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MILANO | Galleria Milano

Intervista a NICOLA PELLEGRINI di Matteo Galbiati

Sulle orme della madre, l’indimenticata Carla Pellegrini che, dal 1965 ha diretto e reso celebre la Galleria Milano, il figlio Nicola Pellegrini ha preso il timone della storica galleria milanese recependone l’eredità culturale e proseguendo la storia. In questo difficile momento di chiusura forzata per tutti, non potendo seguire una programmazione consueta, ha pensato, con alcuni colleghi e collaboratori, di sviluppare un progetto che mantenesse in contatto gli artisti, la galleria e i suoi “utenti” e “frequentatori” e, magari, di raggiungerne altri di nuovi. Nel rispetto di #lartenonsiferma e di #iorestoacasa, il format Autoprogettazione vuole trasformare, quindi, chi è a casa nel creatore di un’opera d’arte seguendo le indicazioni fornite dagli artisti che, in questa occasione, demandano a terzi il completamento e la personalizzazione finale della loro opera di cui restano solo i “progettisti”.
Condividendo lo spirito e l’originalità dell’iniziativa, abbiamo raggiunto Nicola Pellegrini per approfondire con lui, in questa intervista, i contenuti della sua idea:

Era il 1974 quando, presso la Galleria Milano, Enzo Mari presentava la Proposta per un’autoprogettazione, inizia tutto da lì? Considerando anche che a marzo avreste dovuto aprire una importante mostra, significativo omaggio al grande maestro… Come nasce il progetto Autoprogettazione?
Avevamo in programma di aprire in marzo una ricostruzione della mostra Falce e martello: tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe con cui Enzo Mari nel 1973 inaugurò i locali dove la galleria Milano ancora risiede oggi.
Un remake “perfetto” perché grazie alla ricca documentazione trovata, e al fatto che la galleria non è cambiata negli anni, saremo in grado di allestire le opere nel medesimo punto in cui furono montate allora. Il risultato sarà una mostra in tutto e per tutto identica all’originale. Un progetto a cui abbiamo lavorato intensamente grazie all’aiuto di Lea Vergine e dell’Archivio Enzo Mari e a cui sarà abbinato anche un libro edito da Humbolt Books con testi di Bianca Trevisan e Riccardo Venturi. Credo che sarà una mostra importante perché pone l’attenzione sulla convergenza tra il Mari politico e il Mari artista e designer, senza cercare di imporre delle interpretazioni, ma ri-proponendo l’allestimento originale così come Mari lo aveva progettato per il nostro spazio. Questo permetterà una lettura diretta e senza filtri di un aspetto forse meno conosciuto del suo lavoro, ma cruciale per comprenderlo nella sua complessità. Importante anche perché ci permette di riflettere per comparazione diretta sul lustro che ci separa dagli anni in cui in Italia si aspirava alla lotta di classe. Cinquant’anni in cui le note del requiem per il comunismo sono state coperte dalla roboante marcia trionfale della globalizzazione capitalista. Quando io, Toni Merola e Bianca Trevisan abbiamo capito che avremmo dovuto rinviare l’apertura della mostra e ci siamo trovati improvvisamente confinati dentro a casa, lontani dalla galleria, è stato naturale ripartire da Mari e lo abbiamo fatto proprio prendendo spunto dalla mostra successiva che realizzò alla galleria Milano, Proposta per un’autoprogettazione, in cui Mari offriva dei disegni e delle istruzioni per auto-costruirsi indipendentemente i mobili di casa. Con questa proposta Mari fa, ancora una volta, una scelta politica, mettendo in discussione i meccanismi di produzione industriale su larga scala e offrendo un’alternativa semplice e pratica che stimola a sviluppare autonomamente la propria capacità di fare e trasformare.

Ugo La Pietra con Lucio La Pietra, La riappropriazione della città. I tuoi itinerari

