intervista a AMANDA CHIARUCCI di Livia Savorelli
Giungiamo oggi al terzo episodio delle ricognizioni che originano da un’attenta e approfondita selezione di alcune opere che hanno colpito particolarmente la mia attenzione ad Arte Fiera e che ho avuto il piacere di approfondire al mio rientro direttamente con gli autori. Dopo i primi due capitoli, dedicati rispettivamente a Silvia Camporesi e Tiziana Pers, indaghiamo l’affascinante mondo dell’origami di Amanda Chiarucci (1974), presentata dalla Galleria Lara e Rino Costa di Valenza (AL).
Ad Arte Fiera, pur come presenza “giovane” il tuo lavoro sosteneva appieno il dialogo con le opere di affermati artisti quali Giuseppe Maraniello, Luigi Mainolfi, Umberto Cavenago e Chiara Dynys. Quali fili conduttori sono stati individuati da Rino Costa nella scelta degli artisti proposti in fiera, in uno stand che, come d’abitudine per la galleria, si caratterizzava per armonia e perfetto equilibrio tra i lavori esposti?
Durante i quattro anni intensi di lavoro con la galleria, Rino, nonostante avesse intuito il potenziale del mio linguaggio, non ha mai lasciato che vivessi di questa semplice consapevolezza. Volevo superarmi continuamente e lui ha sempre investito sulla mia crescita. Ad ogni “scatto” ha sempre via via alzato la posta in gioco, permettendomi di sviscerare tutto ciò che stavo affrontando. Arte Fiera 2020 è l’ennesimo gradino di questa continua sfida ed essere stata scelta a confrontarmi con le opere di affermati artisti, non è per me solo un onore, ma è stato anche lo stimolo per crescere ulteriormente.
Rino ha una dote incredibile nel scegliere gli artisti e nel collocare le loro opere con eleganza magistrale, senza essere mai invadente ed eccessivo. La sua lucidità espositiva fa in modo che ogni opera abbia il suo giusto respiro e spazio di rilievo. Il filo conduttore è un’empatia di contenuti, anche quando, come in questa edizione di Arte Fiera, i materiali sono in apparente dissonanza: un viaggio tra spiritualità, illusione, natura e potere della materia.
Dialogando insieme, ho appreso come di fatto il tuo lavoro muova da una suggestione: una storia passata che tocca le corde della tua sensibilità, facendo affiorare storie familiari di migrazioni e viaggi. Un fatto legato alla storia recente che genera in te l’ispirazione che diventa necessità del fare, che connette i tanti aspetti del tuo essere: la tua storia personale e i tuoi riferimenti letterari/culturali, ai quali dedichi un sentito omaggio. Ci racconti brevemente da dove origina il tuo lavoro e cosa ha rappresentato l’Arte nella tua evoluzione personale? Cosa immagini innesti nello spettatore la visione della tua opera?
“Da piccola” non volevo essere un’artista. Prendere coscienza invece di questa mia natura è stato un percorso tortuoso e difficile, duro e costellato da eventi di pura sofferenza. Vivo l’arte come una sorta di sacrificio e mi adopero per spurgare il dolore. È una continua resilienza che si perpetua in ogni opera. Ad oggi non è più resilienza fine a se stessa ma tentativo di apertura e dono verso lo sguardo attento di chi si trova in relazione con questo mio mondo. È una rivelazione in cui la mia natura non vuole più difendersi o nascondersi, ma svelarsi. Quando ho conosciuto questo tipo di origami modulare, l’ho adottato non solo perché non potevo farne a meno, ma anche per empatia verso la sua storia. Nel 1993 la nave cargo Golden Venture con 286 clandestini cinesi si arenò dinnanzi alla costa del Queens: alcuni di loro riuscirono ad ottenere asilo mentre i restanti furono espulsi o rinchiusi nelle carceri americane per quattro anni. Durante questo periodo, un anonimo insegnò il modulo a tutti i compagni ed insieme realizzarono delle sculture che servirono per esposizioni in cui si tentava di sensibilizzare l’opinione pubblica e politica sulla loro scarcerazione. Tutte le valenze storiche dell’origami sulla spiritualità dei processi trasformativi della carta e delle pieghe, ha rafforzato ulteriormente la mia convinzione che potessi offrire un messaggio positivo di elevazione e riscatto, superando quello di autocommiserazione. Sono il frutto di un intreccio complesso di diversi vissuti, provenienti da diverse parti del mondo e quindi ho un concetto allargato di “casa”.
