intervista a TIZIANA PERS di Livia Savorelli
Presentiamo oggi una nuova tappa delle ricognizioni nate post Arte Fiera 2020. Dopo il primo episodio che ha visto protagonista Silvia Camporesi e la serie Il paese sommerso (2019), presentato nella sezione “Fotografia e Immagini in Movimento” della fiera da z2o Sara Zanin Gallery, rimaniamo sempre nella stessa sezione con la ricerca di Tiziana Pers (1976) e le opere facenti parte del progetto ART_HISTORY / Vucciria (2018), presentato dalla galleria aA29 Project Room di Milano.
Art History è un’azione work in progress che mira ad analizzare e al contempo decostruire la prospettiva antropocentrica e specista su cui si basa gran parte del capitalismo che muove la società contemporanea. Puoi spiegarci i presupposti su cui si basa e che sono all’origine della tua ricerca?
Quando ero ancora bambina ho salvato un giovane pony dal macello, e l’ho accudito per tutta la sua vita finché è morto tra le mie braccia, 28 anni dopo. Questo evento ha modificato le mie certezze e ha innescato una serie di domande che, nel corso degli anni, hanno preso forma sempre più visibile: perché alcuni esseri senzienti vengono mangiati e altri no, perché alcuni individui sono discriminati e altri no… e via dicendo. Indagando, ciò che emerge è che esiste un unico filo conduttore che attraversa le differenti forme di dominio: sessismo, colonialismo, razzismo, omofobia, specismo, violenza sugli ecosistemi, sono tutti strettamente connessi.
Nell’ultima personale realizzata con la galleria aA29 Project Room approfondivo proprio questi aspetti. La mostra, articolata nelle sedi di Milano e Caserta, a cura di Pietro Gaglianò e Gabriela Galati con un testo di Gabi Scardi, aveva come titolo CAPUT, CAPITIS, che in latino significa anche capo di bestiame, ed è da questa accezione che deriva il termine capitalismo. Ovvero la stessa prospettiva capitalista proviene dall’oggettivazione del corpo dell’altro. Persino le prime catene di montaggio della Ford sono nate dall’osservazione delle prime catene di ‘smontaggio’: le Union Stockyards, i grandi macelli di Chicago. Hitler poi da entrambe queste esperienze pare si sia ispirato per dare origine ai campi di sterminio.
In particolare ad Arte Fiera, sono stati presentati diversi elementi di un recente capitolo dell’azione, dal titolo ART_HISTORY / Vucciria, che nasce nel 2018 per Manifesta 12 a Palermo. Il comune denominatore è una pratica di scambio, simile al baratto e sancita da un contratto, che date certe condizioni porta al salvataggio di pesci e altra fauna marina, destinati alla catena alimentare… Come in pratica è avvenuta l’interazione con i pescatori, come hanno percepito lo scambio “opera d’arte / vita”?
ART_HISTORY è una pratica che porto avanti da molti anni, nella quale appunto propongo a un macellaio, allevatore, etc, di darmi un animale vivo in cambio di un mio dipinto della stessa grandezza dell’animale che vado a riscattare. Si tratta di una sorta di domanda aperta: se sia possibile dare un valore economico a una vita, a un’opera d’arte e se l’arte possa salvare una vita. Nello specifico ero stata invitata a realizzare una nuova performance nell’ambito di Memoria Collettiva. Casa Spazio ospita Casa Sponge, a cura di Lorenzo Calamia e Serena Ribaudo per Border Crossing e.c. Manifesta12 Palermo, che si trovava proprio nel cuore della Vucciria. Quindi per me è stato naturale provare a relazionarmi con i pescivendoli, e la cosa che mi ha più stupita è stata la grande apertura e l’accoglienza. All’inizio non ero nemmeno certa se sarei riuscita a realizzare l’azione. Invece il pescivendolo si è appassionato al progetto, e mi ha permesso di reiterare la performance per tre giorni, per un totale di 9 animali salvati. Prima dell’alba, appena lui apriva bottega, mi consegnava i pesci ancora vivi, siglavamo i contratti di cambio, e poi io correvo per circa tre chilometri per andare a liberarli nella baia di Sant’Erasmo. Ma giorno dopo giorno sempre più persone si interessavano al gesto, e ogni mattina anche gli altri venditori, di frutta e spezie, mi fermavano per chiedermi: ‘anche oggi sono vivi? chi hai lì? ci sei riuscita?’. Il fatto di restituire al mare una minuscola parte delle vite sottratte era stata percepita come una narrazione prossima al miracolo: qualcuno praticamente già morto viveva ancora, aveva una possibilità. Alla fine era diventata un po’ la favola del quartiere, una piccola storia di resistenza.
La pratica artistica è di fatto per te estensione pratica di vita, momento di condivisione con gli altri. La condivisione è alla base anche del progetto che, da anni, tu e tua sorella Isabella portate avanti nella vostra terra d’origine, in provincia di Udine, con RAVE East Village Artist Residency, molto più di una residenza d’artista, un processo esperienziale di condivisione tra le persone e gli animali, anch’essi salvati dal macello. Credi che la diffusione di queste pratiche possa innestare un meccanismo virtuoso che rompa questa catena di predominio dell’uomo sulle altre specie?
Tracci per noi un breve bilancio di Rave?
Il metaprogetto RAVE nasce nel 2011, e da allora abbiamo avuto la fortuna di poter collaborare con artisti straordinari come Adrian Paci, Ivan Moudov, Regina José Galindo, Diego Perrone, Tomàs Saraceno, Igor Grubić e Giuseppe Stampone, e figure molto significative tra filosofi, curatori, architetti e scienziati.
Diciamo che noi abbiamo una grande fiducia nell’arte come campo di lavoro capace di anticipare nuovi modi di esperire il mondo. E in questa prospettiva il nostro rapporto con gli altri animali e il resto dei viventi risulta centrale. Quindi certamente rompere gli schemi esistenti per dare vita a ipotesi ancora non tracciate ci sembra che possa essere un buon modo per rivoluzionare, o quanto meno mettere in discussione, gli immaginari esistenti.
Ci dai qualche anticipazione sui prossimi progetti che ti vedranno impegnata in questo 2020?
Ci sono diversi progetti che sto sviluppando adesso, in particolare: un nuovo capitolo di Art_History incentrato questa volta sugli abitanti del cielo, e contestualmente sto lavorando alla storia di una donna d’altri tempi, che coniuga la forza di un rifiuto con la sensibilità verso i più deboli, in una delicata storia di ecofemminismo.
Poi a maggio ci sarà la mia mostra personale a Bologna al DamsLab connessa al convegno ANIMAL PERFORMANCE STUDIES. La scena del non umano in una cornice antropologica e filosofica, mentre a novembre con mia sorella Isabella presenteremo una doppia personale negli spazi della SRISA a Firenze, curata da Pietro Gaglianò. E in cantiere ci sono anche altre mostre e progetti, delle quali non parlo per scaramanzia.
Cambiamo la prospettiva… da artista a fruitore di Arte Fiera. Quale lavoro ti ha maggiormente colpito e ti è rimasto nel cuore?
Da sempre sono innamorata del lavoro di Regina José Galindo, e trovo il suo Make America great again alla Prometeogallery quanto mai attuale. Però devo dire che molti sono i lavori che mi hanno colpita, inclusi i dipinti di Jorge Queiroz alla Pinksummer e l’installazione di Liliana Moro alla Galleria Francesco Pantaleone.
ps://aa29.it
www.raveresidency.com
Gli episodi precedenti:
Bologna, dopo Arte Fiera. Suggestioni #1: Silvia Camporesi