BOLOGNA | 41. edizione di Arte Fiera
Intervista ad ANGELA VETTESE di Matteo Galbiati*
In occasione dell’apertura della 41a edizione di Arte Fiera abbiamo intervistato Angela Vettese che, in veste di nuovo direttore della kermesse bolognese, ha avuto mandato per rinnovarla nell’edizione targata 2017.
Tra i maggiori studiosi, critici e storici dell’arte contemporanea italiana, lo sguardo e l’esperienza di Vettese costituiscono certamente un punto di vista privilegiato attraverso il quale tracciare una visione e una testimonianza sull’arte e la cultura artistica del nostro tempo. Questa le dichiarazioni che abbiamo raccolto:
Inizierei con il chiederle di parlarci di Arte Fiera, come ha rinnovato e scelto di cambiare il progetto fieristico? Quali continuità e quali novità si rilevano?
I cambiamenti non sono stati radicali, solo un poco di precisione in più: meno gallerie per una maggiore compattezza della visita, grazie anche a un comitato di selezione accorto di cui hanno fatto parte un curatore del contemporaneo e una storica dell’arte del moderno; più solo show per fare dei focus precisi su artisti; molta attenzione alla fotografia, in fiera e non; un’estensione delle iniziative culturali che si dipartono dalla fiera e, sempre da questa prodotte, si dipanano anche in città.
Quali sono i criteri di selezione dei partecipanti: dalle gallerie all’editoria, dagli spazi alternativi alle nuove realtà? Come sono avvenute le scelte?
Abbiamo scelto secondo un semplice criterio di qualità, con grande attenzione alla parte dedicata all’editoria che sarà la prima ad accogliere il visitatore.
Cosa rappresenta oggi una fiera, quali scopi deve avere? Soprattutto se blasonata come quella di Bologna…
Un’occasione di vitalità culturale per la città intera, cosa importante per l’idea che abbiamo delle città d’arte italiane: anche se Bologna ha un’economia più florida di altre, o comunque resta molto vitale, deve anch’essa puntare sulla cultura del presente per non essere attanagliata dal passato. Che poi questa occasione abbia anche un forte aspetto commerciale, va benissimo: la cultura può non essere solo in perdita.
Rispetto al numero crescente di fiere anche in piccole realtà di provincia, quale pensiero ha? Non sono troppe?
Sono troppe, ma se sono cresciute un motivo c’è: lo stesso che ha fatto fiorire festival di ogni tipo. La gente ama potere trovare in un solo posto e in un tempo concentrato molte sollecitazioni.
Che ruolo ha l’arte del presente, in un contesto come quello della società attuale? Che ruolo riveste l’artista? Come sono cambiati ed evoluti nel tempo?
Lo stesso che ha avuto sempre: parlarci del presente, di chi siamo, di quali sono i cambiamenti del gusto di fronte a cui ci troviamo, che poi riflettono cambiamenti di vita oggi radicali. Dove c’è uomo c’è arte, dalle caverne in poi, per decorare un ambiente, per usare le mani in modo non finalizzato, per avere qualcosa che aiuti a riflettere. Più recentemente – ma parliamo dal Medioevo in poi, con la nascita del capitalismo commerciale – anche per investire. I mercanti compravano libri miniati per avere degli status symbol e per avere beni mobili da rivendere in caso di necessità.
Dove si indirizza lo sguardo della cultura artistica del presente?
Ah che domanda! Non lo so. Certo verso qualcosa che ci racconta il futuro magari anche negandolo, per esempio che ci parla dell’egida delle macchine attraverso la riproposizione di un manufatto.
Quali sono le urgenze nel mondo dell’arte di oggi? Mali, vizi, necessità, problemi, attese?
Il vizio del giovane a ogni costo e la virtù della ricerca internazionale. Ma anche il vizio dei valori troppo consolidati, quelli su cui si rischia poco, e la virtù della riscoperta del locale. Un discorso troppo complesso per poche righe, pieno di contraddizioni apparenti.
