REGGIO EMILIA | PALAZZO DA MOSTO | 12 NOVEMBRE 2021 – 16 GENNAIO 2022
Intervista a MARINA DACCI di Chiara Serri
Orizzonti del corpo è un progetto che pone il corpo come mètron, come misura di tutte le cose. Attraverso l’unione di opere d’arte visiva, installazioni danzate e realtà virtuale, ci porta a riflettere su tematiche identitarie, percezione del sé e spazio vitale. Nata dalla collaborazione tra Fondazione Palazzo Magnani e Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto, l’iniziativa si configura come una mostra d’arte contemporanea, sviluppata all’interno delle sale di Palazzo Da Mosto a Reggio Emilia con opere di Leonardo Anker Vandal, Bianco-Valente, Fabrizio Cotognini, Antonio Fiorentino, Silvia Giambrone, Gianluca Malgeri, Matteo Montani, Mustafa Sabbagh, Vincenzo Schillaci, Namsal Siedlecki, Sissi e Giovanni Termini, ma anche come un percorso esperienziale ed immersivo, che dalle sculture e dai dipinti muove verso le MicroDanze, ideate da cinque coreografi internazionali, fruibili dal vivo in alcune specifiche date oppure attraverso la tecnologia VR, che come spiega Gigi Cristoforetti, direttore generale della Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto, consente al mondo della danza di «aprirsi a spazi, pubblici, modelli di fruizione e processi creativi completamente nuovi». La parola a Marina Dacci, curatrice della mostra e membro del comitato scientifico della Fondazione Palazzo Magnani.
Come siete arrivati alla definizione di Orizzonti del corpo e come si è sviluppato il progetto attraverso i differenti linguaggi?
In realtà i presupposti della mostra e il processo per portarla alla luce sono inconsueti e particolarmente significativi. Le MicroDanze hanno preso vita durante il lockdown aprendo una riflessione interessante sulla compressione di spazio vitale e sulla dilatazione del tempo percepito. Le MicroDanze sono performance danzate, realizzate in spazi ridotti e con uno, due o tre danzatori in scena. La Fondazione Palazzo Magnani ne ha sostenuto la produzione, interessata anche all’idea di analizzare come la virtualità, attraverso la tecnologia VR, potesse influenzare le modalità di fruizione dello spettatore nell’ambito del linguaggio coreutico, aprendo una riflessione sul concetto di prossemica. Come membro del comitato scientifico di Palazzo Magnani ho avuto l’incarico di aprire un ulteriore dialogo: quello con l’arte contemporanea, creando un percorso espositivo che si interfacciasse con la danza, ma con una pre-condizione, ovvero la pari dignità dei due percorsi. Dunque io sono arrivata dopo, con un intervento che si potrebbe anche definire atipico. La danza, infatti, quando esce dagli spazi teatrali e si trova a operare in spazi museali con una precisa identità, spesso diventa una variabile “dipendente”, se così si può dire. Qui è accaduto il contrario.
La mostra comprende tredici artisti e le loro opere – con le relative esigenze di fruizione ed illuminazione – ma anche cinque coreografi, i danzatori e i tecnici che hanno garantito la buona riuscita delle MicroDanze e l’accesso alla realtà virtuale. Come avete trovato un giusto equilibrio? Qual è il processo che ha portato all’installazione finale?
L’obiettivo in questo progetto era per me duplice: presentare una mostra coerente, che potesse in un certo senso sostenersi e vivere autonomamente, e al contempo che potesse aprirsi a uno scambio paritetico con la danza, potenziando l’esperienza del visitatore. Prima di invitare gli artisti, ho visto le MicroDanze, sia dal vivo sia in registrazione, e ho sperimentato la tecnologia VR presso la sede di Aterballetto. Il passo successivo è stato quello di individuare artisti che focalizzassero la ricerca con significativi punti di convergenza con i temi sottesi alle performance danzate.
Gli artisti, tutti italiani o che vivono da tempo nel nostro paese, sono stati invitati a riconoscersi in questo potenziale dialogo in relazione a specifiche MicroDanze, selezionate per il progetto di Reggio Emilia. Con loro si sono concordate, man mano, le opere: alcune erano già state realizzate, in altri casi gli artisti si sono resi disponibili a progettarne di nuove, come è accaduto per Giovanni Termini, Fabrizio Cotognini, Mustafa Sabbagh, Gianluca Malgeri, Vincenzo Schillaci. C’è stata molta generosità e partecipazione da parte loro. Il passo successivo è stato fare i conti con gli spazi espositivi e con le tecnologie e i props delle performance danzate. Si sa come sia fondamentale la relazione con lo spazio per creare il giusto respiro e un ritmo della mostra che in questo caso non era la sola “inquilina” del palazzo. Anche lo studio dell’illuminazione è stato particolarmente complesso per consentire un giusto balance sia per la danza sia per le opere. Sono stati così messi a punto diversi scenari illuminotecnici che convivono e si esprimono in momenti diversi della visita (live, solo mostra e fruizione video). È stata una delle parti più complesse che ha previsto anche sopralluoghi di alcuni artisti in loco, così come per gli allestimenti di talune opere. Poi è arrivata la simulazione della fruizione da parte dello spettatore, stabilendo percorsi e tempi dell’esperienza nel rispetto della sicurezza. Il risultato è stato il frutto di sensibilità e professionalità di tutti i soggetti coinvolti.
