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MILANO | Palazzo Reale | 24 febbraio – 25 giugno 2023

di ILARIA BIGNOTTI

C’è una brezza sottile e persistente che si percepisce ogni qualvolta si guardano le opere di videoarte di Bill Viola: un soffio che esce dagli schermi e ci spinge con gli occhi da un video all’altro. Con quel cognome che pare risuonare nelle atmosfere colore pervinca e bluastre che spesso fan da sfondo alle sue opere, il grandissimo Viola è lì, appena dietro lo schermo, regista del tempo e delle emozioni, intento a smuovere l’aria, a far danzare minuti come secoli, secondi come ore. Pare che si diverta, a metterci alla prova: ci inchioda davanti al video, ci chiede di aspettare, di non avere fretta.

Bill Viola, The Greeting, 1995, Video/sound installation Color video projection on large vertical screen
mounted on wall in darkened space; amplified stereo sound Projected image size: 2,8×2,4 m 10:22 minutes Performers: Angela Black, Suzanne Peters, Bonnie Snyder Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

Qualcosa, impercettibilmente, sta sempre accadendo: così Caterina, nel polittico video Catherine’s Room (2001), la mattina si sveglia e si stende a terra, su un drappo rosso, mentre fuori, lentamente, un ramo fiorisce; poi lei cuce, lei scrive, lei accende candele, lei si sdraia a letto: le fasi di un giorno, o di una vita, risuonano nelle fronde dell’albero alla finestra che germoglia e intirizzisce al variare delle stagioni. È con quest’opera che la mostra si apre, per esplodere nel capolavoro e capostipite della rivoluzione estetica di Viola, The Greeting (1995), creato a Firenze dove approda dopo gli anni di sperimentazione che lo portano fino nel deserto: nella culla del rinascimento avveniva la folgorazione per il Pontormo durissimo e senza scampo, ma anche per le invenzioni di Masolino da Panicale che culminano nella drammatica perfezione di Emergence (2002), e poi per i martiri e le estasi barocchi (come nell’opera in mostra, Martyrs, del 2014, una delle più recenti esposte).

Veduta della mostra Bill Viola, Palazzo Reale, Milano, courtesy Arthemisia (opera: Bill Viola, The Quintet of the Silent, 2000)

Forme del tempo, o meglio forme del sentimento del tempo – Aby Warburg si avrebbe avuto da scrivere un bel po’, su Bill Viola, se mai si fossero incontrati – continuano a riecheggiare dietro quel velo sottile e altrettanto persistente che il maestro della videoarte non riesce – o meglio, proprio non vuole – mai togliere, come a dirci che dopotutto non potremo mai scoprire, se non con il cuore, il significato di quanto vediamo, il senso di quanto facciamo. Un velo che si moltiplica nell’installazione The Veiling (1995), dove l’immagine femminile e maschile avanza e si addentra negli strati della memoria e del tempo, anticipazione di quel venire e tornare dal mondo dei morti di Ocean Without a Shore (2007), superba installazione che Viola realizzò per una lontana Biennale d’Arte a Venezia, nella Chiesa di San Gallo, ponendo su tre altari sconsacrati processioni di amici e performers, di familiari e anche di se stesso, che apparivano come a salutarci passando di qua e di là da un frame di acqua scrosciante, chiamandoci a un trapasso continuo, emozionale e concettuale.

“Che cos’è questa immagine fuggevole chiamata vita? Perché siamo qui a condividere questo istante di vita, un istante che è passato,  ma anche presente? E perché gli elementi essenziali della vita sono il cambiamento, il movimento e la trasformazione, e non la stabilità, l’immobilità e la continuità?…
Ti rendi conto che il vero lavoro in questo tempo non è astratto, teorico e speculativo: è urgente, morale e pratico. Rispondere in modo adeguato alle domande sul “perché” richiede un nuovo equilibrio tra emozioni e intelletto e una reintegrazione delle emozioni, insieme alle autentiche qualità umane della compassione e dell’empatia, nella scienza della conoscenza. Il nostro lavoro di artisti oggi non consiste nel descrivere il punto d’arrivo o la conquista di una meta, ma piuttosto nell’illuminare il percorso. Non si tratta di un sistema di prove e annunci, ma di un processo dell’Essere e del Divenire” (Bill Viola, Tra il come e il perché, 1993)

Lo aveva spiegato Bill Viola stesso, il senso della sua opera: il come, e il perché.

Veduta della mostra Bill Viola, Palazzo Reale, Milano, courtesy Arthemisia (opere: Bill Viola, Water Martyr e Fire Martyr, 2014)

E proprio la variazione assillante e minima, ma continua e estenuante, di un gesto, attraverso le contorsioni e le espressioni di un corpo, di un volto, di una mano (come nel magistrale polittico Four Hands, 2001, in mostra) narrate mediante il rallentamento delle immagini, è al centro della tecnica poetica di Viola: questo è il suo linguaggio, questo è il suo medium che ci chiama ad entrare lentamente, in silenzio e in punta di piedi in un mondo dove le passioni, con al centro il dolore, fisico e mentale, e la paura della perdita e della dimenticanza, convivono con la luce che continua a risplendere, debole e fioca, o irruente e violenta, come i fuochi e le acque impetuosi di altri suoi capolavori, come il notissimo The Raft (2004) e Fire Woman (2005), entrambi in mostra. Una luce etica, che ci dice di non aver paura di bruciare di amore, di bruciare di desiderio, di bruciarci gli occhi: dobbiamo solo accogliere, e custodire, questa energia vitale e metafisica. Una energia che ci fa tornare a guardare, ogni volta come se fosse per la prima volta, la magistrale lezione umana di Bill Viola.

Veduta della mostra Bill Viola, Palazzo Reale, Milano, courtesy Arthemisia, (opera: Bill Viola
Four Hands, 2001`

 

BILL VIOLA
a cura di cura di Kira Perov
promossa dal Comune di Milano-Cultura
prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia
con la collaborazione del Bill Viola Studio
catalogo a cura di Valentino Catricalà e Kira Perov

Palazzo Reale, Milano

Orari: da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30.
Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.

Info e prenotazioni: +39 02 892 99 21
palazzorealemilano.it
arthemisia.it

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