di Francesco Fabris e Simone Morabito
Sussistono infinite ragioni per cui si vuole conoscere e accertare, anche giudizialmente, la paternità e il conseguente valore di un’opera d’arte, come ad esempio, al fine del suo acquisto o della sua vendita e, ancora, per la valutazione del nostro patrimonio, magari a fini ereditari.
Ora, si pensi agli Achrome di Piero Manzoni o ai famosissimi Tagli di Fontana. Perché alcuni valgono qualche centinaio di migliaia di euro e altri raggiungono il valore di oltre un milione di euro?
Il tema è, in effetti, di grande rilievo.
Chiunque sia interessato a operare nel mercato di cose d’arte si trova di fronte alla necessità di dotarsi di uno strumento che determini le caratteristiche principali dell’opera oggetto della transazione.
Sul punto si precisa sin d’ora che in Italia non esiste una certificazione “ufficiale” di autenticità di un’opera d’arte, posto che non esiste nessun “certificatore ufficiale” di opere; in extremis, neppure lo stesso autore di un’opera, in un eventuale procedimento giudiziale, ha l’ultima e definitiva parola, potendo difatti essere sentito solo quale testimone circa l’autenticità o meno dell’opera in discussione.
Ciò deriva dalla circostanza per cui nell’ordinamento italiano non sono previste, né tantomeno regolate (salvo limitate eccezioni), figure professionali quali il “perito” o “esperto d’arte”: non esistono, infatti, nel nostro Paese albi professionali, elenchi pubblici, titoli personali o abilitazioni particolari che permettano o limitino la possibilità di redigere certificazioni, perizie o expertises aventi come oggetto cose d’arte.
Da questa premessa non si può che dedurre che, non esistendo albi ufficiali, non vi sono neppure autorità preposte a controllare la preparazione di periti o esperti d’arte, né organismi atti a valutarne livelli operativi e neppure le modalità con cui svolgono la propria opera professionale.
L’unico possibile riferimento normativo rinvenibile in materia è l’art. 64 del codice dei beni culturali, il quale stabilisce espressamente che chiunque eserciti l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d’antichità o di interesse storico od archeologico, o comunque “abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime, su copia fotografica”.
Nel caso in cui questa documentazione sia assente, il venditore dovrà rilasciare una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione al fine di dotare in ogni caso l’acquirente di un idoneo titolo.
Chiarito il quadro normativo di riferimento, è opportuno precisare che le modalità di attribuzione e di autenticazione di opere sono diverse e variano a seconda che si tratti di un’opera di autore vivente o defunto.
Nel primo caso il venditore può rivolgersi direttamente all’autore stesso, secondo quanto previsto dall’art.20 della legge sul Diritto d’autore (cfr. legge n.633 del 22 aprile 1941, di seguito per brevità anche “LdA”).
Chiaramente, il criterio utilizzato dall’artista consiste, normalmente, nel semplice riconoscimento dell’opera da lui creata. Tuttavia, anche in siffatte ipotesi, all’apparenza semplici, possono verificarsi complicazioni.
Si pensi ad esempio all’artista De Chirico che, sentito in giudizio in qualità di testimone al fine di accertare quale tra due sue opere contese fosse l’originale e quale la copia rispose al Giudice “né l’una è la copia dell’altra né l’altra è la copia dell’una”, così di fatto rendendo superflua la sua testimonianza ai fini dell’accertamento dell’autenticità delle opere.
Malgrado ciò, il discorso diventa ancora più complesso nell’ipotesi di autore defunto.
È capitato che alla morte di un artista, diversi soggetti, persone fisiche o giuridiche, abbiano ritenuto di essere titolari di un diritto “esclusivo” che attribuisce loro il potere di stabilire se l’opera è autentica.
Ciò ha riguardato gli eredi, gli assistenti dell’artista, gli storici dell’arte, gli esperti o frequentatori dello studio dell’artista. Spesso tali prerogative sono altresì sfociate in liti giudiziali che, da un lato, ruotavano intorno a pretese di ordine meramente patrimoniale, mentre, dall’altro lato, hanno riguardato la mera facoltà di autenticare le opere.
