BOLZANO | SEDI VARIE | IL REPORT
di Livia Savorelli
Da un paio di anni, accetto con molto piacere l’invito di Nina Stricker a raggiungere Bolzano per immergermi nella intensa BAW – Bolzano Art Weeks, un evento in grado di far dialogare, in un unico grande momento culturale aggregativo, le risorse culturali della città altoatesina favorendo il dialogo tra le realtà e la loro connessione nonché amplificando l’appeal della proposta progettuale rivolta al pubblico nazionale. Il format basato su una visione “congiunta, inclusiva e collaborativa di tutte le iniziative del territorio”, in un dialogo orizzontale tra centro e periferia (tantissime sono ad ogni edizione le zone della città coinvolte), si pone inoltre l’obiettivo di incentivare la partecipazione di un pubblico di fruitori diversificato e sempre più ampio.
Un dialogo che inizia dalle istituzioni del territorio con l’opening event di BAW2023, l’inaugurazione a Museion della mostra HOPE, curata da Bart van der Heide e Leonie Radine in collaborazione con il musicista, teorico e scrittore DeForrest Brown, Jr. L’esposizione, che indaga possibili spazi di speranza tra realtà e finzione, rappresenta il terzo e ultimo capitolo del progetto di ricerca a lungo termine TECHNO UMANITIES, un’esaltazione delle scienze umane nel loro rapporto con i musei quali “luoghi attivi di costruzione del mondo”. Parte della progettualità legata alla mostra prosegue fuori dagli spazi museali, nella suggestiva sala Carroponte del NOI Techpark, partner del progetto, con METABOLICA (Moby Dick) di Thomas Feuerstein: nel grande quartiere dell’innovazione NOI (Nature of Innovation), che porta avanti ricerche nell’ambito dell’approvvigionamento energetico, nell’architettura sostenibile e nelle tecnologie idriche, l’artista presenta un’imponente installazione (visibile sino al 12 novembre) basata sul confronto tra arte e scienza, in particolar modo indagante le interazioni biologiche dei batteri.
Altra importante e consolidata partnership è con la Fondazione Antonio Dalle Nogare che propone I Have to Think About It, prima retrospettiva in un’istituzione italiana dell’artista argentino David Lamelas, curata da Andrea Viliani con Eva Brioschi, che occupa tutti i piani della Fondazione, sconfinando nelle sale dedicate alla collezione e attivando un particolare dialogo con le opere de* artist* anche in alcuni locali di servizio, come le scale e l’ascensore. Si tratta in realtà di un “secondo episodio” della mostra inaugurata a maggio 2023 e che si presenta, da settembre, con una nuova proposta allestitiva. A partire dal titolo al limite tra autoironico ed autoriflessivo, traducibile in “devo pensarci su”, Lamelas attua una revisione del format espositivo che si addice ad una retrospettiva, introducendo un personale punto di vista e considerandolo come processo in divenire in cui accogliere anche la variante della provvisorietà, quale ulteriore approfondimento dei concetti di spazio e tempo, ai quali ha dedicato la sua ricerca.
BAW 2023, che si è sviluppata dal 29 settembre all’8 ottobre, ha avuto come tema “play_ground” ovvero “parco giochi”, ma anche “campo, spazio per giocare”. Un invito al gioco, ma anche allo “scendere in campo” nella sua accezione più ampia, una modalità per “liberarsi” sovvertendo le regole e aprendosi all’interazione con l’altro. Un’esperienza condivisa in cui ciascuno porta qualcosa di sé e riceve molto di più di quanto ha portato.
Tra le celebrazioni che si sono avute durante BAW, mi fa piacere ricordare la celebrazione dei 20 anni di attività di Lungomare – nata a Bolzano come associazione culturale nel 2003 e diventata oggi cooperativa e una piattaforma di produzione culturale e di progettazione – realtà attiva nella realizzazione di interventi artistici e mostre in luoghi non convenzionali che ha dato vita, insieme all’installazione d’archivio Constellation 2003-2023, ad un intenso programma fatto di dibatti, performance (Marzia Migliora e Martino Gamper) e concerti nella propria sede. Completa il ricco programma la presentazione del volume AS IF – 16 Dialogues about Sheep, Black Holes, and Movement (Spector Books).
