LA TOP LIST DELLE PARTECIPAZIONI NAZIONALI ALLA 58. BIENNALE DI VENEZIA A CURA DELLA NOSTRA REDAZIONE: PARTE #3
Azerbaijan
La Repubblica dell’Azerbaigian, stato caucasico al confine con Armenia, Iran e Turchia è alla sua quarta partecipazione alla Biennale di Venezia.
Il progetto del Padiglione parte da dati che riguardano molto da vicino la nostra quotidianità a contatto con i mezzi di comunicazione più diffusi in assoluto: il cellulare e i social. Impossibile rimanere estraenei, in maniera diretta o indiretta, al flusso continuo di news. In media controlliamo i cellulari 150 volte al giorno e più di 2 miliardi di persone usano facebook. Il web rappresenta la nostra fonte di notizie ufficiale pur essendo coscienti del fatto che sia un “luogo” impestato di fake news che ci depistano e allontano dalla realtà oggettiva dei fatti, mettendo in crisi la nostra concezione di verità e come la esprimiamo attraverso il consenso più o meno consapevole.
In Virtual Realty gli artisti azeri invitati a partecipare al Padiglione portano avanti un’analisi critica attraverso progetti multimediali interattivi (Orkhan Mammadov, Zarnishan Yusif e Zeigam Azizov), installazioni e sculture (Kanan Aliyev e Ulviyya Aliyeva).
Ad accoglierci, al piano terra di Palazzo Lezze, è Bubble Reflection di Zarnishan Yusif una spettacolare installazione composta da “manichini” in plexiglass che lasciano trasparire lo scorrere incessante di informazioni attraverso circuiti telematici che si sono ormai insinuati nel nostro corpo e nella nostra mente. La realtà virtuale ci rende passivi e privi di personalità. Il flusso di notizie sembra fluire al piano superiore, dal buio alla luce. Le sculture antropomorfe di The Slinky Effect, realizzate da Kanan Aliyev e Ulviyya Aliyeva, comunicano esclusivamente tramite molle sulla testa, la postura ingessata, lo sguardo assente e il grigio dell’“uniforme”, non ci permettono di “empatizzare” con loro e ci rendono osservatori impotenti di rapporti inespressi.
In una saletta adiacente torniamo al buio dove ci troviamo di fronte all’installazione audiovisiva 4CH generata da algoritmo, Circular Repetition, di Orkhan Mammadov. L’immaginario si innesta nel reale grazie ad un sistema informatico creato dall’artista che come una rete neuronale elabora un archivio di 15.000 immagini di ornamenti tradizionali combinandoli tra loro ed elaborandone dei nuovi. L’inesistente diventa reale? [Francesca Di Giorgio]
Padiglione Azerbaijan
Virtual Reality
Zeigam Azizov, Orkhan Mammadov, Zarnishan Yusifova, Kanan Aliyev, Ulviyya Aliyeva
Curatori: Gianni Mercurio, Emin Mammadov
Commissario: ambasciatore Mammad Akhmadzada
Esecutore: Fondazione Heydar Alieyv, Baku
Sede: Palazzo Lezze, Campo S. Stefano, San Marco 2949
Info: www.azerbaijanvenicebiennale.org
Paesi Nordici
Al centro del Padiglione dei Paesi Nordici – progettato dall’architetto norvegese Sverre Fehn, completato nel 1962 e concepito come spazio di collaborazione fra tre nazioni: Finlandia, Norvegia e Svezia – una delle tematiche più dibatutte del contemporaneo: il cambiamento climatico. Un tema molto presente anche nel progetto di Mostra di Ralph Rugoff (gli interesting times sono tali anche in virtù, e malgrado, di cambiamenti epocali).
Sappiamo che quando un tema è così alla ribalta, il rischio è quello di banalizzarne l’importanza e la portata critica ma l’arte può di certo sviluppare con i propri strumenti una riflessione più ampia e complessa a partire dalle relazioni che intercorrono tra tutti gli esseri viventi fornendo vedute parziali su un tema globale.