È anche molto frequente che gli eredi dell’artista rivendichino reciprocamente tali beni in sede ereditaria ovvero, in seguito, per la titolarità dei diritti d’autore dell’artista defunto.
Gli strumenti per la valutazione delle opere d’arte rappresentano dunque un ascendente importante per il mercato dell’arte di riferimento e possono altresì determinare un notevole cambiamento del valore dell’opera d’arte di riferimento.
È bene evidenziare, tuttavia, che difficilmente potrà ritenersi certa l’autenticità del certificato, salvo quando questo sia rilasciato direttamente dall’artista.
Rimane comunque da rispondere al quesito: quali strumenti abbiamo per la valutazione delle opere d’arte? La risposta è: expertise, perizia e certificazione.
Vediamo di cosa si tratta.
“Expertise” è una parola di origine francese che significa letteralmente “perizia”.
Nel suo insieme può definirsi quel documento d’identità di un’opera d’arte contenente una descrizione (il più possibile) completa della storia dell’opera, in base anche a eventuali analisi di laboratorio, se ritenute necessarie. L’expertise, dunque, consiste in una dettagliata relazione per la valutazione dell’originalità e dell’inquadramento storico-artistico dell’opera in esame, qualunque sia la natura del bene, i.e. un quadro, un mobile o un’altra opera figurativa. L’expertise non indica il valore commerciale dell’opera.
Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, essendo l’expertise un documento contenente il parere di un esperto, considerato competente e autorevole, in merito all’autenticità e all’attribuzione di un’opera d’arte, tale documento può essere rilasciato da chiunque sia in possesso di tali requisiti in materia (appunto, competenza e autorevolezza), non trattandosi di un diritto riservato in esclusiva agli eredi dell’artista.
La perizia, invece deriva dall’etimo latino “perìtia”, da perìtus “esperto”, ed è il documento contenente l’expertise, ma a cui viene aggiunta la valutazione economica dell’opera. La perizia può essere eseguita soltanto da un perito iscritto all’albo dei periti del Tribunale e della Camera di Commercio.
Sul punto si rileva, peraltro, che per essere iscritto negli albi generici come consulenti tecnici è sufficiente dimostrare l’effettivo svolgimento dell’attività professionale e la speciale competenza tecnica in materia.
Infine, vi è il certificato di autenticità.
Si tratta di un documento, spesso cartaceo, ufficiale che contiene le caratteristiche tecniche delle opere esaminate e ne certifica l’autenticità. È composta da una relazione scritta con indicazioni tecniche, critiche e biografiche (nel caso di opere firmate) e da foto indicative con i dettagli più rilevanti; vi sono poi in genere allegati vari (ad esempio: fotocopie di opere comparative, biografie desunte da pubblicazioni, altri expertise, titoli di acquisto, ecc). Elemento fondamentale è la firma del soggetto che l’ha rilasciato.
La relazione scritta si conclude con l’indicazione dello stato di conservazione dell’opera che è molto importante ai fini della sua giusta valutazione sul mercato.
Pare evidente allora che non vi sia una differenza sostanziale tra expertise e certificato di autenticità. E così, l’unico elemento che vale a distinguere il certificato di autenticità dall’expertise è che il termine “autentica” si utilizza per gli elaborati aventi a oggetto le opere di arte contemporanea, mentre è utilizzato il termine “expertise” nel caso di arte antica e di oggetti di antiquariato.
In conclusione, si ritiene opportuno che ogni collezionista di opere d’arte, per ogni compravendita, abbia cura di richiedere al venditore il certificato di autenticità dell’opera (o l’expertise a seconda dell’opera) che, mentre per gli artisti viventi dovrebbe provenire dallo stesso artista, per gli artisti defunti sarebbe conveniente venisse rilasciato dagli eredi o da loro mandatari.
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