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MILANO | Galleria Milano | 1 febbraio – 12 marzo 2022

Intervista ad CESARE VIEL di Matteo Galbiati

Parole che compongono frasi, frasi che si riuniscono nello sguardo per diventare racconto. Le scritture abitano fogli in cerca di uno spazio esteso che è un mare allungato al suo orizzonte infinito. L’impegno del visitatore è quello di esplorare, di attraversare questo mare e cercare di raccogliere le testimonianze disperse, oppure di aspettarle prendendo quello che arriva alla riva. Si dice che ci sia sempre un confine tra noi e l’altro, ma è davvero così insuperabile? Oppure è una barriera invisibile e permeabile? Cesare Viel prova a trasformare in energia costruttiva il dialogo e lo scambio avuto con “altri” interlocutori che hanno contribuito a “generare” l’opera partecipata al centro della mostra Condividere frasi in un campo allargato, personale milanese dell’artista presso la Galleria Milano. Viel ha raccolto frasi/pensieri chieste ad una cerchia, ristretta e variegata, di sue conoscenze, riflessioni libere e autonomamente definite che, però, nella rielaborazione calligrafica prima, ed installativa poi, ammettono una condivisione e uno scambio imprevedibile e inesauribilmente moltiplicatore di senso e di suggestioni. Un’energia imprevedibile che unisce e avvicina, trasforma e moltiplica.
In occasione della mostra abbiamo approfondito questi temi centrali raccogliendo la testimonianza diretta dello stesso artista:

Quale itinerario ha seguito la tua ricerca prima di arrivare a definirsi attraverso una pratica che potremmo definire “installazione performativa”?
Un itinerario di ricerca orientato a tenere insieme, in modo sempre dinamico, lo spazio, il corpo, il linguaggio e la relazione.

Cesare Viel

Fulcro della tua azione, infatti, è il suo compiersi spesso attraverso un’interazione fondante con il pubblico o con soggetti agenti esterni che dialogano con te: quanto conta e come si organizza questo rapporto con l’altro? Che traccia resta poi per chi osserva l’esito dell’azione iniziale?
La componente relazionale e lo scambio di emozioni sono sempre stati al centro della mia pratica estetica. Nel corso del tempo questo aspetto ha preso varie forme. L’altro da sé è una parte di noi, in fondo siamo una platea esposta, solitaria e affollata allo stesso tempo. La dimensione della traccia poi, del residuo, è un’importante risorsa generativa, ed è in realtà sempre presente e operativa già dall’inizio, dal punto di partenza, non è da intendere soltanto dopo, come ciò che resta di un’azione, ma piuttosto come l’essenza, il nucleo d’energia di un progetto. Bisogna vedere il continuum dei frammenti. Vedere i frammenti e le tracce a perdita d’occhio, come un paesaggio.

Nel caso di Condividere frasi in un campo allargato hai recuperato una certa pratica epistolare facendoti inviare una serie di frasi da amici e colleghi che poi hai trascritto. Che cosa ha prodotto e produce questo scambio?
Produce un’attesa, l’esperienza del non dover avere fretta e restare nell’incertezza e nel rischio. E tutto questo alla fine genera calma e spazio.

Cesare Viel, “Lo strato più duro del linguaggio”, 2021, pennarello su carta da pacchi, 100×140 cm Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

L’allestimento presso la Galleria Milano diventa una sorta di “mare” di fogli su cui hai trascritto, riunendole, le frasi ricevute e che, ricomposte secondo la tua riappropriazione, si fanno paesaggio e promuovono un altro e diverso racconto…
In questa mostra si osserva l’esperienza mentre la si fa, si legge una frase e si aspetta, ci si sofferma un po’, poi di nuovo ci si guarda intorno, si avanza, si torna indietro, si gira lo sguardo qua e là, e si cerca di vedere e di allungare la vista il più possibile, fin dove ti è possibile. Tutto questo produce qualcosa di imprevisto in ognuno. Una percezione nuova dello spazio che si muove con te.

