Intervista al collettivo auroraMeccanica di Susanna Sara Mandice
Appesa al soffitto pende una voliera. Vuota, metallica, statica. Investita da un fascio di luce proietta la propria ombra, scura e nitida, sul muro vicino. Le opere non si toccano, si sa, ma il fascino del proibito invita ad avvicinarsi e a spingere – piano – la gabbia. Per gioco, per vedere come dondola. E come per magia dalla gabbia disegnata sul muro, come idee platoniche, escono svolazzanti tanti uccellini d’ombra, finalmente liberi. Il gioco delle ombre cinesi è sovvertito: nella realtà non c’è nessun pennuto… gli uccellini esistono o sono proiezioni della fantasia? La voliera si può spingere, scuotere, fermare. Gli uccelli escono, caotici come ubriachi, solo quando “La gabbia” viene sollecitata dallo spettatore. “La gabbia” è soltanto uno dei lavori di auroraMeccanica, gruppo impegnato nella produzione di installazioni audiovisive. All’anagrafe Roberto Bella, Carlo Riccobono e Fabio Alvino, nati tra l’82 e l’88; negli ultimi due anni hanno esposto in gallerie, spazi istituzionali e indipendenti. Li abbiamo incontrati presso la galleria Weber & Weber di Torino, in occasione della mostra Svegliare le idee: un percorso originale, acuto, stimolante, portato avanti da tre giovanotti dall’apparente aria scanzonata che si rivelano decisamente consapevoli, preparati, ironici e anche un po’ filosofi.
Susanna Sara Mandice: Sul vostro sito vi presentate come uno “studio di produzione audiovisivi”. Vi immagino ricercatori dell’installazione interattiva, in uno scantinato pieno di monitor, computer, cavi elettrici, luci e suoni… Chi siete e come sviluppate il vostro lavoro? Chi scrive i testi e chi la partitura, ovvero chi fa cosa?
auroraMeccanica: Noi nasciamo – e continuiamo ad essere – come “studio di produzioni audiovisivi”, le videoinstallazioni interattive che portiamo nelle mostre e nei festival rientrano a tutti gli effetti in questa enorme categoria. Il nostro approccio al lavoro (artistico o commerciale che sia) non è però strutturato come un’azienda che produce audiovisivi, ma piuttosto come un laboratorio che ha fatto della sperimentazione e la commistione dei linguaggi – principalmente audio e video – il suo punto di forza. La progettazione e la produzione non segue un iter preciso e razionale ma si basa soprattutto sulla disponibilità delle forze, delle energie e delle sinergie messe a disposizione da ogni componente. Ognuno di noi ha delle competenze più o meno specifiche (o ha più o meno voglia di concentrarsi su un determinato settore) ma preferiamo considerare il risultato finale come una vera cooperazione fra tre teste pensanti e sei mani lavorative. Ah, non lavoriamo in uno scantinato ma siamo ugualmente circondati da monitor, cavi, luci, proiettori, martelli, chiodi e trapani…
Le vostre opere sono ludiche, divertenti, magiche; eppure necessitano di attenzione, riflessione, pensiero. Chiedete al visitatore di recuperare la meraviglia e di immaginare nuove possibilità, e allo stesso tempo di essere attento e attivo. Eppure non è facile convincere a superare il timore reverenziale verso l’opera d’arte – che normalmente segue la regola “guardare ma non toccare”. Dove risiede l’equilibrio tra divertimento inconsapevole e riflessione cosciente?