Quali sono secondo lei gli artisti che negli ultimi anni si sono distinti sulla scena artistica italiana?
Non faccio nomi, non faccio liste, non faccio classifiche. Né per il moderno né per lo stretto contemporaneo.
Nel “sistema dell’arte” di oggi, come si deve muovere un giovane? Come deve attendere al suo lavoro, alla sua ricerca? Che consigli si sente di dare Dal momento che l’opera d’arte non deve essere solamente una merce da vendere con un parametro o un coefficiente?
Per diventare una merce, se è di questo che si vuole parlare, l’opera deve avere un perché dal punto di vista culturale. Deve essere accettata dai pari, dai pionieri del gusto, dai collezionisti più attenti. Sono cose che vado dicendo dal mio primo libro Investire in arte (Sole 24 Ore, 1991) e che ho ripreso da opinioni di economisti come Kotkler, filosofi come Arthur Danto, sociologi come Howard Becker, storici dell’arte come Francis Haskell. Poi ci vuole costanza, volontà di viaggiare almeno nel periodo di formazione, capacità di relazioni con il mondo (anche tipici esempi di artisti “timidi”, come Van Gogh o Modigliani, ne ebbero in quantità), e una dose di idealismo almeno pari a quella di realismo. Essere cinici, invece, non paga perché si emana presto odore di bruciato.
Il tema economico sembra comunque prevaricare, mettendo da parte il contenuto vero dell’opera. Come si recupera il valore poetico, umanistico dell’opera?
Non è vero che il tema economico prevarica. Il valore economico arriva a chi lo sa guadagnare con la poesia: Joseph Beuys, Gehrard Richter, Sigmar Polke non hanno iniziato per vendere. Lucio Fontana avrebbe potuto vendere molto di più, quando era in vita, se non avesse mai smesso di essere l’ottimo scultore figurativo che era fin da giovane.
Parlando invece della critica, quale posizione deve o dovrebbe avere? Quale ruolo conserva?
Non ha un ruolo molto importante, in quanto traduzione in termini verbali di un’opera visiva. È invece determinante se si parla del critico che fa cronaca, di quello che costruisce la storia scrivendo testi importanti e documentati, di quello, ancora, che curando mostre o collezioni o musei parla attraverso la scelta delle opere. Nessun artista è mai diventato importante perché un critico gli ha scritto la prefazione in un catalogo di mostra. La costruzione del valore è faccenda assai più complessa.
Quali saranno i prossimi suoi impegni? A cosa sta lavorando? Mostre, pubblicazioni, impegni istituzionali…
Appena dopo Arte Fiera dovrebbe uscire un libretto su Venezia vista come città della cultura contemporanea, in costante dialogo tra passato e futuro, come exemplum di ciò che può fare sopravvivere anche le città italiane che sembrerebbero più deputate a morte certa. Mi è stato chiesto da Il Mulino, un editore con cui lavoro molto felicemente; devo infatti, subito dopo, rivedere l’edizione de L’arte contemporanea, che abbiamo pubblicato nel 2012 e data l’ampia diffusione che ha avuto merita un aggiornamento.
Qualche sogno da realizzare?
Lavorare meglio, leggere e viaggiare di più. I sogni mi sono già stati regalati tutti. Qualcuno l’ho saputo acchiappare, per qualcun altro non ho più l’età.
*Tratta da Espoarte #95.
Angela Vettese vive tra Milano e Venezia, insegna presso l’Università Iuav di Venezia dove dirige il Corso Magistrale di Arte Visive, è stata docente presso la Bocconi di Milano, ha presieduto la Fondazione Bevilacqua La Masa (2002-2013), è stata Assessore a Cultura e Turismo per la città di Venezia, ha pubblicato saggi e volumi sull’arte contemporanea.
Info Arte Fiera 2017: www.artefiera.it