Ad ogni edizione poi, BAW varca i confini della città, con alcuni “sconfinamenti” come quello ad Appiano, nel suggestivo Castel Gandegg (Castello Ganda), per poter fruire di due eventi, curati da Eau&Gaz Residency: Dreams That Money Can Buy di Philip Wiegard e The Mole and the Garden di Kira Kessler.
A Philip Wiegard, la cui ricerca si basa sulla pratica collaborativa innestando interessanti riflessioni sul concetto di autorialità, è dedicato il secondo piano del Castello. Tra le opere che hanno attirato maggiormente la mia attenzione, la serie di carte da parati dipinte a mano alcune delle quali l’artista berlinese ha realizzato in Alto Adige presso il Castello Ganda, durante il laboratorio Kids’ Factory, con bambini/e di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, in qualità di assistenti dell’artista regolarmente retribuiti e, quindi, parte fondamentale nel processo di creazione dell’opera; e l’installazione video Dreams That Money Can Buy, in cui un cast di bambini attori interpretano la danza serpentina di Loïe Fuller, la cui colonna sonora è suonata al pianoforte dallo stesso Wiegard.
Kira Kessler – designer e artista specializzata nell’ambito tessile con all’attivo collaborazioni per importanti marchi quali Chanel, Christian Dior, Maison Martin Margiela, Louis Vuitton, Valentino o Vivienne Westwood – sviluppa la sua progettualità nella biblioteca del castello, indagando il tema della maternità e la simbiosi tra “creatore” e “creatura” attraverso raffinate opere tessili.
Ogni anno BAW decide di intraprendere un viaggio, oltrepassando i confini della città di Bolzano e dialogando con un evento o una progettualità artistica del territorio. Mentre lo scorso anno, lo “sconfinamento” era stato in Val Gardena con la Biennale Gherdëina, quest’anno il BAW ON TOUR ha raggiunto la Val Badia e lo SMACH. Val dl’Ert (Valle dell’Arte): un parco di sculture che si arricchisce delle opere acquisite nelle ultime edizioni della biennale SMACH, che si sviluppa in diverse località alpine delle Dolomiti badiote. Dopo il passaggio al Museum Ladin Ćiastel de Tor di San Martino e la visita alla Trienala Ladina 2023, dal titolo L’arte come appropriazione e invenzione del mondo, con le opere de* artist* vincitor* (Karin Ferrari, Veronika Moroder, Christian Niccoli, Christine Runggaldier , Valeria Stuflesser, Claus Vittur e Gustav Willeit), iniziamo il percorso che ci porterà a percorrere tre chilometri tra boschi e radure, accompagnati per il primo tratto dal sound dell’opera sonora interattiva di Lorenzo Bianchi Hoesch, dal titolo Open Land – Inforestàrsi. Tra le tante opere raggiunte, voglio spendere due parole su questa: Anelli di Crescita del Collettivo Lidriis (una delle 10 opere vincitrici di SMACH.2023), opera dal forte valore simbolico che ricollega l’atto reiterato del germogliare delle piante alla resilienza derivante dalla accettazione, assimilazione e al processo di adattamento, volto ad una nuova rinascita, di uno dei membri del collettivo, Giuseppe, diventato paraplegico a seguito di un incidente in montagna. Come la memoria conservata negli anelli di crescita degli alberi, anche la colonna vertebrale di Giuseppe riporta il segno del trauma che, nonostante tutto, viene considerato come elemento di rinascita.
Le progettualità poste in essere ogni anno dall’affiatato team di BAW raggiungono i luoghi più disparati della città, luoghi in cui l’interazione con un pubblico di passaggio o “non addetto” può essere attivatrice di nuove visioni e riflessioni e di nuove forme di partecipazione. Penso ad esempio, all’opera Pino di Maria Walcher a Palais Campofranco – uno dei cinque progetti vincitori della call BAW23 – la stessa location che ospitava, la scorsa edizione, l’opera ERO_E di Matteo Attruia. Pino, opera dedicata al più anziano lustrascarpe della Sicilia, è un dispositivo funzionale e sonoro, che richiama l’interazione del pubblico, ma nella sua stessa fisicità invita ad una riflessione sulla dinamiche lavorative e sui rapporti gerarchici ad esse connessi.
