Art Basel | 13 – 18 giugno 2017
di LUCIA LONGHI
Dopo l’apertura della Biennale di Venezia, di dOCUMENTA a Kassel e Atene e di Skulptur Projekte a Münster, è arrivato il quarto, attesissimo e certamente il più esclusivo appuntamento estivo: Art Basel.
La kermesse svizzera si riconferma la fiera più importante al mondo: 291 gallerie da 34 Paesi, più di centomila visitatori, di cui il 15% VIP, 4.000 artisti internazionali.
È qui che si può osservare un autentico spaccato dell’ecosistema attuale dell’arte contemporanea. Qui, profitto economico, gusto estetico e ricerca artistica si uniscono felicemente in una formula che negli anni ha trasformato la fiera da mera piattaforma di commercio a evento capace di definire e stabilire trend internazionali.
La fiera di punta del mercato mondiale è certamente partita con il piede giusto, ribaltando l’andamento in decrescita degli ultimi due anni e facendosi specchio di un mercato sano e forte, come riportano i primi dati: nel primo giorno il valore delle vendite pare abbia superato i 60 milioni di dollari (un olio su tela di Philip Guston, artista americano attualmente alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, venduto per 15 milioni di dollari da Hauser & Wirth).
Il mercato oggi si svolge sempre più a distanza tramite internet, ma la fiera resta un momento essenziale perché, afferma il 49enne direttore Marc Spiegler, giornalista di formazione, laureato in scienze politiche ed esperto di mercato (nel 2016 ventiduesimo nella lista di ArtReview delle 100 figure più influenti del mondo dell’arte): “Possiamo passare dagli atomi ai bytes, ma siamo sempre uomini delle caverne. Abbiamo bisogno di annusare, sentire, vedere; di guardare negli occhi le persone per decidere se ci fidiamo di loro, se compreremo, venderemo o esporremo con loro”.
Così, anche quest’anno, la Svizzera ha accolto l’élite dell’arte contemporanea da tutto il mondo per una settimana di eleganza, lusso, provocazione, commercio ma soprattutto scoperta e riscoperta dell’arte contemporanea del nostro secolo.
Giunta alla sua 48esima edizione, anche quest’anno la fiera presenta, oltre alla main section Galleries, le sezioni dedicate alle icone del mercato (Feature), ai talenti emergenti (Statements) e la spettacolare Unlimited, con progetti in scala monumentale. Le sezioni separate sono Film, lungometraggi di e con artisti, Conversation, i talk d’autore e infine Parcours, le installazioni dislocate nel centro città.
Quest’anno, all’esterno nella Messeplatz, colpisce il divertente progetto, partecipativo a dir poco, di Claudia Comte (1983): una collina verde, sulla cima troneggia la scritta “Now I Won” e all’interno il pubblico, pagando, può giocare a freccette, braccio di ferro o minigolf, come in una sagra paesana. Il ricavato andrà in beneficenza.
L’Italia era presente con 21 gallerie. In Galleries le ormai consolidate Galleria Continua, Massimo De Carlo, Lia Rumma, Christian Stein, Massimo Minini, A arte Invernizzi, Giò Marconi, Kaufmann Repetto, Alfonso Artiaco, Galleria dello Scudo e Galleria Tega, affiancate da Magazzino, Franco Noero, Tornabuoni Arte, Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea e ZERO. In Feature troviamo Galleria Raffaella Cortese, Studio Trisorio e Vistamare e, per la prima volta a Basel, Mazzoleni e P420 di Bologna. Molte di queste sono presenti anche nella sezione Unlimited, spesso in collaborazione con altre gallerie internazionali.
Nonostante non siano mancati segni di innovazione, eleganza, come anche provocazione e opulenza, quest’anno si ha tuttavia l’impressione di uno slancio più contenuto, soprattutto nell’attesissima, di solito coraggiosa e oltraggiosa Unlimited. Questa sembra essere la sezione in cui si è osato di meno, quantomeno rispetto all’anno passato.
Curata per il sesto anno di fila da Gianni Jetzer, dovrebbe essere la piattaforma che mette in scena spettacolari installazioni in formato XXL, sculture monumentali, performance e video che nel formato extra-large trovato la loro espressione più maestosa. Invece i 16mila metri quadrati della Hall 1 non sono stati sfruttati pienamente per questo scopo, e offrono 76 lavori interessanti ma meno ambiziosi e imponenti di quanto ci si aspettava. Qui gli italiani sono sette, quattro storicizzati (Enrico Castellani, Giulio Paolini, Pier Paolo Calzolari e Paolo Icaro) e tre emergenti (Yuri Ancarani, Francesco Arena e Massimo Bartolini). Ad ogni modo, alcuni progetti, di cui molti video, lasciano il segno.
Arthur Jafa (USA, 1960) presenta una imponente installazione video: APEX (2013) in cui si susseguono freneticamente centinaia di immagini riferite alla black culture, in soli 8 minuti, accompagnati da una musica martellante. Doug Aitken, con il video del 2017 Underwater Pavilions, immerge lo spettatore nei fondali dell’oceano mostrando il viaggio di tre capsule sommergibili dalla forma caleidoscopica e la superficie specchiante. Julian Charriére e Julius von Bismarck sbarcano a Basel con Objets in mirrors might be closer than they appear 2016/2017: proiettate su due megaschermi separati da uno specchio, le prime immagini della luna alternate a un close-up dell’occhio di una renna fanno vivere scenari familiari da prospettive inedite.
