DETTO TRA NOI (ARTISTI A TU PER TU)
Intervista di Giovanni Gaggia ad ANDREA GUERZONI
17 aprile 2014, oggi è il compleanno di Carol Rama. 96 anni, una vita densa che testimonia l’integrità ed un modo del tutto personale e unico di essere artista. In occasione di questa data speciale, voglio raccontare di un incontro pubblico con il quale si è inaugurato un nuovo spazio a Pergola, Palazzo Giannini Guazzugli, divenuto contenitore del primo appuntamento di Effetto Farfalla, una nuova iniziativa di Sponge ArteContemporanea con la quale l’associazione intende allargare alla parola, al verbo, con incontri mirati alla condivisione di esperienze comunque vicine ai temi delle arti visive, rimanendo comunque fedele ad una filosofia basata sull’idea del confronto e dell’incontro.
Nel primo di questi incontri, avvenuto il 22 marzo 2014, protagonista è stata la parola di Andrea Guerzoni, artista torinese nato nel 1969, che ha conversato con me e con Giovanna Giannini Guazzugli raccontando i suoi incontri del lunedì pomeriggio con Carol Rama e della complicità di un’amicizia ormai decennale. Artisti di generazioni diverse, accomunati però dalla passione per l’irriverenza in uno scambio che si compone di disegni, aforismi dal sapore caustico, parolacce e gelati al cioccolato. Effetto Farfalla, che ogni volta collocherà la parola in un contesto musicale, ha scelto in questo caso Inneres Auge di Franco Battiato per l’importanza che nel testo viene assegnata all’intuizione, alla visione del terzo occhio secondo le tradizioni religiose orientali. Un accostamento che ci è parso azzeccato; Carol Rama che sente una realtà profonda, al di là del visibile, intuendola attraverso il suo terzo occhio e che ci regala opere in cui l’eros della vita e del suo mistero emergono da ogni segno e da ogni pennellata. Parliamo dunque di lei con il suo amico Andrea Guerzoni.
In cosa ti ha condizionato Carol Rama?
L’incontro con Carol, nella sua casa studio, dieci anni fa, ha segnato la mia vita: ha cambiato il mio modo di vedere il mondo dell’arte e mi ha fatto meditare sul senso dell’essere artista. Mi ha illuminato, o meglio, mi ha fatto aprire gli occhi e spalancare il cuore. A livello creativo l’interesse per il suo lavoro e le suggestioni maturate all’interno della sua abitazione hanno sicuramente influito sui miei lavori degli ultimi anni.
Descrivici la casa studio di via Napione e la disposizione degli oggetti presenti…
La casa di Carol Rama è un luogo magico, affascinante, un’opera d’arte. È un ambiente scuro: spessi tendoni neri alle finestre isolano dalla luce naturale e dalla vista del mondo esterno, le imposte delle piccole finestre della soffitta spesso sono chiuse. Qualche spiraglio di luce qua e là e la luce elettrica aiutano a mettere a fuoco gli innumerevoli e disparati oggetti: deliziosi referti, amuleti, feticci, frammenti di memoria più che oggetti d’uso o d’arredamento. I regali di Man Ray, Picasso o Warhol, il drago da passeggio di Mollino, la statua africana e la pietra dalla simbologia fallica, le forme di legno per scarpe. Numerosi i cataloghi e le riviste che la vedono protagonista, che ha raccolto in cassette di legno per la frutta, tante le fotografie che la ritraggono da sola o in compagnia di amici e illustri colleghi nel corso di questi lunghi anni. In scena, ovviamente, anche i materiali e gli attrezzi del mestiere, come le camere d’aria in gomma delle biciclette.
Di che cosa si compone la comunicazione tra te e Carol?
La comunicazione è fatta di parole e sguardi. Di battute e aforismi, di qualche bel gestaccio e parolaccia, di gelati mangiati insieme. Per entrare in sintonia con lei ricorro a termini e riferimenti tipici del suo lessico e a quel po’ di piemontese sentito parlare in famiglia che ricordo. Non avendo un vissuto comune non si cade nelle trappole della memoria del “ti ricordi…” ma si gioca nel presente. La conoscenza reciproca è iniziata quando le distanze anagrafiche potevano assicurare delle reti di protezione, l’affetto è venuto dopo. Alla base del nostro dialogo c’è il bisogno di rassicurazione di entrambi, la capacità di comprendere il linguaggio dell’altro, la disponibilità all’accoglienza e all’ascolto, anche dei silenzi.
Ci racconti che cosa è Quanta luce è nel nero e che cosa ha significato per te?
Quanta luce nel nero è il titolo suggerito da Carol per la nostra mostra romana del 2011. Non avrei mai immaginato di poter fare una mostra a due con la mia artista preferita: è stato il naturale svolgimento dei nostri incontri, maturato in un clima di amicizia e attenzione. Al centro del lavoro un tempo ed uno spazio precisi, quelli della casa-studio di Carol Rama, intensa e densa di stimoli. In esposizione convivevano dipinti, disegni e grafiche di entrambi con le installazioni di oggetti che ho cercato per l’occasione al Balon qui a Torino, nei mercatini delle pulci e negozi di antiquariato, per evidenziare i punti di contatto estetici e concettuali con il mondo di Carol. Oggetti carichi di vissuto e simbolici, frammenti privati ma condivisibili.
Cosa hai provato nel toccare gli oggetti di Carol e nel prendertene cura?
