TORINO | GAGLIARDI E DOMKE | FINO AL 14 LUGLIO 2023
di MICHELE BRAMANTE
Niente è più ideale del futuro. Il tempo che deve ancora accadere è un oggetto continuamente modellato senza poter toccare alcuna materia reale, totalmente compresa nel cerchio infinito dell’attimo presente. La storia sta però subendo una tale accelerazione che il futuro collassa quasi su di noi, contraendo sempre di più la distanza tra l’informazione e l’immaginazione. Quanto tempo occorse perché il sottomarino fantasticato da Jules Verne diventasse realtà? Quanto ne trascorse tra gli studi sugli uccelli di Leonardo e il primo volo dell’uomo, tra il viaggio sulla luna di Melies e il “grande passo per l’umanità” di Neil Armstrong? Il laboratorio fantascientifico di Armed epigenetics che Luisa Raffaelli crea nelle sale della Galleria Gagliardi e Domke è un cortocircuito temporale, un luogo in cui l’avvenire fluttua in uno stato continuamente anticipato dagli eventi storici e dalla produzione della tecnoscienza presenti.
Mentre Raffaelli lavora nel suo laboratorio allegorico dove si preparano gli umanoidi destinati a popolare la prossima Terra, Elon Mask ottiene l’autorizzazione a sperimentare un microchip innestato direttamente nel cervello, l’intelligenza artificiale simula le possibilità di combattimento di guerre già in corso, alcuni embrioni umani sono stati generati a partire da cellule staminali. Il futuro dell’artista è quasi una fotografia del presente. Oppure la velocità del presente sta superando ogni immaginazione, forse privandocene e lasciando al suo posto solo confusione.
Sulle pareti della Galleria, Raffaelli affigge i progetti degli esseri che stanno incubando nelle vasche amniotiche, prototipi di corpi umani potenziati organicamente e ciberneticamente con protesi e innesti che hanno il solo scopo di aumentare esponenzialmente la capacità offensiva delle nuove creature. La muscolatura dei loro corpi è stata portata al suo massimo sviluppo per rispondere con immediatezza al carico di forza e violenza per le quali i cyborg sono stati programmati. La tecnologia genetica li ha dotati di funzioni provenienti dal regno animale, ma le ali, o gli arti, o la testa, sono sostituiti da sofisticate armi comandate dagli stimoli nervosi del corpo organico di base. Gli umanoidi sono quasi tutti acefali, perché dalla funzione alla quale sono destinati è stata opportunamente soppressa ogni capacità di giudizio e pensiero, con il conseguente annullamento della personalità, della soggettività e di ogni identità autonoma. Anche il cervello è tra gli organi sezionati e isolati per essere manipolati singolarmente. Gli umanoidi dovranno agire come quegli insetti la cui vita è completamente subordinata alla sopravvivenza della specie. Ma di quale specie?
Il mondo in cui vivranno (vivremo; viviamo) è il compimento epocale di quello che Hannah Arendt aveva definito come la “banalità del male”: cieca amministrazione dello scontro di forze, priva di psicologia e di profondità spirituale, incapace di responsabilità, volta solo all’esecuzione dell’ordine impartito e all’esercizio irriflesso della potenza. Se in questa epica del male vista dalla Arendt travestiamo la potenza con la maschera dell’edonismo, ecco che diventa immediata l’analogia con la nostra società.
Gli uomini prodotti dalla scienza che Raffaelli profetizza nei propri incubi sono esseri a due dimensioni preparati per lo scontro di forze in cerca di spazio da dominare, nati per dispiegare con la massima energia tutto l’armamentario innestato nella propria carne. A favore di chi o di cosa resta nascosto, forse non esiste più neanche un potere centrale trincerato dietro la barriera offensiva e l’intera esistenza si ridurrà a una lotta individualistica di tutti contro tutti.
C’è però un suono di fondo in questo incubo, forse inconscio anche per l’artista, una sorta di compassionevole melodia per queste creature, il cui destino, privato scientificamente del libero arbitrio e della capacità di scelta, non è più un loro possesso. Va anzitutto notato che le macchine-umanoidi da attacco sono di sesso maschile. In un quadro di manipolazione genetica così profondo non ha forse più alcun senso parlare di generi, ma la struttura corporea e la muscolatura lasciano intendere che non c’è traccia di caratteri femminili. Il momento dell’incubazione, poi, avviene in una sorta di silenzio amniotico che circonda la genesi, con una grazia della forma che può essere concepita solo nell’utero materno. Gli esseri, le loro parti organiche e perfino le armi crescono all’interno di poetici gusci, immersi in un liquido trasparente che li nutre e protegge nelle fasi dell’evoluzione embrionale, quando ancora sono teoricamente vulnerabili. È forse in questo deposito invisibile di grazia femminea che la mostra di Raffaelli lascia ancora sperare.
Non c’è nulla che possiamo immaginare che non sia già sulla traccia del suo avverarsi. Nulla se non l’imponderabile sorte al di là della morte, la nostra stessa estinzione che non siamo in grado di pensare. Gli umanoidi sono armati fino al cuore per conservare la propria esistenza, senza sapere che la vita che difendono con tutta la violenza di cui sono attrezzati resta il vero miracolo.
Luisa Raffaelli. Armed Epigenetics
18 maggio – 14 luglio 2023
Gagliardi e Domke
Via Cervino 16, Torino
Orari: martedì – venerdì, 15.30 – 19.30