ROVERETO (TN) | MART
Intervista a NERO/Alessandro Neretti e STEFANO NON di Irene Biolchini
Ho incontrato Nero/Alessandro Neretti molti anni fa, siamo accumunati dall’origine faentina e da quell’inquietudine che ci ha reso girovaghi per molti anni. La sua ricerca si è mossa da sempre nel segno di una libertà che non rifiuta di confrontarsi con la tradizione, nel senso meno vetusto del termine. In questi anni di vita milanese ho collaborato più volte con Stefano Non di Spaziogamma che con Nero condivide molti punti di ricerca. È nata così l’idea di una chiacchiera a tre per esaminare il lavoro GOLFO MISTICO recentemente presentato al Mart di Rovereto e curato da Denis Isaia e Gabriele Lorenzoni.
Stefano partirei dalle tue riflessioni per iniziare il confronto…
Stefano Non: Grazie Irene, partirei dalla apparente semplicità del titolo del tuo lavoro, mutuata dalla definizione del posto occupato dai musicisti nei teatri. Uso apparente perché la poetica dei termini provoca nella mia mente una esplosione semantica: il golfo, luogo definito dello spazio riparato dalla brutalità di Oceano, risultato del lavoro di forze ctoniche silenziosamente attive per millenni, al fine di erodere ed accumulare; mentre la Mistica è per sua definizione trascendenza delle forme del tempo e dello spazio: l’universo immobile in cui nulla è esplicito. Entrambe le parole però convergono verso una condizione esistenziale, ed è qui il punto su cui mi preme sollecitare Nero, ovvero la sensibilità artistica di percepire la sempre maggiore inattingibilità dell’esperienza ipermediata, e il ricorso alle metafore del teatro tragico, alla Nekyia sotto forma plastica. Credo in parte per restituire questa forza dissolutrice al mondo stesso che l’ha generata ed in parte per contrastarla psichicamente. È un concetto su cui sto lavorando ultimamente, usato magistralmente da Thomas Pynchon nel suo ‘Arcobaleno della Gravità’. Potrei sintetizzarlo in questo assioma: “Third millennium art needs to be weird”, Nero ti ci ritrovi?
NERO: Bomba! A dire il vero non so se “L’arte del terzo millennio deve essere strana”, ma di sicuro il nostro sistema-pianeta ha in programma, per tutti noi, qualcosa di speciale che penso non sarà del tutto gradito.
Certo è che sulla stranezza o sulla singolare visione del mondo e dei suoi sistemi ho edificato la mia gioventù (quello strano, non conforme) e sto edificando al momento la mia esistenza (quello strano, lontano del sistema).
Che poi la vera co-scienza è capire che nel sistema in un modo o nell’altro ti ci ficcano, anche solo quando cerchi di capire chi deve essere il tuo fornitore per un servizio essenziale.
Si ritiene che la tecnologia, negli ultimi anni, abbia alleggerito alcuni carichi sull’essere umano, ma in realtà ha solamente spostato il peso da un’altra parte. La recente malattia ha fatto il resto. Anche per questo motivo, sempre più, trovo pareri simili tra collezionisti e fruitori d’arte che esplicitano la loro voglia di vivere l’arte, non solo di vederla su rarefatti device, ma anche di esplorare i luoghi dove viene concepita, di conoscere le madri e i padri che la generano, curiosi di affrontare in parte il percorso e conoscere le tematiche e le scelte applicate, capire da dove si crea l’opera, in quel tortuoso percorso che precede la consegna nel mondo.
GOLFO MISTICO è per me una titanica sfida, una grande installazione site-specific di 40 metri, multi-materiale, sonora, luminosa… un disastro incastonato nell’architettura di Mario Botta sempre disponibile al pubblico. Immaginarla e produrla ha richiesto misticismo, vederla terminata è stato per me l’approdo nel golfo, un attimo di calma.
Stefano, con Spaziogamma provi a ribaltare certi stereotipi e vulgate del contemporaneo. Mi sembra che il lavoro di Nero si possa inserire appieno in questo tuo percorso.