In realtà ho toccato la maggior parte degli oggetti della sua casa soltanto con lo sguardo: non solo per la grande quantità presente ma soprattutto perché è prevalsa la discrezione. Certo alcuni feticci hanno un richiamo talmente forte e fisico che è praticamente impossibile non esserne attratti, anche solo per un istante.
Che cosa vi accomuna, potresti identificare un momento della vostra esistenza vissuto in maniera simile?
Il caratterino “malmostoso”, puntiglioso da amabili rompipalle: possiamo risultare sia garbati che sguaiati, a seconda delle situazioni. E poi lo sguardo pungente, talvolta spietato, verso se stessi in primis, e poi sugli altri (grande errore, perché spesso gli altri non sono allenati a fare lo stesso). Avremo anche avuto momenti o esperienze simili ma sicuramente rispondendo in maniera differente e personale. Penso alle paure, alle insicurezze, a un suicidio in famiglia, a esclusioni e solitudini.
Hai altri progetti artistici dedicati a Carol Rama?
Nella recente mostra Carta Cruda (la tri – personale di Max Bottino, Andrea Guerzoni e Stefano Giorgi a cura di Federica Mariani, da Sponge ArteContemporanea, Pergola (PU), fino al 27 aprile, N.d.R.) ho presentato dei nuovi lavori china su carta: una rivisitazione con il gusto della variazione dei particolari di alcuni soggetti di Carol Rama, tratti dai suoi Teatrini degli anni ‘30, ingranditi e scarnificati rispetto all’originale. Fa parte di una serie più ampia e di un lavoro che sto approfondendo, nel quale cerco di adattare con rispetto il mio segno ad una forma prestabilita e originaria. È come se mi calassi nel ruolo di interprete anziché cedere alla seduzione del fare “alla maniera di …” .
In un tuo aforisma scrivi: “Riconosco l’essenza del vero artista dal giorno in cui ho annusato Carol Rama”. Ne hai annusati altri ? Se si chi sono?
Dal vero, veri come lei no. Ma ho respirato spesso altre grandi personalità, attraverso la loro opera, come Louise Bourgeois, Alda Merini, Fernando Pessoa, Gabriella Ferri o Chavela Vargas, nata lo stesso giorno di Carol, un anno dopo.
“Il lavoro, la pittura, per me, è sempre stata una cosa che mi permetteva poi di sentirmi meno infelice, meno povera, meno bruttina, e anche meno ignorante… Dipingo per guarirmi”. Dichiara Carol Rama. E tu?
Lavoro per comprendere alcune cose, non per raccontare cose che so già. Un disegno che pensa, più che un disegno pensato. Vengo a patti con me stesso e con i miei limiti. Temporeggio. E in questo tempo mi ascolto.
Ricordi il momento quando Carol Rama ha recitato questi aforismi?
Non sanno che sono triste perché ho solo merda al collo.
Un giorno in cui per frammenti e battute, come sempre, ha fatto riferimento alla vita grama che ha dovuto fare, alle tribolazioni economiche e ingiustizie subite. Un’incazzatura che le si è abbarbicata addosso per la scarsa e comunque tardiva attenzione.
Bisogna sapersi scegliere con la stessa cura sia gli amici che i nemici.
Questa è un po’ una raccomandazione, il monito che mi fece durante la preparazione della nostra mostra romana Quanta luce nel nero. Aggiunse, preveggente: “Roma è molto bella, ma se può farti uno sbrego te lo fa!”.
Sono contenta di averti incontrato: bisogna essere fedeli, veri, di razza.
È una delle cose gentili e generose che mi ha riservato: mi emoziona e mi coinvolge come amico e come artista.
Aggiungi parole alle tue parole:
La treccia di Carol mi ancora alle mie responsabilità d’artista
Il suo lavoro costante e serio per più di settant’anni, nonostante le difficoltà, è un grande esempio e un insegnamento di arte e di vita: un monumento al coraggio e all’ostinazione!
I geni non cantano in coro
Ecco, appunto: anche il coraggio della solitudine, la sfrontatezza di prendere sentieri personali, di evitare facili scorciatoie e di allinearsi a quello che non ci corrisponde. Anche per questo c’è bisogno di allenamento.
Nella vita di un artista tutto fa brodo, ma bisogna imparare a usare col tempo un colino con buchi sempre più piccoli
Carol è stata geniale ad alimentare negli anni la sua leggenda, a costruirsi il personaggio come una corazza: nasconde la sua fragilità e timidezza utilizzando modi schietti e talvolta irosi, usa il turpiloquio per stupire, imbarazzare e divertire l’interlocutore. Questo atteggiamento le è tornato utile per difendersi ma anche per far parlare di sé. Talvolta sono favorevoli anche gli errori : “Tutti i miei sbagli hanno finito per valere più di tante cose corrette”, mi ha confessato Carol.
Chi si lascia guidare unicamente dalla ragione rischia comunque un folle incidente
Esiste una sana follia come la sconsiderata presunta sanità o normalità. La ragione non può essere l’unico parametro di riferimento: io prediligo l’infrazione, lo scarto della normalità verso l’imponderabile. Cosa sarebbe la mia vita e il mondo senza quei grandi “folli” di Vincent van Gogh, Antonin Artaud e Alda Merini?
Disegno in bianco e nero perché sono andato all’asilo dalle suore: il rosso è solo una macchia di ribellione
Ho il grembiule macchiato di ricordi e il cestino svuotato di sogni, tanto per lanciare la palla al centro con un altro mio aforisma. Oppure potrei auto-citarmi così: Come posso spiegarti la mia scelta di vita – la mia ribellione – se l’unica tua impudenza è di metterti talvolta le dita nel naso?