VENEZIA | Galleria Alberta Pane | Fino al 23 dicembre 2022
di FRANCESCO FABRIS
La Galleria Alberta Pane di Venezia ospita nei suoi locali una raffinata esposizione collettiva internazionale, ove gli artisti invitati sono raccolti attorno ad un monito chiaro e suggestivo Be Water, My Friend. Nell’esortazione ad essere acqua ed a farsi fluidi e senza forma predefinita si riuniscono Luciana Lamothe (Mercedes, 1975), David Horvitz (Los Angeles, 1982), Jojo Gronostay (Amburgo, 1988), Eva L’Hoest (Liegi, 1991), Nicola Pecoraro (Roma, 1978) ed Enrique Ramirez (Santiago, 1979).
L’atteggiamento del liquido per antonomasia è di assoluta resilienza, non patisce costrizioni e compressioni, si modella ad ambienti e situazioni, raccoglie e convoglia forza quando gliene è data l’opportunità, genera architetture suggestive riempiendo spazi e vuoti.
Questo, in estrema sintesi, il modo di procedere ed atteggiarsi degli artisti coinvolti, tutti estremamente diversi per estrazione, provenienza, medium e poetica, ma tutti eminentemente fluidi nell’approccio e nella soluzione al “problema” artistico.
È cosi che gli spazi della galleria, di per sé suggestivi e protesi verso l’acqua, raccontano di operazioni in cui la resistenza e la resilienza, nelle accezioni attive e passive dei termini, generano riflessioni coinvolgendo i concetti più diversi.
L’eclettica Luciana Lamothe, impegnata nella scultura come nel disegno, nella fotografia come nelle installazioni, occupa lo spazio con una impalcatura sinuosa (Plan, 2012) fatta con fibre di legno, perseguendo quell’obiettivo di straniamento ed instabilità nello spettatore che è tipico stile del suo procedere. La struttura e la sua softness sono la cifra del possibile, del leggero ma ingombrante, aprono ad una via fisica dell’indefinito, proprio come il libro che vi si scorge in cima, o come l’operazione fisica nel video (Tendriamos que haber desaparecido, 2022), in cui la forza è strumento per un tentativo di governo fisico di un progetto in potenza.
Attraverso il delicatissimo video (La Gravedad, 2015), come suo costume sospeso tra il poetico ed il politico, Enrique Ramirez ci racconta il destino del Cile, immerso nei ripetersi del riflussi storici. In quello, frammenti di carta vorticano senza sosta creando nello spettatore una straniante sensazione di capogiro, mantenendolo ignaro del macabro riferimento storico ai corpi dei desaparecidos, testimoni silenziosi e fluttuanti di una storia da ricordare, tra forza di gravità e vacuità della vita umana.
Nelle litografie di Blanchiment 1 (2019), di contro, l’azione erosiva dell’acqua sulla pietra si sostituisce al gesto della mano dell’uomo, richiamando la forza generatrice del liquido che soverchia la precarietà umana.
La matrice fluida è interpretata anche da Jojo Gronostay, sensibile all’analisi degli scambi di merci e persone tra emisferi del mondo, alle loro relazioni politiche, sociali e culturali che sintetizza attraverso le sue creature. In Kreaturen, Forest V (2022) boccette di profumo, simbolo del consumismo occidentale, si fondono con feticci africani che ricordano l’origine ghanese dell’artista. Vengono così generati oggetti nuovi ed evocativi, resilienti alle diversità di origine e qui reinventati per dare un nuovo significato a forme e sembianze.
In David Horvitz, invece, l’acqua assume la forma di ampolle di vetro, per farsi azzeratrice di quella distanza tra gli spazi e gli esseri che è chiave nella poetica dell’artista. Una operazione concettuale rivisitata di duchampiana memoria (Air de L.A., 2020) porta in mostra l’aria di Los Angeles, contaminata dalle particelle di una combustione che la trasforma in un medium tra due distanze fisiche.
L’unico italiano, Nicola Pecoraro, interpreta la fluidità come ambiguità della materia, evidenziata nelle sculture plastiche che ingannano circa il loro peso, la provenienza spaziale e la loro intima sostanza, disseminando la parte più luminosa della galleria di tracce misteriose (Ultitled, 2017).
Il film Pareidolia (2014) di Eva L’Hoest, invece, distorce le usuali dinamiche della percezione coinvolgendo lo sguardo dello spettatore in un paesaggio liquido e minerale, fintamente iconico, straniante e ricco di valenze simboliche fino a rievocare memorie ancestrali “incastrate” in supporti tecnologici.
Complessivamente una collettiva molto ben riuscita, nella quale le varie declinazioni del fluido e del possibile transitano attraverso media e supporti, idee e soluzioni altamente eterogenee e perciò inarginabili, come il sostantivo del titolo.
Be Water, My Friend
a cura di Chiara Vecchiarelli
Artisti: Luciana Lamothe, David Horvitz, Jojo Gronostay, Eva L’Hoest, Nicola Pecoraro, Enrique Ramirez.
Fino al 23 dicembre 2022
Galleria Alberta Pane
Dorsoduro 2403H Calle dei Guardiani 30123, Venezia
Orari: martedì – sabato 10.30 – 18.30
Info: +39 041 5648481
martina@albertapane.com
albertapane.comalbertapane.com