ROMA | Galleria Valentina Bonomo | 21 maggio – 30 settembre 2016
di JACOPO RICCIARDI
Ghetto, quartiere ebraico di Roma. Mostra di Brian Eno, musicista sperimentale. Entrare nella galleria di Valentina Bonomo è come penetrare in un’isola protetta di luce e suono. L’ambiente è pervaso da un’atmosfera soffusa che vive soltanto di colori luminosi in evoluzione spettrale continua (sono dei box luminosi a led appesi alle pareti di 70x70cm che richiamano le impostazioni geometriche di Josef Albers – un quadrato più piccolo centrato nel quadrato più grande dell’opera; due zone di luce in evoluzione spettrale – o di Piet Mondrian – due assi dietro la superficie, uno verticale e uno orizzontale, separano tre spazi comunicanti; tre zone di luce in evoluzione spettrale) e del basso ma penetrante mormorio androgino dei “fiori” (sculture con base di pietra grezza dalla quale partono una serie di steli oscillanti alti un metro e sessanta alla cui sommità sono disposti dei piccoli altoparlanti a simulare delle corolle da cui viene riprodotto un suono che unisce in un unico flusso delle registrazioni analogiche della natura con del “rumore” artificiale creato digitalmente).
Siamo di fronte (o all’interno) a una “forma” inconsueta di opera (non si sente quasi il bisogno di aggiungere “d’Arte”), né concettuale, quindi legata al suo oggetto, né pittorica (o scultorea), poiché la superficie non è “ricettrice” ma “emissiva”. Le opere di Brian Eno usano i colori, ma questi sono emessi dalla luce verso lo spettatore, oppure abitano lo spazio come una scultura ( i “fiori”) ma la loro vera fisicità consiste nel suono che, emesso verso lo spettatore, descrive lo spazio e non l’opera stessa.
I sensi vengono sollecitati da stimoli in movimento, da impercettibili processi continui di colori che cambiano in altri colori, oppure suoni che si compenetrano l’uno sull’altro formando un unicum.
Lo spazio della galleria si attiva per mezzo di questo “riempimento” ambientale. Non vi è tatto o odorato poiché lo scopo di Brian Eno è quello di lasciare (isolare) il visitatore solo con se stesso: la materia tangibile è la sua propria, e l’odore proviene da sé. Gli altri visitatori sono riconosciuti come simili (isolati) immersi in una stessa esperienza.
Si vaga in un movimento lento (rallentato) alla ricerca dell’approfondimento di una stessa esperienza reiterata e in questo modo rafforzata in noi. La mente si accorge di questo rallentamento fisico che corrisponde a un rilasciamento psicofisico simile all’assorbimento meditativo (le frequenze in accordo di suono e intensità luminosa aiutano).
Lo scopo di queste opere sta nel riconnettere la mente con l’esperienza (personale e umana insieme) che ognuno vive nel mondo, nel suo spazio, tra i suoni e tra ciò a cui rimandano i colori. Quindi, l’opera di Brian Eno non ha come scopo né gli oggetti che trasmettono, né le trasmissioni e l’esperienza unitaria che li lega nell’ambiente, ma piuttosto questo richiamare l’esperienza del nostro rapporto con lo spazio del mondo, con la sua materialità e configurazione, con il pianeta in una visione che umanamente deve essere vissuta e compresa secondo la sua ricchezza ma anche e soprattutto secondo la limitazione che noi, in quanto esseri umani, attuiamo esistendo.
Brian Eno ci mostra in che modo il nostro rapporto con il mondo sia meno complesso di quel che si pensa, poiché limitato da suono e colore, e inoltre che proprio attraverso questa limitante unicità noi scopriamo una ricchezza di profondità percettive che si scavano in infiniti rapporti, chiarendo la nostra misura in solitudini che, forse, in qualche modo, già si connettono, viaggiando sulla frequenza che fa convivere (per noi) colore e suono.
Maggiormente nostra è la realtà che “rallenta” nella galleria, rispetto a quella esterna del mondo, da dove siamo venuti e alla quale ritorneremo, ma una volta usciti avremo la consapevolezza di un’esperienza e di una elaborazione “nostra”, proprio di quella realtà esterna la cui consuetudine è stata interrotta, per un istante dalla mostra, come un flusso di corrente che si blocca e riparte. Brian Eno ha animato quel “vuoto”. Egli ha creato un “vuoto” nel flusso dell’esperienza, un “vuoto” nel quale appare per un istante la persona e l’umano, messi in connessione.
BRIAN ENO. Light Music
21 maggio – 30 settembre 2016
Galleria Valentina Bonomo
Via del Portico D’Ottavia 13, Roma
Info: +39 06 6832766
info@galleriabonomo.com
www.galleriabonomo.com