VENEZIA | Fondazione Giorgio Cini | 10 maggio – 28 luglio 2019
di TOMMASO EVANGELISTA
“Il nero viene ritenuto un non colore, ma se noi guardiamo i quadri di Burri, soprattutto quelli degli ultimi anni, troviamo cinque sei tipi di colore nero che fanno sorprendere”. Con queste parole Bruno Corà, curatore della mostra e presidente della Fondazione Burri, introduce BURRI la pittura, irriducibile presenza, la grande retrospettiva dedicata all’artista umbro, organizzata dalla Fondazione Giorgio Cini e dalla Fondazione Burri in collaborazione con Tornabuoni Art e Paola Sapone MCIA, in partnership con Intesa Sanpaolo.
Si tratta di un progetto concepito appositamente per Venezia che ripercorre cronologicamente le più significative tappe del maestro, per antonomasia, della “materia” attraverso molti dei suoi più importanti capolavori. Dai rarissimi Catrami (1948) agli ultimi e monumentali Cellotex (1994) l’esposizione, presentando oltre cinquanta opere provenienti da importanti musei italiani e stranieri, dalla Fondazione Burri e da prestigiose collezioni private, ricostruisce nella sua interezza la parabola storica di uno dei più grandi protagonisti dell’arte italiana del Ventesimo secolo e riporta Burri a Venezia dopo la memorabile personale che nel 1983 lo vide protagonista con 18 opere del ciclo Sestante nel suggestivo edificio degli ex Cantieri Navali alla Giudecca.
Il titolo indirizza subito l’oggetto di analisi. Protagonista è la pittura, sviscerata e riconfigurata attraverso la manipolazione di materie e pigmenti differenti, sovente respingenti, ma sempre rispettata nel suo ruolo di definizione del quadro.
“Era un autodidatta, non aveva fatto studi regolari di pittura, si è creato da solo la sua lingua”, spiega Corà, che aggiunge “la sua pittura nasce con lui, nella sua testa, non ci sono chiare derivazioni da altri pittori. Sicuramente ha guardato i maestri antichi del territorio, come Signorelli, Piero della Francesca, Raffaello”.
Il percorso artistico di Burri, del resto, è particolare. Medico di formazione, cominciò a dipingere tardi, nel 1945, nel campo di Hereford, in Texas, dove da ufficiale medico fu prigioniero durante la Seconda Guerra Mondiale. Iniziò con timide figurazioni, prive di formazione accademica, per sperimentare quasi subito la forza dei materiali e da quelli recuperare la valenza evocativa del colore e la forza espressiva dello spazio. Diceva “Tutta la mia pittura è alla base dello spazio che invade, qualsiasi esso sia” palesando come la costruzione complessiva delle sue opere fosse giocata sempre tra struttura, costruzione e rappresentazione cromatica, in un gioco infinito di rimandi che la retrospettiva veneziana vuole evocare proprio in concomitanza di un evento al quale l’artista è stato sempre molto legato e col quale era in rapporto di conflitto/ispirazione. “Ricordo – scrisse Burri – che alla Biennale dove esponevo tutti i miei neri in una sala dalle pareti bianche illuminate con luce diretta, questo bianco dello sfondo sparava sino a rendere sordo il nero, e il risultato complessivo non mi aveva soddisfatto. Ecco perché poi nei miei capannoni a Città di Castello ho voluto uno sfondo nero, ottenendo un risultato ideale”. Alla fine, quello che rimane è sempre il colore quale muta presenza.
BURRI la pittura, irriducibile presenza
a cura di Bruno Corà
Mostra realizzata con: Fondazione Burri
In collaborazione con: Tornabuoni Art, Paola Sapone MCIA
In partnership con: Intesa San Paolo, Gallerie d’Italia
10 maggio – 28 luglio 2019
Fondazione Giorgio Cini
Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
Info: +39 041 2710237
segr.gen@cini.it
www.cini.it