Cosa vi ha spinto a volere questo meccanismo di connessione a distanza?
Abbiamo capito subito che il meccanismo di stimolo diretto sviluppato da Mari si adattasse perfettamente alla nuova situazione di isolamento forzato creata dalla pandemia. Molti dei progetti online, sviluppati dai vari operatori dell’arte nei primi giorni della crisi sanitaria, miravano a proporre delle opere per raccogliere fondi in aiuto di Ospedali o a riprodurre sugli schermi di casa le opere esistenti in musei o fondazioni. Noi ci siamo chiesti: cosa possiamo offrire in base alle nostre capacità, alla conoscenza derivata dal nostro lavoro di tutti i giorni, che si intreccia così profondamente con le nostre vite? Ci è così sembrato importante offrire un servizio o diciamo un’opportunità direttamente alle persone a casa in isolamento. Nell’arte esistevano già vari progetti di questo tipo che potevano essere usati come esempio per questa esigenza. Uno dei più riusciti e noti è sicuramente Do it di Hans Ulrich Obrist, che sta curando la grande retrospettiva di Enzo Mari alla Triennale di Milano e che dovrebbe aprire appena sarà finito il lockdown. Ma è dagli Anni ’60 che gli artisti Fluxus e concettuali hanno iniziato a usare le istruzioni nelle loro opere.
Nel 1963 Allan Kaprow le scrive a macchina per Tree, a happening che verrà realizzato il 19 maggio nella fattoria di George Segal nel New Jersey. Yoko Ono l’anno dopo pubblicherà Grapefruit, un libro che raccoglie una lunga serie di istruzioni o event scores per usare il termine che aveva coniato George Brecht, che chiunque può provare a realizzare. Ma già nel 1919 Marcel Duchamp, non potendo raggiungere da Buenos Aires la sorella Suzanne a Nancy per il matrimonio con il suo caro amico Jean Crotti, le mandò per posta in regalo delle istruzioni per realizzare uno dei suoi ready made più struggenti. Suzanne doveva appendere un trattato di geometria a un filo fuori dalla finestra e “lasciare che il vento potesse sfogliare il libro, scegliere i problemi, voltare le pagine e strapparle”. Il trattato avrebbe così potuto imparare quattro cose della vita, dichiarò Duchamp ripensando successivamente a quest’opera.
Molti anni dopo a Ciudad Suarez in Mexico, Lalo Cura realizza nuovamente questo ready made nel giardino di casa sua, seguendo alla lettera le istruzioni che Duchamp aveva scritto per la sorella. Lalo Cura, indimenticabile personaggio del romanzo 2666 di Roberto Bolaño, è un professore di filosofia di Barcellona che vive a Ciudad Juarez, con la figlia Rosa, in una sorta di esilio auto imposto. Il remake del ready made di Duchamp che auto-realizza appendendo il trattato di geometria a un filo per stendere in giardino, diventa il simulacro su cui proiettare le proprie ossessioni. Le potenzialità dello scambio tra un artista che regala le istruzioni per un’opera e chiunque di noi in isolamento a causa della pandemia, sono già evidenti in questo passaggio a distanza tra Duchamp e Bolaño.

Pierpaolo Lista, Io resto a casa, 2020

Come avete scelto gli artisti? Quali reazioni avete avuto?
Il progetto è nato in modo istintivo come reazione alla situazione che si era creata per l’emergenza sanitaria e abbiamo avuto pochissimo tempo per realizzarlo. Abbiamo chiesto ad artisti che già lavorano in questa direzione e che pensavamo si potessero trovare a loro agio in questa modalità. Per questo abbiamo avuto delle reazioni molto entusiaste e siamo andati online nel giro di una settimana. È una scelta variegata che include sia artisti riconosciuti internazionalmente che artisti esordienti o che non lavoravano più da qualche anno. Siamo molto soddisfatti per le tante adesioni e grati a tutti gli artisti che hanno partecipato.
Ovviamente avremmo voluto chiedere a molti altri, ma visto il poco tempo e le scarse risorse a disposizione, non è stato possibile.

C’è stato anche qualche no? Con quale motivazione?
Sono state di più le richieste di partecipazione di artisti che non avevamo invitato che rifiuti di invitati. Qualcuno ha declinato la proposta perché sentiva che la modalità del progetto era troppo distante dal suo modo di lavorare. Altri non se la sono sentita di pensare un lavoro in un momento così drammatico.

Come si sviluppa e quali sono i passaggi che portano alla creazione di “nuove opere”?
Si parte sempre da delle istruzioni che possono essere realizzate a casa, ma  ovviamente abbiamo ricevuto progetti che hanno caratteristiche differenti. Abbiamo chiesto agli artisti di pensare ad un lavoro che chiunque potesse auto prodursi autonomamente a casa propria durante questi giorni di isolamento con cose che tutti hanno a disposizione. Alcuni artisti hanno fornito delle indicazioni pratiche per realizzare manualmente un’opera materiale, come un collage, un assemblage, una scultura o un piccolo film o delle fotografie. Altri hanno pensato ad azioni che coinvolgono il corpo o gli oggetti domestici ri-contestualizzati come performance. Si tratta nella maggior parte dei casi di una trasformazione che ci permette di vedere le cose che ci circondano anche da un punto di vista diverso. Lo scarto è spesso minimo, ma può aiutarci ad immaginare l’inimmaginabile e darci degli strumenti per auto(ri)progettare la nostra esistenza. Il fatto che, per realizzare le opere debbano essere riciclate cose che tutti hanno disponibili, ha anche una valenza politica ed ecologica che si contrappone alla spettacolarità di molte opere presenti nelle grandi mostre e biennali di oggi che hanno spesso costi di produzione altissimi.