Weather Report: Forecasting Future è di fatto una “prospettiva nordica” sul clima, l’ambiente e gli ecosistemi terrestri, attraverso il lavoro del duo finlandese nabbteeri, Janne Nabb (1984) e Maria Teeri (1985), la norvegese Ane Graff (1974) e la svedese Ingela Ihrman (1985).
Il Padiglione nordico si presenta come una costellazione di elementi perfettamente immersi nella materialità dello spazio interno ed esterno dei Giardini ponendo una riflessione inevitabile sulla posizione geografica di Venezia, sulla precarietà causata dall’erosione (secoli di turismo di massa) e le prospettive di sopravvivenza delle specie marine presenti in Laguna.
La pratica del duo nabbteeri si basa sull’eterogeneità di materiali per creare lavori polimorfici e composizioni basate su interazioni e fusioni premeditatamente disordinate. Accanto a materiali e oggetti in eccesso presi in prestito, riciclati e rimodellati, le loro opere, stratificate come maglie, includono elementi creati con la modellazione 3D o altre tecnologie digitali. L’effimera natura dei loro lavori si adegua benissimo alla natura nomadica delle loro opere.
Ane Graff combina ed incrocia la sua ricerca sui materiali con una vasta gamma di discipline: microbiologia, chimica e teorie femministe. Attraverso le sue installazioni, affronta presunte classificazioni basate sulla cultura. La serie The States of Inflammation si riferisce, infatti, alle connessioni tra i cambiamenti climatici, le società occidentali guidate dalla crescita economica, l’estinzione dei microbi intestinali immuno-modulabili e la diffusione di malattie infiammatorie.
La sua installazione rende osservabile ad occhio nudo il modo in cui il corpo umano è ostaggio di batteri e tossicità derivati dall’ambiente in cui vive l’uomo. Le teche in vetro rendono trasparente il “corpo umano” e il suo stato infiammatorio.
E, ancora, Ingela Ihrman, con una pratica che prevede l’intreccio tra immaginazione, tecniche artigianali, sensibilità ed esperienze di vita quotidiana attinge alla tradizione performativa femminista. Le installazioni di alghe della Ihrman raccontano la storia delle origini liquide del corpo umano e le connessioni esistenti tra diverse forme di vita. Oggetti muti e di grandi dimensioni invitano i visitatori a partecipare ad un’esperienza corporea.
Il fatto che siano i Paesi nordici a riflettere su queste tematiche racconta di come la reputazione di nazioni riconosciute come paradisi di pace e democrazia sentano ancora più vicina l’urgenza delle problematiche ambientali e la paura di perdere la natura incontaminata riconoscendone, prima di altri, quel lavoro invisibile che contribuisce al nostro equilibro e al nostro benessere quotidiano.
[Francesca Di Giorgio]
Padiglione Paesi Nordici
Weather Report: Forecasting Future
Ane Graff, Ingela Ihrman, nabbteeri
Curatori: Leevi Haapala, Piia Oksanen
Commissario: Leevi Haapala / Museum of Contemporary Art Kiasma / Finnish National Gallery, Katya García-Antón / Office for Contemporary Art Norway (OCA), Ann-Sofi Noring / Moderna Museet
Sede: Giardini
Info: https://kiasma.fi
Arabia Saudita
Per quanto la memoria e il ricordo non possano mancare in una biennale in cui, a partire da un titolo quanto mai ambiguo e generico come May you live in interesting times, si fa appello al tempo presente e futuro che deve reggere anche il confronto con il passato, il Padiglione dell’Arabia Saudita resterà di certo tra quelli più diretti, immediati e coinvolgenti.
Un Padiglione per certi versi “proustiano” dove l’artista Zahrah Al Ghamdi (nata nel 1977 a Al Bahah, vive e lavora a Gedda) cerca di ritrovare colori, forme e suoni di casa sua e lo fa costruendo con la pelle di bue centinaia di oggetti a forma di conchiglia. La pelle di bue non è un materiale casuale ma si ricollega alla sua infanzia trascorsa in una famiglia beduina.