Questa tecnica di origami chiamata Golden Venture Folding, da te perfezionata come autodidatta, diviene presto “un’estensione del tuo corpo”, che ricollega passato e presente, che segna il tuo percorso evolutivo come persona. Quale importanza riveste il tempo nella tua opera e come si ricollega alla circolarità che caratterizza molti dei tuoi lavori? Come la scelta della diversa carta che utilizzi è funzionale alla storia che vuoi narrare?
Nel momento in cui la mia visione è cambiata è iniziato il mio vero viaggio come artista. Il tempo è stato il tema principe delle prime opere: come poter creare senza avere tempo? Come fa la natura: in modo paziente e lento, frammento dopo frammento, strato dopo strato, dando vita a enormi “rosoni” intitolati “talee” in cui registravo la mia esistenza. In altre opere ho invece racchiuso il tempo passato come in “Oblio” e “Universo Madre: mia madre, mio padre ed io”. Successivamente ho dovuto rispondere ad un altro desiderio: come poter viaggiare? Le cartine geografiche sono state le mie prime rampe di volo. Ho definito un nuovo paesaggio come estensione vera e propria del mio desiderio e del mio corpo. Se non lo vedo il mondo, questo non significa che io non possa sentirlo come parte integrante della mia essenza. La natura mi guida e la sua circolarità mi porta a riflessioni che esprimo poi nelle mie opere. La carta che scelgo ha sempre una valenza “antropologica”: dai romanzi alle enciclopedie, guide turistiche o atlanti geografici, sono a loro volta registrazioni del nostro vissuto e si legano in modo simbiotico con la storia della Terra.
Soffermiamoci in particolare su due opere presenti in fiera: In vertigine subtilitatum (La vertigine delle sottigliezze) e De Divina Natura (La Natura Divina). Come si innestano queste opere nella riflessione sul rapporto Uomo/Natura?
La vertigine delle sottigliezze, opera nata da ispirazione sul pensiero di Santa Ildegarda, racconta in modo esplicito del rapporto Uomo/Natura: l’uomo inserito all’interno di un cerchio per sottolineare la stretta e dunque armonica relazione tra microcosmo e macrocosmo. È uno scrigno pieno di simbologie attinte dalla geometria sacra e che pone l’attenzione sulla continua lotta tra due entità che non riescono a trovare un punto di equilibrio. Mentre l’universo procede nel suo movimento di espansione e contrazione, siamo solo noi che da secoli ci poniamo le stesse domande. Vivo questo quesito ogni giorno ed è anche per questo che ho deciso di inserirmi come parte integrante del dissidio. La vertigine si vive sia che uno scelga la via luminosa delle sottigliezze, ovvero quelle energie impercettibili ma potenti della Natura, che quella oscura. La difficoltà sta sempre nel prediligere la scelta meno facile che è, allo stesso tempo, quella più semplice. L’umanità si sta sradicando da questa semplicità, perdendo la visione armonica del Tutto. Nel De Divina Natura cerco di dare una risposta ottimista. Essendo la Natura una continua scoperta di leggi e proporzioni perfette, rivela sempre di più un disegno divino sul quale non dobbiamo solo riflettere ma prendere spunto per migliorare il nostro modo di vivere. Essere sempre meno piante rampicanti parassite dedite solamente a soffocare la Natura, senza appunto dimenticarci di proteggere la nostra vera casa, rappresentata dall’icosaedro vacuo di Leonardo da Vinci, vivendo la vita con sacralità.
Ci dai qualche anticipazione sui prossimi progetti che ti vedranno impegnata in questo 2020?
Prossimamente, ma in data da definirsi, la personale alla Galleria Lara e Rino Costa.
Cambiamo la prospettiva… da artista a fruitore di Arte Fiera. Quale lavoro ti ha maggiormente colpito e ti è rimasto nel cuore?
Le suggestive immagini del paese sommerso di Silvia Camporesi, non ho dubbi. Silvia crea su due livelli, tra magia e realtà, e riesce perfettamente a restituire vita ad ogni paesaggio, italiano e non, che catturi il suo interesse. È un’illusionista fantastica. Ogni luogo che sceglie, pur avendo una ben definita identità storica o geografica, viene pervaso dal suo occhio magico, diventando indimenticabile.
www.amandachiarucci.it
www.galleriarinocosta.it
Gli episodi precedenti:
Bologna, dopo Arte Fiera. Suggestioni #1: Silvia Camporesi
Bologna, dopo Arte Fiera. Suggestioni #2: Tiziana Pers