Enzo Umbaca, Folded football paper

Che ruolo hanno gli artisti e come si relazionano con i potenziali “sviluppatori”?
Si tratta di una relazione basata su un dono reciproco, tra l’artista, che regala le indicazioni, e chi vorrà impiegare il proprio tempo per realizzare l’opera, e alla fine, volendo, anche restituire la documentazione del lavoro fatto. Non esiste modo migliore per approfondire il lavoro di un artista che dedicargli il tempo e l’attenzione che implicano la realizzazione di un suo lavoro. Ci sono progetti che si possono realizzare in poco tempo e altri più impegnativi, ma il risultato è comunque il frutto di una partecipazione attiva di chi realizza l’opera. È sempre necessario appropriarsi in qualche modo di un’opera d’arte perché possa realmente risuonare dentro di noi. Con le opere auto-realizzate questo è automatico perché saranno un’ibridazione tra chi le ha ideate e chi le realizza.
Come ben descrive Bolaño, si genera una relazione molto intima con le opere.
E a volte possono nascere dei lavori che sono come quelle cover che risuonano in noi meglio del brano originale.
E poi è molto bella l’idea che ognuno ha la possibilità di crearsi una propria collezione con opere di artisti famosi, poco conosciuti o esordienti. Una collezione di esperienze, di oggetti e di immagini che rimodellano il nostro quotidiano e ci aiutano a immaginare possibilità impreviste. Opere autentiche (non si possono considerare dei falsi) ma al di fuori del mercato, perché non si possono né comprare né vendere. Mi sta molto piacendo realizzare con Ottonella e i bambini i lavori di altri durante queste giornate in casa e così vedo che stanno facendo in molti.

Concettualmente emerge anche un nuovo modo di intendere e pensare l’atto creativo essendo il fruitore “costretto” a diventare egli stesso il creatore?
Come raccontavo prima non credo si tratti di una modalità nuova, ma che ha origine un secolo fa. Quello che è interessante delle opere basate su proposte o istruzioni è che sono generative e tendono a moltiplicarsi e replicarsi in forme e modalità diverse. E per questo motivo si adattano bene alle dinamiche social, pur stimolando un attività manuale o performativa che si distanzia dall’esperienza totalizzante che abbiamo oggi del digitale

Cosa deve fare chi volesse aderire alla vostra iniziativa? Quali “strumenti” fornite?
Abbiamo semplicemente pubblicato sul sito autoprogettazzione.com tutti i progetti e aperto un account Facebook e Instagram (@autoprogettazione) su cui postiamo le immagini delle opere proposte dagli artisti e le loro istruzioni. Diamo anche spazio alle realizzazioni delle persone a casa, perché come dicevo queste sono parte dell’opera e del processo creativo. I social sono molto utili in questo momento perché permettono una larga diffusione e un coinvolgimento diretto da parte dei fruitori, che si stanno rivelando estremamente attivi. è interessante vedere come le stesse opere mutino a seconda di chi le realizza: nonostante siano corredate da istruzioni, sono in tutto e per tutto opere aperte.

Cosa ne sarà delle opere realizzate? Avete in mente un futuro progetto, magari una mostra che le raccolga, quando l’emergenza Covid-19 sarà finita?
È possibile, ma in realtà non abbiamo ancora deciso niente in questo senso. Anche un libro potrebbe raccogliere bene il progetto.

Monica Bonvicini, Legscutout #3, 2014, collage, cut out paper, pigment print on Hahnemühle Photo Rag, 61×90 cm

Quali riscontri avete avuto ad oggi?
Abbiamo già ricevuto i progetti di oltre ottanta artisti di diverse generazioni.