S.N.: Stereotipo è la parola più efficace, gli occhi cavati del David gli si contrappongono. Sono un particolare essenziale nell’opera, avanzerei da lì per facilitare una serie di connessioni ad un immaginario condiviso fra noi. Paolo Fabbri, sapiente semiologo bolognese era solito definire l’Italia come un paese dove non si manifestano rotture radicali, per non parlare di rivoluzioni. Per avvalorare la sua tesi si appellava alla leggenda fondativa di Roma, costruita intorno al fratricidio invece che al parricidio, come a dire che qui non si rompono mai i rapporti di potere verticali. Nella disciplina del contemporaneo mi sembra una verità conclamata: le figure e i movimenti di forte cambiamento hanno avuto e hanno ancora bisogno di una legittimazione estera, di critica e mercato, o di una rivitalizzazione postuma per guadagnare la storicizzazione. Tu invece uccidi il Padre, sfilandogli il suo mito tecnico-fondativo, l’occhio prospettico, e fai sfoggio del suo corpo dopo la battaglia all’ingresso del Museo. Nel rumore bianco delle ipotetiche prese di posizione, di denuncia, di svolta e cambiamento nel “sistema” arte italiano mi sembra il più sincero percorso di liberazione per un artista: l’eloquenza della propria opera, andare alla radice dell’oggetto dell’arte con una operazione di sottrazione positiva, sempre per rifarci alla coincidenza di opposti.
N.: Agli inizi del 2020, in clausura forzata, impegnai il mio e l’altrui tempo in una serie di telefonate atte a costruire una ampia visione del sistema italiano, non solo artistico ovviamente. Feci ciò per ricevere input, visioni, sentimenti, in un momento in cui non si poteva fare altro. Quindi, voci e racconti lontani si mescolarono in una folta trama di considerazioni. Una delle più esaustive relazionava l’italiano come una figura pacifica, cresciuta nel bello, non rivoluzionaria; figura assai lontana dalla determinazione che aveva visto i francesi far bottino di teste alla fine del 1700. Una figura accomodante, che all’estremo delle condizioni economiche e di governo, si sarebbe limitata a delinquere, applicando l’arte della sottrazione del bene altrui.
Ho passato gli ultimi venti anni a professare il contemporaneo utilizzando il passato, come esempio, come citazione, plaudendo i maestri, per trasformare subito dopo questo agile battito di mani in schiaffi in faccia.
Stai Uniti, Corea del Sud, Cina, Paesi Bassi, Giappone, Austria, Inghilterra, Polonia, Turchia… lavorare all’estero non basta a legittimare il lavoro. Il sistema in cui ci viene chiesto di operare ha regole ferree e regole che vanno interpretate, sta a noi scriverne di nuove e comunicare, quanto più possibile, che quello che ci viene imposto non ci aggrada.
Quindi, quando approdiamo in spazi di sistema, è doveroso esplodere, detonare, deflagrare, trasformare tutto in dibattito, in tensione, in vita. È doveroso per mostrarsi fragili quali siamo, il nemico si avvicina sempre in quel momento…
Vita-arte o eternità? O forse le due cose sono legate? Stefano da anni lavori sull’eternità dell’arte che associ spesso a soluzioni precarie, che ricordano la mobilità del cantiere. Come leggi quindi il Mito su cui lavora Nero?
S.N.: Nella rielaborazione per metafore dei fenomeni. Ancora un rapporto tra linguaggi. La statua cieca del David si situa all’interno di una relazione dinamica e ambigua con l’architettura e l’idea di città. Mi stimola, non sopporto la fissità della citazione architettonica nelle arti visive. Ponteggio alla base, putrelle a sostegno di una pavimentazione in pannelli per casse-formi. Un traliccio all’americana che verticalizza i volumi su cui è posizionato un faro luminoso che va a sceneggiare interventi site-specific nelle aperture del matroneo, rendendoli accadimenti filmici per un istante effimero. Uso il termine ambiguo perché percepisco che non sia la città in sé a manifestarsi, ma il momento creativo e distruttivo alla sua base. Opera viva e organicamente macchinica, fascinazione del decadimento e del rivelarsi delle strutture in grado di edificare una civiltà. Le relazioni con il mondo Cyberpunk mi sembrano piene e sostanziate, in particolare mi sovviene la scena di Blade Runner in cui Roy Batty ascende dallo scuro al chiaro del palazzo Tyrell per incontrare il Padre Creatore, chiedergli più vita e togliergliela non senza averlo prima accecato. Ritorno a questa assoluta urgenza artistica di aggiornare i Miti al tempo del pieno dispiegamento della Tecnica, di cui il movimento Cyberpunk è il più grande precursore, Nero che ne pensi?
N.: Cyberpunk! Grazie Stefano, è forse da metà degli anni Novanta che non mi concentravo in maniera lucida e precisa su questo termine; da quando il gioco di ruolo ideato da Mike Pondsmith cercò di soppiantare il leggendario Dungeons & Dragons. (Mamma mia che NERD-itudine inaudita in così poche righe).