Lo spettatore osserva quasi impossibilitato a navigare verso l’orizzonte, non gli resta che attendere a riva l’arrivo del senso inatteso di ciascuna frase…
Sì, si deve accettare e includere fino in fondo il rapporto tra il lontano e il vicino, tra il vedere e il non vedere.

Cesare Viel. Condividere frasi in un campo allargato, veduta della mostra, Galleria Milano, Milano Foto Roberto Marossi Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

Ci sono anche le carte a parete, il “ritratto” di scogli che ti sono famigliari. Come si relazionano alle frasi scritte? Che nuovo rimando alla natura e al paesaggio forniscono?
I quattro grandi fogli bianchi incorniciati a parete riportano al centro frasi mie e dialogano in silenzio con il paesaggio complessivo delle frasi degli altri disposte a pavimento, un parlarsi a distanza che fa scaturire ancora di più la dimensione di un “campo allargato”. Lo stesso fanno i disegni a matita dei massi da scogliera sulla parete frontale nella seconda stanza: anche loro si posizionano in una relazione aperta con lo spazio e con l’installazione orizzontale delle frasi a terra. I disegni formano come un’indicazione di sosta e una linea-barriera alla dispersione del senso, ma sono anche un invito a immaginare oltre. A spostare ulteriormente lo sguardo e la comprensione.

Componendo l’opera è emersa anche una peculiare attenzione per la qualità dei materiali. Come l’hai interpretata?
Mi attrae da sempre la fragilità e la bellezza della vulnerabilità delle carte e dei corpi, così come la traccia in sé della scrittura a mano sul foglio, sulla pagina. La carta da pacchi, che è il medium al centro di questa mostra, è fatta per viaggiare e trasportare altre carte, altri oggetti, da un punto all’altro del mondo, e ha diversi colori, differenti tonalità di avana. Ho voluto giocare con queste tonalità, come su una scacchiera. Ne è scaturito un ritmo e un ordine visivo semplice ma potente. Mi piace fare molto con poco.

Coralità e singolarità, scambio e isolamento, soggettività e pluralità sono alcuni dei referenti di senso che guidano sia la tua azione che la fruizione del pubblico. Come regoli questi elementi?
Cercando di sintonizzarmi con ognuno di questi referenti di senso senza irrigidirli, senza identificarsi solo con un elemento della coppia, meglio allargare sempre il campo, tenerlo aperto, possibilmente vuoto.

Cesare Viel, “Massi da scogliera”, 2021, matita su carta, 50×70 cm Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

A lavoro ultimato come valuti la tua installazione nel suo complesso? In cosa e come, se possibile, ha superato la tua idea iniziale?
Ogni volta che si realizza un’installazione il momento decisivo è l’incontro con la realtà dello spazio. Anche in questo caso è stato così. Il contesto fisico dell’ambiente è una straordinaria verifica per il progetto che, fino a prima, vive soprattutto nella tua mente. Quando si passa dalla mente allo spazio reale lì scatta la prova che definisce la struttura e chiarisce il senso del progetto. È lo spazio che entra in dialogo col lavoro, e dice la sua. In quei momenti devi fare un passo indietro, e saper ascoltare e vedere quello che lo spazio ti suggerisce. È una fase molto delicata, ma molto importante. Se il dialogo funziona, in un certo senso, scatta come una rivelazione. E alla Galleria Milano questo è accaduto: è il punto in cui tu accompagni semplicemente l’opera, la porti ad esistere.

Prossimi progetti e impegni futuri?
Sto lavorando a due progetti complessi e sfaccettati, due prove ulteriori intorno alla pratica e al concetto di “campo allargato”, e sono nel mezzo di questo percorso. È un buon momento, ma non si può mai sapere fino in fondo dove porterà fino a quando non ti misuri effettivamente con la realtà.

Cesare Viel. Condividere frasi in un campo allargato
in collaborazione con Galleria Pinksummer, Genova

1 febbraio – 12 marzo 2022

Galleria Milano
Via Daniele Manin, 13 – Via Filippo Turati 14, Milano

Orari: da martedì a sabato 10.00-13.30 e 15.00-19.00

Info: +39 02 29000352
info@galleriamilano.com
www.galleriamilano.com

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