Ci sono state sorprese o aspetti inattesi che avete avuto modo di apprezzare?
Tutte le proposte sono diverse una dall’altra e ognuna è a suo modo sorprendente. Per esempio, Marianne Heier, artista norvegese che lavora con la performance, suggerisce di assumere una posizione statuaria, a chiasmo, che richiami quella della sesta cariatide del Partenone al British Museum di Londra (le altre sono ad Atene; la questione è notoriamente dibattuta all’insegna del #returntheelginmarbles). È un’operazione che implica una vestizione, una posa, e infine la fotografia che immortali il momento. In altre parole, una ritualità, che in un momento come questo può assumere risvolti potenti, per alcuni anche catartici. Un altro esempio è quello di Ugo La Pietra con suo figlio Lucio: loro hanno pensato la costruzione di mappe del desiderio, da disegnare su una pianta stradale della propria città. Quali sono gli itinerari preferenziali, i percorsi dell’affezione che durante il lock-down non possiamo più percorrere? È un esercizio, questo, che si ricollega alla ricerca di La Pietra degli anni Settanta sulla “Riappropriazione della città”, vicino alle sperimentazioni psicogeografiche. È interessante vedere poi come le mappe tornino nel lavoro di altri artisti, in declinazioni totalmente diverse: Luca Vitone traccia un percorso della memoria, dedicato al ricordo degli appartamenti dell’infanzia, con un risultato piuttosto proustiano; Riccardo Arena propone una mappatura “apotropaica, al fine di allontanare eventuali entità infestanti dall’habitat domestico”; c’è poi Joykix (Fabrizio Longo) che fa un diretto richiamo alla proposta dei La Pietra, prevedendo però anche “distorsioni spaziotemporali”.
Molta risposta sta avendo anche il lavoro di Monica Bonvicini, le cui istruzioni portano alla realizzazione di un collage di gambe, mani, braccia tratte dalle riviste: un processo divertente, che dietro alla sua ironia può anche sollevare riflessioni ulteriori sulla rappresentazione della donna che, ancora oggi, è prettamente caucasica. C’è chi indaga le relazioni di coppia e il loro complesso equilibrio in questo periodo di reclusione, come Patrick Tuttofuoco, o chi si focalizza nel rapporto con il proprio figlio, come Francesco Pedrini. Tante sono le declinazioni e tante le possibilità di sperimentazione, con un approccio assolutamente multimediale. È possibile anche provare a realizzare un film di animazione, grazie alle istruzioni generosamente concesse dal grande William Kentridge.

Autoprogettazione. Istruzioni d’artista per realizzare un’opera d’arte a casa propria
a cura di Toni Merola, Nicola Pellegrini, Bianca Trevisan
promosso e sostenuto da Galleria Milano
in collaborazione con Maria Chiara Salvanelli Press Office & Communication

Artisti che hanno aderito:
Alterazioni Video, Aurelio Andrighetto, Riccardo Arena, Louisa Babari, Fabrizio Basso, Dario Bellini, Alice Bonfanti, Monica Bonvicini, Renata Boero, Anna Valeria Borsari, Angelo Candiano, Annalisa Cattani, Andrea Caretto + Raffaella Spagna,  Letizia Carriello, Laura Castagno, Maurizio Cilli, Silvia Cini, Sarah Ciracì, Manuela Cirino, Gianluca Codeghini, Daniela Comani, Vincenzo Coronati, Ermanno Cristini, Paola Di Bello, Sara Enrico, Emilio Fantin, Pierluigi Fresia, Gianni Gangai, Eugenio Giliberti, Meri Gorni, Marianne Heier, William Kentridge, Andrea Kvas, Lucio e Ugo La Pietra, Alessio Larocchi, Salvatore Licitra, Deborah Ligorio, Pierpaolo Lista, Clara Luiselli, Coquelicot Mafille, Elio Marchesini, Eva Marisaldi con Enrico Serotti, Amedeo Martegani, Ferdinando Mazzitelli, Marzia Migliora, Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Albano Morandi, Margherita Morgantin, Giancarlo Norese, Giovanni Oberti, Antonella Ortelli + Luca Quartana, Adrian Paci, Francesco Pedrini, Chiara Pergola, Federico Petrella, Cesare Pietroiusti, Premiata Ditta, Anteo Radovan, Diego Randazzo, Sara Rossi + Matteo Martini, Luca Scarabelli, Lorenzo Scotto di Luzio, Berty Skuber, Carola Spadoni, Marco Strappato, Patrick Tabarelli, Patrick Tuttofuoco, Enzo Umbaca, Marco Vaglieri, Luisa Valentini, Vedovamazzei, Cesare Viel, Luca Vitone, Francesco Voltolina, Italo Zuffi

Info: autoprogettazione2020@gmail.com
www.autoprogettazione.com
Instagram: @autoprogettazione
Hashtag: #autoprogettazione #galleriamilano #iorestoacasa #laculturanonsiferma

Ufficio stampa
Maria Chiara Salvanelli Press Office & Communication
Maria Chiara Salvanelli
+39 333 4580190
mariachiara@salvanelli.it

Galleria Milano
info@galleriamilano.com
www.galleriamilano.com
Instagram: @galleria.milano

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