57. BIENNALE ARTE 2017 | PADIGLIONE AUSTRIA | 13 maggio – 26 novembre 2017
Intervista a BRIGITTE KOWANZ di Lucia Longhi*
Con un Padiglione che ospita le sculture di Brigitte Kowanz ed Erwin Wurm, l’Austria sceglie di rappresentarsi alla Biennale attraverso due artisti il cui lavoro ridisegna e stravolge lo spazio e le architetture. La Kowanz con le sue note installazioni fatte di neon e specchi che ingannano la percezione dello spazio, Wurm con le tipiche sculture che deformano nella struttura e nella dimensione oggetti, case e suppellettili. Un Padiglione che lancia una sfida allo spazio, alla percezione di esso, tramite il lavoro di due dei suoi più grandi artisti, entrambi premiati con il Premio Grand Austrian State Prize. Noi abbiamo intervistato Brigitte Kowanz, autrice delle note caleidoscopiche installazioni fatte di luci e specchi…
I suoi lavori distorcono la realtà servendosi di neon, luci e parole. Le strutture, i segni e i testi costruiti sono spesso in stretta relazione con lo spazio architettonico che le ospita, che viene restituito alterato, sviscerato, amplificato. Le luci al neon, e i segni da esse disegnati, definiscono le nuove proporzioni dello spazio che ospitano le installazioni. Come viene modificato, in questo caso, lo spazio del Padiglione Austria?
Per la mia installazione al Padiglione Austria ho progettato un ampliamento dello storico Hoffmann-Pavilion, che ho chiamato “Light Space”. Ovviamente questo è un riferimento al “brutale” e “pesante” Padiglione Hoffmann. Allo stesso tempo la mia installazione, che tra l’altro è una delle opere più grandi che io abbia mai concepito, lavora con la luce e riempie lo spazio con essa. Il risultato è uno spazio tranquillo e molto meditativo. Un perfetto cubo bianco di 110 metri quadrati, interamente in legno. Infinity and Beyond non solo reagisce allo spazio architettonico, ma allo spazio in cui oggi si svolge la maggior parte delle nostre vite: lo spazio virtuale e digitale. Affronto l’attuale fusione di spazi reali e virtuali.
L’aspetto analitico, concettuale e socio-politico che si cela in queste sculture, capaci di trasformare lo spazio in un ambiente immersivo, è sempre sottile e delicato. Spesso le parole sono brevi, chiuse in cubi di vetro o piccoli spazi, ma moltiplicate poi con armonia e, al contempo, grande forza propulsiva verso uno spazio infinito. C’è un messaggio preciso che i suoi lavori, in questa Biennale, calata in un periodo storico particolarmente carico di paure, paranoie e reali minacce, trasmettono?
Questa è un’ottima domanda. Oggi siamo costantemente esposti a cattive notizie, minacce e incertezze. Il mio lavoro non è una reazione alla politica quotidiana, alla cosiddetta crisi dei profughi o agli attacchi terroristici. L’argomento che affronto con la mia installazione è un’invenzione che ha radicalmente cambiato drasticamente tutte le nostre vite, un’invenzione che ci ha fatto sperimentare e percepire il mondo in un modo diverso. Questa invenzione ci ha fatto comunicare in modo diverso, ha cambiato il nostro modo di lavorare, il modo in cui viviamo e il modo in cui siamo in generale. Fondamentalmente Infinity and Beyond (Infinito e Oltre) è dedicata e si occupa della digitalizzazione. Nel mio ultimo lavoro, chiamato Cables (Cavi), mi concentro su date, trasformazione delle informazioni e globalizzazione. È molto importante per me che le questioni filosofiche e socio-politiche che affronto non vengano comunicate in modo evidente. Piuttosto, in maniera codificata. Così, per tutta la mia carriera, ho focalizzato il mio lavoro sulla codifica e sui sistemi codificati. Un sistema di codifica basato sul Codice Morse su cui ho lavorato per quasi venticinque anni. Il Codice Morse è il primo codice binario e quindi la base dell’Età Digitale. Quando gli spettatori entrano nell‘Infinito e Oltre, non è immediatamente evidente che cosa comunichi la mostra. In primo luogo, possono goderne semplicemente dal punto di vista estetico. Questo è molto importante per me. Le opere devono fare il loro lavoro senza alcun background teorico. Quindi, per comprendere il vero argomento delle mie installazioni, il pubblico deve impegnarsi ad affrontare un secondo e terzo livello del messaggio che sto trasmettendo.
La sua ricerca è sempre stata incentrata sullo studio della percezione e le sue possibilità. Riflessi, simmetrie, inversioni, moltiplicazioni, amplificazione dello spazio. Le sue installazioni trascinano in una realtà inesistente, o viceversa permettono di conoscere la vera realtà, osservandola contemporaneamente da molte prospettive diverse?
Oltre alla luce e al Codice Morse, anche gli specchi hanno un ruolo molto importante nel mio lavoro. Combinando la luce e gli specchi, creo spazi virtuali inesistenti e infiniti e, come ho già detto, li riempio di messaggi codificati. Così, non appena gli spettatori entrano in quegli spazi virtuali, si confrontano con il messaggio ma, allo stesso tempo, vedono sempre la propria immagine riflessa allo specchio. Pertanto, gli specchi funzionano letteralmente come mezzo di riflessione.
“La luce rende tutto visibile, ma rimane invisibile”. Viceversa, la parola rende tutto comprensibile, ma può anche essere ingombrante mezzo di incomprensione. Qual è la parola chiave del suo intervento in questa Biennale?
Spesso confondiamo le sorgenti luminose con la luce in generale. Nella mia opera cerco di rendere visibile la luce. Allo stesso tempo, la luce può essere uno strumento di conoscenza. Come ho già detto, l’installazione a Venezia non è costituita dalla mia calligrafia trasposta in neon come in altre opere precedenti, ma da forme astratte realizzate con cavi luminosi che riproducono messaggi tramite Codice Morse. Il lavoro principale www 12.03.1989 06.08.1991, un pezzo di 40 metri quadrati, trasmette attraverso il codice Morse sia la data di quando internet è stato presentato al Cern sia quella in cui è stato reso pubblico. Altre opere più piccole, ad esempio, rivelano le date di quando Google e Wikipedia sono andate online. Il corpo del lavoro presentato a Venezia si chiama, appunto, Cavi.
Insegna da molti anni alla prestigiosa Universität für angewandte Kunst di Vienna. Per questa installazione ha voluto coinvolgere in qualche modo i suoi studenti? Il titolo scelto dalla Macel per questa Biennale è Viva Arte Viva, un inno alla figura dell’artista. In che modo l’Austria è un Paese che sostiene i giovani artisti?
Sì, ho insegnato per vent’anni. Per me, è sempre stato importante sostenere le generazioni più giovani. Il modo migliore per sostenerli è quello di dare loro molta libertà. Ovviamente la mia nomination per la Biennale è stata molto emozionante per loro e mi hanno sostenuta molto durante l’intero anno dei preparativi. Ovviamente ho invitato tutti all’apertura del Padiglione. In Austria, c’è un gran numero di sovvenzioni e borse di studio che consente a molti giovani artisti di realizzare i loro lavori nei primi anni dopo la laurea. Ma, ovviamente, è importante trovare persone che sostengano ed espongano le opere dei giovani artisti all’inizio della loro carriera. Le borse di studio non sono sufficienti.
* [da Espoarte #97 – Speciale Biennale]
Padiglione Austria
Commissario/Curatore: Christa Steinle
Sede: Giardini
Artisti: Brigitte Kowanz e Erwin Wurm
Info: www.labiennale.at