Ei Arakawa ha portato Gutai under feet (Basel LED), 2017, ispirandosi alle performance dello storico gruppo GUTAI: quattro grandi dipinti, composti in realtà da fili LED, parlano tra di loro e cantano.
Tacita Dean è ad Unlimited con un disegno When First I raised the Tempest (2016): su una lavagna di quasi 9 metri per 3, inscena una elegante, maestosa tempesta di mare con gesso bianco.
Il magnifico dirigibile Ode to Santos Dumont di Chris Burden ha ammaliato il pubblico. L’artista americano aveva lavorato con l’inventore John Biggs per realizzare quest’opera, poco prima della sua morte nel 2015. Un pallone di elio usa piccoli motori per volare ad altezza uomo, il titolo è un omaggio all’aviatore Alberto Santos Dumont che volò attorno alla Torre Eiffel nel 1901. Vola solo a orari stabiliti, ma è commovente anche da fermo.
L’installazione Cooking the world I è una casa costruita con pentole in alluminio al cui interno l’artista Subodh Gupta cucina per il pubblico.
Cory Arcangel si conferma l’artista dell’arte Open Source, hackerando il fondale di un videogame degli anni ’90 e riportandolo, scomposto e distorto, su due grandi shermi MIG 29 soviet figher plane, and clouds, del 2005. Phyllida Barlow, che rappresenta quest’anno la Gran Bretagna in Biennale a Venezia, ammucchia in un angolo enormi teli, stesi su pali come stendardi. Queste strane bandiere, dai colori accesi, appaiono decadenti e quasi ridicole, spogliate della loro autorità (Untiled: 100banners2015).
Un scelta curiosa: la P420 di Bologna ha scelto Goran Trbuljak, artista concettuale croato nato nel 1948 che questionava il ruolo dell’arte e dell’artista è del 1970 la performance in cui chiedeva ai passanti di stabilire se lui fosse o no un artista). L’installazione Reenactment of Trbuljak’s installation at Galleria del Cavallino, Venice è una riproposizione dell’esposizione del ’77, in cui venivano esposti i poster e i materiali delle mostre storiche della galleria.
Nella Main Section colpisce lo stand della Koenig Galerie di Berlino, con una selezione di artisti di punta dell’attuare scenario emergente come: Alicja Kwade, Camille Henrot, Claudia Comte, Monica Bonvicini, José Davila, Elmgreen & Dragset, Jeppe Hein, Julian Rosefeldt, Tatiana Trouvé, Rinus Van de Velde, Jorinde Voigt.
Elegantissimo lo stand di Kauffmann Repetto, dove spicca il grande lavoro di Andrea Bowers, e ancora Nicolas Party, Pae White e l’italiano Gianni Caravaggio.
Chantal Crusel è potente, con i grandi granchi di Roberto Cuoghi, e ancora Anri Sala, Seth Price, Hassan Khan, Marcel Broodthaers, Wolfgang Tillmans e Rirkrit Tiravanija.
Nella sezione Feature 32 gallerie presentano artisti storicizzati o movimenti che hanno segnato l’arte del 20esimo e 21esimo secolo, con progetti di curatela che possono includere solo show o mostre tematiche. Qui colpisce lo stand di Raffaella Cortese, con lavori di Joan Jonas e Barbara Bloom.
Statemens, la sezione con 18 gallerie dedicata alla scena emergente con progetti di giovani artisti emergenti internazionali, è la più forte e ben riuscita. Si cammina nel presente, si osserva uno spaccato di ciò che sta realmente accadendo oggi nel mondo dell’arte. Il solo show di Zora Mann alla Chert Luedde di Berlino ne è un bell’esempio.
La galleria londinese Alison Jaques è ordinata e affascinante con i lavori delicati di Ana Mendieta e Irma Blank, e i bellissimi disegni di Dorothea Tanning.
Piazze, angoli e strade (ma anche interni, come chiese e palestre) per la sezione Parcours, ben curata e facile da percorrere. Nel palazzo vescovile troviamo Latifah Echakhch con l’installazione Screen Shot, 2015, panni neri appesi a tele bianche in mezzo alla sala a simboleggiare la divisione tra la sfera pubblica e quella privata. Sul muro di un campo da basket c’è la scultura di Erika Verzutti, Cocar/Cockade, un centipiede di banane nere, una tassonomia sensuale e misteriosa. Nathalie Djurberg & Hans Berg, al solito, divertono e provocano con Who am I to judge, or, it must be something delicious 2017, tante figurine di fantasia in plastilina inscenando azioni oscene e impacciate sotto i nostri occhi; due video riportano le azioni in stop motion. Nella Muensterplatz, finalmente, ci si riposa ai piedi del grande albero, un po’ deludente, di Ai Weiwei Iron Tree.
Le mostre in giro per la città non mancano, alla Fondazione Beyeler Tino Shegal, all’Hek un-REAL, un bella collettiva di arte multimediale in collaborazione con il Chronus Art Center di Shangai; Hola Prado! Al Kunstmuseum, poi una retrospettiva di Wim Delvoye al Museo Tinguely. Infine, allo Schaulager, la straordinaria proiezione Olympia di Dadiv Claerbout.
Le satelliti Volta, Liste e Scope crescono, tutte hanno superato i dieci anni di vita. Volta resta piuttosto isolata, Liste si riconferma la più frizzante e attenta alla scena emergente, Volta si rinnova aprendo la Scope Haus, un centro per la cultura attivo tutto l’anno.
Anche quest’anno Art Basel non delude il pubblico, soprattutto quello dei dealers.
Info: www.artbasel.com