INTERVISTA DI MATTEO GALBIATI
Con Astratta UNO, recentemente inaugurata presso la Fondazione Zappettini di Chiavari, si è aperto un nuovo ciclo di mostre che percorreranno, coerentemente con le proposte e la storia della Fondazione, un ampio percorso di lettura delle ricerche di quegli artisti, di generazioni differenti, da sempre rivolti ad una poetica e un linguaggio in cui la potente voce evocativa dell’astrazione, analitica e minimale, si pone come espressione inequivocabile dello spirito individuale di ciascuno di loro pur nella possibilità di un dialogo e confronto reciproci. In quest’occasione incontriamo Riccardo Zelatore che da sempre si contraddistingue per un impegno fondato su un coerente e puntuale lavoro critico nel merito profondo di questi aspetti, linguaggi ed autori del panorama contemporaneo e che, ormai da anni collaboratore della Fondazione, da poco ne è stato nominato anche direttore artistico.
Matteo Galbiati: Astratta UNO apre un ciclo di quattro mostre che intendono sondare gli aspetti di una pittura riflessiva e introspettiva, in cui la fase meditativa rimanda all’essenza dell’atto artistico. Quali sono i contenuti di questa prima mostra?
Riccardo Zelatore: Con Astratta UNO, prima collettiva di questa serie, le sale della sede di Chiavari ospitano le opere di sei artisti (Sandro De Alexandris, Roberto Floreani, Marco Grimaldi, Eduard Habicher, Paolo Minoli, Gianfranco Pardi) appartenenti a tre differenti generazioni che ci richiamano, nel reciproco dialogo, a riflessioni sulla fattualità dell’opera, sulla materia che si fa forma attraverso la mediazione dell’artista e la concretezza anche fisica dell’opera stessa, la sua capacità di durare oltre l’intuizione originaria.
Come hai scelto gli artisti? Come si articola il dialogo tra le loro opere?
Trasversalità generazionale, rigore formale, scrupolo filologico, esegesi partecipata sono gli assi portanti della nostra ricerca. Mi preme inoltre rilevare come la personale necessità di uno scambio culturale stretto con ogni artista vivente coinvolto nei progetti espositivi sia alla base della nostra attività e delle nostre scelte. La mostra diventa la rappresentazione di una linearità contrastata, in cui le varie opere, anche quando raccolte in piccoli spazi omogenei, non vogliono apparire come punti focali della creatività, ma una propagazione armonica ed equilibrata, quando non poetica e generazionale, che compete con la temporalità e la cessata attitudine alla lenta metabolizzazione dell’opera d’arte.
Non c’è solo pittura, è presente anche la scultura. Quali rapporti si instaurano tra questi due linguaggi? Quali sono le coordinate di analisi che hai cercato?
Pittura e scultura a dialogo sono in questo caso l’esempio di come l’astrattismo, da anni considerato al tramonto, mantenga la propria vigoria, e indicano con chiarezza nuove evoluzioni, comunque rispondenti alla vita del nostro tempo. Non ci sono tensioni polemiche verso il panorama contemporaneo, ma un richiamo all’arte nella sua essenza, alla sua capacità di tenere nel tempo oltre il continuo rinnovarsi dell’atto artistico e il cambiamento della percezione nei confronti della realtà che ci circonda. L’opera è intesa qui come processo più che come prodotto, a sottolinearne coerenza e organicità, rigore formale e forza di rappresentazione, dove la tecnica risulta sia capacità di mediazione sia condizione di sopravvivenza.
Cosa proporrai negli altri tre appuntamenti? Ci fai qualche anticipazione?
Il format delle prossime esposizioni per la sede di Chiavari è definito da questa prima occasione: ancora sei artisti per evento appartenenti a tre diverse generazioni, la pittura a dialogo con la scultura, aniconicità. I nomi sono in fase di definizione, a brevissimo parte la comunicazione per Astratta DUE. Permettimi di lasciare un po’ di suspense…
Questa ricerca e visione dell’arte – che condivido e sostengo – sembra essere in controtendenza rispetto a certe “situazioni” del panorama contemporaneo…
“Astratta” vuole offrire una piattaforma sulla quale poter presentare l’incontro di idee artistiche anche geneticamente differenti, non vincolate alla commerciabilità. Non vuole essere una vetrina votata alla conferma quanto una costante interrogazione sulle possibilità dell’atto creativo, all’analisi della sua identità, al gioco dialettico dell’esperienza e del sapere.
Quali sono i malesseri del sistema dell’arte oggi, in cui pare – anche da certi “addetti ai lavori” – non si riesca più a comprendere quali siano ricerche di qualità e tutto sembra andar bene ed essere valido purché faccia mercato? Dove sta la serietà, la profondità, l’impegno di tutte le parti coinvolte?
Tutti noi sappiamo che il commercio nell’ultimo ventennio si è definitivamente aperto alla globalizzazione.