Un tratto che accomuna le opere esposte potrebbe essere identificato nelle stratificazioni materiche, nel carattere aptico della scultura, nell’attenzione posta anche a ciò che c’è ma non si vede…
Si potrebbe sinteticamente parlare di due percorsi paralleli e convergenti nella mostra (così come nelle MicroDanze): da un lato l’intelligenza di un corpo alla ricerca della propria identità con un approccio sinestesico alla realtà e, dall’altro, il rapporto del corpo con lo spazio/ambiente in cui vive ed esperisce. Due aspetti particolarmente importanti in questo momento. Gli approcci e le ricerche di alcuni artisti, seppure profondamente diverse nella loro formalizzazione, hanno a che fare con tutte queste modulazioni: il corpo come metafora di trasformazione della materia dell’opera, nel suo processo di costruzione anche attraverso la sperimentazione fisica e chimica; il corpo sublimato, teso verso la sua smaterializzazione visiva; il corpo come soggetto critico, come merce/oggetto di desiderio; il corpo come portatore di memoria collettiva e individuale le cui radici sono rinvenibili nella mitologia, nella storia e nella spiritualità, ma anche il corpo fragile, bisognoso di protezione in costante ricerca di equilibrio; infine il corpo capace di riedificarsi in nuovi spazi fisici e relazionali, misurandosi con l’incertezza e la fluidità. Tutte le tecniche impiegate per la realizzazione dei lavori presenti in mostra hanno in comune un approccio alla stratificazione e all’evocazione del mistero, mistero di cui non è solo portatrice la materia di cui è composto il lavoro, ma lo spirito con cui l’artista ha affrontato il percorso per realizzarlo.
Come è stato accolto questo progetto dal pubblico? Immaginiamo che questa commistione di linguaggi abbia coinvolto visitatori provenienti da diversi ambiti…
Si, è vero, non solo il pubblico della danza e delle arti visive, ma anche visitatori curiosi ed aperti a vivere esperienze inusuali. Ci si era immaginati di emozionare e catturare in modo totalizzante il visitatore. Credo che ciò sia avvenuto, soprattutto nelle giornate live inaugurali.
Quali saranno i prossimi appuntamenti in mostra?
Il programma che accompagna il progetto è molto ricco: Arte e corpo. Coreografare lo spazio, disegnare il tempo copre due mesi, da novembre dicembre 2021. Si articola in visite guidate mirate a diversi pubblici, lezioni frontali che spaziano dalle neuroscienze alla psicomotricità, dall’approccio educativo fino a giungere ad un workshop esperienziale, tenuto da Aterballetto. C’è poi una piccola sezione del programma, che ovviamente mi sta molto a cuore, che si svolgerà a Palazzo Da Mosto e che riguarda tre incontri con artisti destinati a insegnanti e formatori. Pensiamo sia molto importante che a chi ha responsabilità formative verso i più giovani sia data l’opportunità di considerare i linguaggi creativi un elemento educativo fondamentale. Nello specifico, dopo la performance di Sissi dello scorso 23 novembre, in cui il corpo è stato presentato come un paesaggio emotivo immaginifico, il 10 dicembre Silvia Bottani, giornalista culturale e scrittrice, medierà una conversazione con gli artisti Fabrizio Cotognini e Matteo Montani dal titolo Dentro e oltre: dalla trasformazione della materia alla trasformazione del sé. Il 14 dicembre Marinella Paderni, storica dell’arte e curatrice, medierà una conversazione con gli artisti Bianco-Valente e Giovanni Termini, sul tema Costruire nuovi scenari e nuove geografie, l’esperienza è un cantiere tra linguaggio e immagine. Infine, nei tre giorni di finissage (14-15-16 gennaio 2022) sarà possibile rivedere le performance live in realtà virtuale, congiuntamente alla mostra.
ORIZZONTI DEL CORPO. Arte / Danza / Realtà Virtuale
Esposizione a cura di Marina Dacci
MicroDanze ideate da Gigi Cristoforetti
12 novembre 2021 – 16 gennaio 2022
Palazzo da Mosto
Via Mari 7, Reggio Emilia
Artisti: Leonardo Anker Vandal, Bianco-Valente, Fabrizio Cotognini, Antonio Fiorentino, Silvia Giambrone, Gianluca Malgeri, Matteo Montani, Mustafa Sabbagh, Vincenzo Schillaci, Namsal Siedlecki, Sissi, Giovanni Termini
Coreografi: Saul Daniele Ardillo, Ina Lesnanowski, Philippe Kratz, Angelin Preljocaj, Diego Tortelli
Orari mostra: venerdì, sabato, domenica 10.00.19.00.
Aperture straordinarie: 24 novembre 10.00-19.00, 8, 26, 28, 29, 30 dicembre 10.00-19.00, 1 gennaio 15.00-19.00, 4, 5, 6 gennaio 10.00-19.00, 14 e 15 gennaio 10.00-17.00, 16 gennaio 10.00-14-00.
MicroDanze live: 14 e 15 gennaio 2022, ore 18.00, 19.30 e 21.00; 16 gennaio 2022 ore 15, 16.30 ore 18.00.
Info: +39 0522 444446
info@palazzomagnani.it
www.palazzomagnani.it
Biglietti acquistabili su vivaticket.it o presso la biglietteria di Palazzo da Mosto.