Nella mia adolescenza non immaginavo un futuro, non mi recava alcun dubbio o quesito, il mio compito era lo svago, non avevo pensieri se non le fantasie di chi accompagnava le proprie giornate sfogliando Image e Marvel Comics nella ridente periferia romagnola.
Invece adesso è tutto diverso e penso che il Cyberpunk, che tu con giustezza citi, sia proprio qui, alla soglia della nostra civiltà e che, in qualche modo, sia già stato sdoganato. L’umanità sembra persa in un limbo di fittizio confort e database.
In questo caso la stratificazione dei materiali che parte dall’acqua della fontana, al centro della piazza del Mart, e sale verso l’alto della cupola in acciaio e vetro (dall’alto ricorda una visione di Katsuhiro Ōtomo) è una evoluzione di materia che non poteva che terminare con un comparto tecnologico rilevante, un faro nella notte, tra le montagne, lo straniamento, il distacco con la realtà, la finzione, l’oblio.
Il lavoro svolto in questi anni, principalmente con il materiale ceramico, in questa occasione con la mia prima scultura in bronzo, è proprio quello da te interpretato. Un’operazione elementare e costante, la distruzione del mito, la demolizione del simbolo. Modus che replico fedelmente nella vita reale (ed Irene lo sa bene) per provare a sgretolare un sistema piramidale che si protrae da secoli, oggi più che mai aspro, una battaglia impari, dal basso, con solo fatica e pochi riconoscimenti.
Una sfida che è sempre in cerca di compari e non di comparse.
Stefano Non (Tortona, 1984) è artista visuale, fondatore e direttore di Spazio Gamma. Vive e lavora tra Milano e Colonia. La sua ricerca coniuga una continua riflessione sull’esistenza e le sue frontiere con l’utilizzo di media, materiali e ambienti sperimentali. La reciprocità fra saperi e forme sono il cardine fluido della sua poetica, resa plastica attraverso una crasi di situazioni e idee scelte attingendo ad un immaginario illimitato.
Nero/Alessandro Neretti (Faenza, 1980) Artista visivo, ricercatore, critico osservatore della condizione contemporanea, conduce una personale indagine espressiva tesa a esplorare con occhio disincantato e impudente dinamiche e processi socio-politici ed economici, concentrando particolare attenzione sulla sfera della realizzazione individuale e collettiva, del desiderio, del corpo, del simbolo. Estende un costante lavoro di auto-fiction alla ricerca ambientale, che si rivolge allo spazio del qui e dell’ora, comprendendo valori architettonici, culturali e naturali. L’obiettivo finale è la provocazione, la resistenza, l’alternativa al collasso storico e culturale. Alcuni dei suoi progetti personali sono stati ospitati da: Mart – Museo di arte moderna e contemporanea – Rovereto, CASABELLA laboratorio – Milano, Museum Beelden aan Zee – L’Aia/Paesi Bassi, MAR – Museo d’Arte Della Città – Ravenna, PAC/Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano. Ha partecipato a mostre collettive, residenze d’artista e workshop in spazi come: Gyeonggi Ceramic Museum – Gwangju/Repubblica di Corea; Cinema Eden – Vallouris/Francia; Airbnb HQ – San Francisco/Stati Uniti d’America; Spaziu Kreattiv and Faculty of Media Knowledge and Science – Malta/Malta; International EgeArt Days – Izmir/Turchia; FLICAM – Fuping/Cina, World Ceramic Biennale International Workshop, Icheon/Repubblica di Corea; MAC/Museo d’Arte Contemporanea – Lissone; Museo Civico – Bassano; Andersen Museum – Nami Island/Repubblica di Corea; Padiglione Spagna – Venezia; Aubin Gallery – Londra/Regno Unito; Kunstmuseum – Bornholms/Danimarca; Fondazione Benetton Studi e Ricerche – Treviso; F.R.A.C./Fondo Regionale d’Arte Contemporanea – Baronissi; Basilica Palladiana – Vicenza; Zichy Palace – Lodz/Polonia; Hagi Uragami Museum – Gifu/Giappone. Nel 2019 vince il Primo Premio al 26° Concorso di Ceramica Contemporanea, Museo di Grottaglie; nel 2013 vince il Primo Premio al 58° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea – sezione under 40, Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza; nel 2009 é il vincitore della sezione scultura al R.A.M. 08/09, Ravenna; nel 2008 vince il Bronze Award all’8° International Ceramics Competition di Mino, Museum of Modern Ceramic Art di Gifu/Giappone.
GOLFO MISTICO. Nero/ Alessandro Neretti
a cura di Denis Isaia e Gabriele Lorenzoni
MART
Corso Bettini 43, Rovereto (TN)
Info: www.mart.tn.it