PISTOIA | GALLERIA ME VANNUCCI | 25 APRILE – 31 LUGLIO 2021
DI LIVIA SAVORELLI
Ci troviamo a Pistoia, alla Galleria Me Vannucci, uno spazio dalla forte connotazione industriale, in una zona che rievoca costantemente questa specificità – un luogo di confine fra territori ed epoche, come lo ha definito il curatore Pier Luigi Tazzi – che viene sapientemente rinnovato ed animato, ad ogni mostra ed ogni evento, dall’appassionata regia dei galleristi, un prezioso esempio di mestiere/vocazione che si riflette in progetti in cui mente e cuore seguono un binario parallelo, frutto di una forte condivisione di scelte e di pensiero con gli artisti, chiamati a confrontarsi con questo suggestivo spazio.
Ci addentriamo nell’analisi di Attraversò il campo di patate senza farsi alcun male, progetto colto e raffinato di Michelangelo Consani. Un’opera d’arte totale (composta in parte da opere concepite appositamente per l’occasione) – con molte citazioni al mondo cinematografico – che muta dialogando con la luce naturale che, nelle diverse ore della giornata, filtra dall’alto lucernaio, valorizzandone od occultandone la percezione generale.
Il titolo è esso stesso già opera. Come spiega il curatore Tazzi, in un testo concepito come efficace narrazione per stanze (di fatto in poesia, una stanza è una porzione di una grande composizione come un poema, cit. Wikipedia), il titolo «ha la brevità compressa di un haiku, senza averne la rigorosa struttura. È un enunciato sgombro di conseguenze, anche se ce ne saranno, e saranno riconoscibili per lo più di traverso». E ancora aggiunge «[..] È segno infine, che, traendo la propria origine da una intimità inconfessabile, aggancia una sorta di esistenza parallela e, a sua volta, nella propria incongruenza tende a riscattare quella della ‘realtà’ del vivere comune».
Nella sala principale si entra nella dimensione totalizzante di Una pura formalità (2020-2021), il cui titolo è ispirato all’omonimo film del 1994 di Giuseppe Tornatore: una coralità di opere, riunite sotto un unico nome, che spaziano dal disegno – entrando, a destra, una parete di 23 disegni, raffiguranti coccodrilli, che variano da semplici schizzi su carta da stampante a veri e propri disegni su cartoncini pregiati, realizzati a penna biro, grafite o seppia – alla scultura/installazione (una scultura in gesso e una distesa di patate che si espande per tutta la sala). L’atmosfera è surreale ed è amplificata tanto dalla musica in sottofondo – Singing in the rain cantata da Gene Kelly, che evoca tempi storici felici di rinnovata speranza per il futuro, ma come fare a non pensare al suo utilizzo da parte di Stanley Kubrick, nel 1971, in una delle scene più violente e turbanti del suo Arancia Meccanica? – quanto dalla sua interruzione quando subentra il sonoro del video La cicala, progetto di disperdere energia (2002-2020), il canto di una cicala – che pone fortemente in evidenza la vocazione ecologica di Consani, originata sin dagli Anni ’90, con una forte attenzione alla sostenibilità e alla decrescita, abbracciando le teorie di Ivan Illich, scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco – che sembra essere dedicato ad un’umanità (sparita o decaduta?), nel contesto di un paese nel sud del Peloponneso, dove le grandi cicale che cantano sulle pale dei fichi d’india sono gli unici abitanti rimasti.
Addentrandosi in quest’opera totale e multilivello – appena superato lo spaesamento percettivo, visivo e sonoro – si percepisce il filo della narrazione di Consani, tra micro e macrosmo, la cui presenza silente da spettatore è evidenziata proprio da quei disegni, esternazione intima del sé, che si pongono in dialogo con una scultura in gesso colorata di nero, ritraente un aitante giovane (una figurazione molto affine alla statuaria tipica dei totalitarismi del secolo scorso) che si erge in mezzo ad una distesa di patate, alcune vere, altre di marmo, rasoterra. Ma un elemento salta subito alla nostra attenzione, il busto è appoggiato su di un incudine e un martello, un cui frammento, rotto, è incastrato nella testa del giovane. Il volto, percorso da un filo di lana rosso, evoca afflati di un desiderio anarchico di riscossa. Perdita del centro, degrado della civiltà occidentale, annuncio di una catastrofe imminente? Tutte le significazioni e le loro relazioni, restano aperte.
Nel secondo spazio di cui si compone la galleria, che funge solitamente da ufficio, l’ispirazione è stata data questa volta da La migliore offerta, film sempre di Tornatore del 2013. Qui una serie di tuberi a grandezza naturale, alcuni già germogliati, altri fusi in bronzo o realizzati in marmo, si affiancano a Variazione da fermacarte (2005) un fermacarte di ceramica smaltata a platino, che ha il compito di preservare – trattenendole con il suo peso – le pagine di storie di vita vissuta.
Nella successiva stanza, ci accoglie Così lontano così vicino, dal film di Wim Wenders del 1993: un angelo in gesso, consumato dal tempo, posto davanti ad una colonna di legno. Un cambio della prospettiva di visione di questa figura classica, solitamente goduta dal basso verso l’alto, sembra farle perdere quel ruolo di messaggero (che a me fa pensare ad una perdita della spiritualità) ammantandola – nello sguardo mestamente rivolto al pavimento in segno remissivo – di una tragica umanità.
La disseminazione dei colorati tuberi, le cui cromie sono quelle dello spettro solare già utilizzate da Consani in altre occasioni e destinate a decomporsi con l’avanzare del tempo, prosegue anche fuori dall’ingresso principale della galleria creando un ambiente che si intitola Via Pier Luigi Ighina, Milano 1908 – Imola 2004, scienziato – qui il rimando è allo scienziato Ighina, uno dei personaggi eroi di Consani – e come ci ricorda Tazzi «i colori con cui sono state dipinte le patate sono quelli delle macchine di Ighina che facevano piovere e sedavano i terremoti».
Attraversò il campo di patate senza farsi alcun male si chiude nel cortile interno con 2046 (dall’omonimo film del regista Wong Kar-wai) opera composta dalle patate colorate collocate sui muri e sui tetti e da due sculture in ceramica, dalla forma di zucca, che sono collocate in uno spazio adiacente la galleria che ospita un piccolo laboratorio di ceramica.
Dopo la pausa estiva, nel mese di settembre, la Galleria Me Vannucci riparte con la programmazione autunnale, che prevede una personale di Gianni Ruffi e un nuovo progetto di Giovanni Termini, artista della galleria, per Palazzo Fabroni a Pistoia.
MICHELANGELO CONSANI. Attraversò il campo di patate senza farsi alcun male
a cura di Pier Luigi Tazzi
25 aprile – 31 luglio 2021
GALLERIA ME VANNUCCI
Via Gorizia 122, Pistoia
Info: info@vannucciartecontemporanea.com
www.vannucciartecontemporanea.com