After illusion, questo il titolo del progetto, si ispira ad una antica poesia araba del ‘500 in cui il poeta racconta di non riconoscere la propria casa dopo vent’anni di assenza. La sensazione di esplorare qualcosa di nuovo, un modo immaginario, ma allo stesso tempo familiare accompagna la visita in un’installazione site specific monumentale ed accogliente che medita sullo stato di incertezza come valore (quella degli interesting times di cui parla Rugoff) come posizione transitoria da leggere in chiave liberatoria e di autoaffermazione.
Non si può ovviamente non pensare anche alla realtà del paese da cui proviene la land artist Zahrah Al Ghamdi. L’Arabia Saudita vive da tempo nei così detti “tempi interessanti”, una complessa storia socioculturale racchiusa in due momenti storici cruciali: l’emergere dell’Islam e la scoperta del petrolio. Momenti che lasciano ancora oggi i sauditi confusi sul come percepire la loro storia al di fuori di quei momenti.
Un dato interessante: il team artistico e curatoriale dietro ad After Illusion è composto da tre donne (oltre all’artista Zahrah Al-Ghamdi, la consulente di progetto Nada Shabout e la curatrice Eiman Elgibreen). Ancora una volta una triade femminile vincente come quella che ha portato il Leone d’Oro alle tre artiste lituane Rugilė Barzdžiukaitė, Vaiva Grainytė e Lina Lapelytė.
ll Padiglione Nazionale dell’Arabia Saudita alla 58. Biennale di Venezia segue il successo della prima partcipazione alla Biennale Architettura del 2018 ed è commissionato dal Misk Art Institute, una nuova organizzazione culturale fondata dal principe ereditario Mohammed bin Salman bin Abdulaziz Al Saud. L’Istituto è stato istituito nel 2017 per incoraggiare la produzione artistica in Arabia Saudita, operando a livello locale, regionale e internazionale. La sua sede principale è a Riyadh, dove aprirà un importante centro culturale nel 2020, con spazi espositivi e studi di artisti.
[Francesca Di Giorgio]
Padiglione Arabia Saudita
Zahrah Al Ghamdi. After Illusion
Curatore: Eiman Elgibreen
Commissario: Misk Art Institute
Sede: Sale D’Armi, Arsenale
Info: https://miskartinstitute.org
Austria
Amo, ergo sum (Amo, dunque sono). Così ci accoglie Renate Bertlmann (Vienna, 1943), apponendo la sua firma sull’architettura del Padiglione austriaco. Ma non lasciatevi ingannare, arrivati all’interno l’artista mette in chiaro: Discordo Ergo Sum (Discordo, dunque sono). Con questa dicotomia, formula revisited del principio filosofico Cogito, ergo sum, la Bertlmann cerca di scalzare il predominio della ragione e di descriversi in un autoritratto di rivolta, ricordandoci che la sua pratica artistica è basata sulle contraddizioni. Ne è la prova concreta l’installazione con rose di vetro (ben 312!) che celano al loro interno delle lame affilate, rappresentando così la contraddittorietà dell’esistenza.
Nella parte interna, invece, è esposta una selezione di opere che illustra – come se fosse una veduta cartografica della ricerca dell’artista – gli aspetti estetici e concettuali centrali del suo lavoro stratificatisi a partire dagli anni settanta. Pannelli didattici, schizzi, fotografie, pellicole e disegni in un ambiente asettico e prevalentemente white and black creano una sorta di zona contemplativa dove il visitatore può immergersi nell’autocoscienza artistica di Renate Bertlmann e nelle sue tematiche ricorrenti: fenomeni sociali critici quali le relazioni tra i sessi, i modelli dei ruoli legati al genere e le strutture di potere, affrontati sempre con “ribellione ironica”.
[Elena Borneto]
Padiglione Austria
Renate Bertlmann. Discordo Ergo Sum
Curatore: Felicitas Thun-Hohenstein
Commissario: Arts and Culture Division of the Federal Chancellery of Austria
Sede: Giardini
Info: www.biennalearte.at