nella call: testi e disegni che, per questione di tempo, non sono riuscita a inserire nel tessuto. Infine le immagini dell’allestimento scattate da Ela Bialkowska. Il libro spero diventi, anche lui, un mio “nuovo” luogo naturale, da condividere con altri.
Per la presentazione, oltre al libro tessile pensato per l’occasione, verranno sicuramente presentati due arazzi ricamati in seta, parte della Collezione, che ho presentato, dopo anni di lavoro, nel 2016 e nel 2020: le rappresentazioni dei poli ispirate alle raffigurazioni tratte da Mundus Subterraneus di Athanasio Kircher.
Chiuderei questa intervista, in cui si è parlato di luoghi e di ciò che intendiamo con naturale, riportando la frase conclusiva del film Being there, “life is a state of mind”.
Claudia Losi. Being There. Oltre il giardino
a cura di Leonardo Regano
4 giugno – 25 settembre 2022
Rocca Roveresca
Piazza del Duca 2, Senigallia
Info: www.roccasenigallia.it