Penso anche all’opera The Decline of the Nation State and the End of the Rigts of Man di Margherita Moscardini – BAW23 Special Project realizzato con la collaborazione di Ar/Ge Kunst di Bolzano e la Gian Marco Casini Gallery di Livorno – collocata nell’atrio di ingresso del Parkhotel Laurin & Laurin Bar. Mentre è in corso, fino al 4 novembre, da Ar/Ge Kunst la sua personale da Ar/Ge Kunst, dal titolo And Remember that Holes Can Move – una ulteriore tappa del viaggio iniziato nel 2015 nel campo di Za’atari, il più grande campo di rifugiati siriani – l’opera scelta da BAW seduce per il forte impatto del neon rosso ma colpisce per l’impatto della scritta The decline of the Nation State and end of the rights of Man, originata dal titolo del nono capitolo di Le Origini del Totalitarismo (1951) di Hannah Arendt. Anche con questa opera l’artista prosegue la sua approfondita analisi di concetti quali il confine e l’appartenenza territoriale, considerati quali strumenti di limitazione delle possibilità di espressione dell’umanità.
Come non ricordare poi l’allestimento all’interno dell’azienda LAIMER Gmgh di Kiosk di /dzublate/ collective (Matilde Baldassari, Tino Bors, Claudia Gianella & Daniel Walcher) con la contaminazione artistica di uno showroom dedicato ai prodotti dell’azienda, innestando una riflessione tra bene in quanto oggetto o articolo di intrattenimento; oppure l’installazione di Masatoshi Noguchi da alma9, dal titolo Sanding memory – un altro BAW23 Winner – che, pienamente incarnante la tematica “play_ground”, propone un parco giochi costituito da una sabbiera e da alcuni elementi architettonici (torri, piramidi e labirinti) costruiti con la sabbia.
L’artista con questo lavoro crea lo scenario ideale per giocare, ispirandosi in particolar modo alla sand play therapy, processo terapeutico in cui attraverso il giocare con la sabbia e alcune figurine si può riportare alla luce esperienze infantili dimenticate o represse e ottenere risultati, in termini di risveglio del subconscio, che diversamente si avrebbero con altre tipologie di approccio.
Concludo la mia ricognizione intorno a BAW con una piccola ma preziosa mostra al Castel Hörtenberg, anch’esso piccolo scrigno di pace all’interno della città. Nella mostra Corpo di donna / All you can fuck, realizzata in collaborazione con la Crumb Gallery di Firenze, il corpo della donna è omaggiato con lo sguardo tutto al femminile di due donne: la fotografa Letizia Battaglia e l’artista Adriana Luperto.
Donne “tutte diversamente belle”, esaltate nelle loro grazia, femminilità e nella loro forza, immortalate nella loro essenza di donne dalla celebre fotografa palermitana. Come raccontava la Battaglia a proposito di questo ciclo dedicato al corpo della donna, «Voglio donare alle donne uno sguardo che non sia lo sguardo di un uomo ma lo sguardo di una donna che vede le altre donne per quello che sono. Che non le manipola. Che non le altera. Che non le fruga. Che non le influenza con le sue certezze su quello che dovrebbero essere».
Le donne che compaiono, invece, nei delicati acquerelli su carta di riso di Adriana Luperto, sono donne violate, costrette a prostituirsi, vittime di tratta. Nonostante la durezza del titolo All you can fuck – che si riferisce a realtà attive soprattutto a Berlino e in terra teutonica, in cui il celebre slogan del “tutto quel che puoi…” è trasposto oscenamente dall’ambito food a quello sessuale – le donne protagoniste dei lavori della Luperto sono colte nella loro ingenuità e freschezza, come se tutto l’orrore intorno a loro per un attimo si fosse fermato e loro potessero rinfrancarsi da tutto l’orrore e il vuoto che genera chi sfrutta un altro essere umano, privandolo della dignità.
Info: www.bolzanoartweeks.com