Ciò ha causato un riordino generale, ha contribuito a creare nuovi valori e ha comportato distrazioni e facili dimenticanze. Purtroppo l’equazione prezzo=valore non ha sovente coinciso con l’affermarsi della qualità dell’opera e la quantità prevale sulla selettività. Sono criteri da grande distribuzione che implicano dinamiche di proposizione e acquisizione forse troppo isteriche per il prodotto artistico a scapito dell’affidabilità temporale. Fortunatamente esistono nel network globale soggetti promotori che prediligono un approccio diverso e un segmento di pubblico, pur ridotto, che apprezza ancora il tempo lento della percezione.
Sei stato recentemente nominato direttore della Fondazione Zappettini, quali sono i tuoi impegni e i tuoi programmi?
Se un compito vuole assumere la Fondazione, e questo progetto ne è una prima traccia, è quello di voler sottolineare la vitalità e responsabilità creativa degli artisti contemporanei per portare un intervento qualificante sia sul piano della testimonianza culturale, sia su quello di una diretta fruizione, senza trascurare la verifica di nuovi territori di ricerca.
La Fondazione ha sempre proposto mostre di grande significato – mostre di ricerca – che hanno avuto come protagonisti grandi artisti che si possono definire ormai storici, dei Maestri. Intendi porre l’attenzione, pur nel rispetto della coerenza che contraddistingue sempre il tuo lavoro, anche sui giovani? Pensi di guardare anche alla ricerca della nuovissima generazione di artisti?
Giovani e giovanissimi ci danno la misura della ricerca attuale. Sarebbe poco sensato non tenere in considerazione i loro esiti. La Fondazione Zappettini ha per statuto e per volontà di tutto lo staff direttivo l’ambizione di supportare le nuove ricerche. Non dimentichiamo che in passato mostre come Oltre il monocromo, Nuova Generazione Astratta, Sincretiche Astrazioni, Aniconica – Nuove presenze nella pittura e Continua la pittura hanno indagato il lavoro anche delle generazioni più giovani.
Quale periodicità avranno le mostre? Ci sveli il tuo programma oltre ad Astratta?
Il programma della Fondazione è articolato e differenziato su due sedi espositive. Per Chiavari si è pensato a due mostre annuali, il ciclo Astratta ne è riferimento. L’intento è di poter disporre di intervalli sufficienti a cogliere opportunità esterne, considerare progetti estemporanei e affiancare l’attività espositiva con iniziative a carattere congressuale o di studio. Per Milano il calendario annuale prevede quattro mostre. A fine settembre inauguriamo la sede di via Nerino con una personale di Antonio Calderara, accompagnata sul fronte critico da Claudio Cerritelli. Teniamo molto alla riconferma della nostra presenza in una città come Milano che offre una grande attenzione a quanto succede nel mondo e con il mondo si muove di pari passo. Stiamo già lavorando al secondo progetto espositivo previsto per fine anno. Abbiamo poi in piano alcune importanti collaborazioni con istituzioni europee e musei italiani. La missione extra moenia della Fondazione è di pari importanza rispetto al programma espositivo interno e l’auspicio è di riuscire a incrementare il fronte degli scambi e delle sinergie. Uno dei nostri obiettivi è costituire il maggiore centro di studi sulle arti visive degli anni ’70, con particolare attenzione alla Pittura Analitica, e la collezione permanente della Fondazione è certamente punto di riferimento internazionale di questo settore.
Infine è iniziato il lavoro di catalogazione delle opere di Gianfranco Zappettini. L’attività è in linea con gli scopi statutari della Fondazione per assicurare la conservazione, la tutela e la valorizzazione dell’opera del Maestro.
La mostra in breve:
Astratta Uno
a cura di Riccardo Zelatore
Fondazione Zappettini
Corso Buenos Aires 22, Chiavari (GE)
www.fondazionezappettini.org
14 maggio – 22 luglio 2011
In alto:
Da sinistra – Paolo Minoli, “Delle arti e delle stelle. Come corpi celesti che avvengono molto tempo prima di apparire. Tempo A e tempo B su campo blu caldo e blu freddo”, 1988, acrilico su tela, 2 x cm 120×80; Paolo Minoli, “Giugno 2004”, 2004, acrilico su tavola, 2 x cm 60×30
In centro:
Da sinistra – Marco Grimaldi, “Habitat”, 2008, olio su tela, cm 140×200; Gianfranco Pardi, “Alt”, 2010, acrilici su tela, cm 80×60; Gianfranco Pardi, “Alt”, 2010, acrilici su tela, cm 80×60
In basso:
Da sinistra – Eduard Habicher, “Re-spira”, 2008, acciaio inox, legno combusto, cm 80x115x40; Roberto Floreani, “Alchemico di Sant’Andrea”, 2011, tecnica mista su tela, cm 110×150