L’aspetto ludico esiste ed è importante nei nostri lavori ma dobbiamo sempre stare attenti affinché non prenda il sopravvento e sovrasti il processo cognitivo che vogliamo innescare nello spettatore. Quasi tutte le nostre opere hanno una piccola “drammaturgia fenomenologica”: si comincia con un coinvolgimento da parte dello spettatore attirato dal puro piacere estetico, dopo il primo impatto si arriva al “gioco” interattivo; con la prima interazione cerchiamo di affascinare e di colpire emotivamente l’utente, una volta superata la fase dello stupore iniziale, il fruitore si ferma all’osservazione degli altri (e dei loro modi di agire) e di solito in questo momento nasce il processo cognitivo. L’aspetto emotivo serve a coinvolgere maggiormente lo spettatore e a farlo partecipare attivamente alla costruzione di una nuova tipologia di fruizione dell’opera. Quando il pubblico interagisce con le videoinstallazioni, l’osservazione diretta dei suoi comportamenti è per noi di fondamentale importanza, ci spinge a riflessioni sull’utilizzo di questo linguaggio instabile e incontrollabile, portandoci spesso a rivelazioni e soluzioni a cui noi non avremmo potuto arrivare da soli. Il pubblico è il vero protagonista; senza il suo intervento non possiamo considerare complete le nostre opere. Lo spettatore non è chiamato a partecipare soltanto come attore – come dovrebbe essere d’obbligo in tutti i lavori interattivi e non solo – ma, nel momento stesso in cui interviene nella narrazione dell’opera (modificandone e rielaborandone i contenuti), diventa a tutti gli effetti un co-autore. Le opere si modificano e si modellano in base al comportamento dei diversi fruitori/autori: si viene a creare una sorta di piccolo corto-circuito-chiuso che tende ad allargarsi ogni qualvolta viene a contatto con un altro fruitore, con un portatore di nuove esperienze.
Nel tempo della “fuffa” mediatica, che richiede spettatori passivi e omologati, il titolo della vostra ultima mostra (Svegliare le idee) suona un po’ come lo slogan di una rivoluzione ideale. Come Kant, le nostre coscienze hanno bisogno di ridestarsi dal sonno dogmatico…
Dobbiamo confessare una cosa: ogni volta che bisogna trovare un nome o un titolo auroraMeccanica entra in crisi. Le lotte interne più dure sono avvenute proprio per la scelta dei titoli delle mostre o delle opere, non abbiamo ancora capito perché ma l’onomastica ci è avversa. Durante queste lunghe ricerche ci sforziamo sempre di trovare un buon compromesso tra chiarezza del messaggio e intento poetico; in questo caso ci è piaciuto giocare con una sorta di grido d’allarme: un imperativo che durante la mostra speriamo si trasformi in un interrogativo. Come posso fare per svegliare (o risvegliare) le mie idee? Come fare per cominciare ad agire? Come devo relazionarmi con le azioni degli altri?
Così la riflessione stessa diviene il tema della mostra. In lavori precedenti vi siete dedicati ad alcune questioni sociali (i tagli alla cultura, il lavoro, l’immigrazione). Al contrario, le opere in mostra oggi mi pare abbiano un taglio più universale che invita all’analisi, senza tuttavia indicare un tema preciso. Pensare, conoscere, sapere rappresentano la nuova urgenza sociale?
Nell’ideare questa mostra abbiamo preferito fare un piccolo passo indietro rispetto ai nostri precedenti lavori. Volutamente non abbiamo indicato un tema forte o un filo rosso ma abbiamo scelto di lasciare gli spettatori in uno spazio indefinito, interrogativo, uno spazio in cui si deve compiere (oltre ai gesti dell’interattività) uno sforzo cognitivo per cercare significati e relazioni. A un primo sguardo, la mostra può risultare meno incisiva rispetto al nostro recente percorso di ricerca, in realtà perché lasciamo ancora più spazio all’intervento diretto dello spettatore. Lo scopo della mostra è porre dei quesiti e farli rimbalzare nella testa del visitatore anche dopo la mostra, la partecipazione è soltanto un pretesto per far chiedere allo spettatore come sarebbero andate le cose se avesse reagito in maniera diversa o se non avesse agito proprio. Il nostro auspicio è lasciare sempre una traccia (anche piccola) di responsabilizzazione come conseguenza delle azioni compiute all’interno della mostra.
La mostra in breve:
auroraMeccanica. Svegliare le idee
Galleria Weber & Weber
Via San Tommaso 7, Torino
Info: +39 011 19500694
14 aprile – 21 maggio 2011