Intervista a CARLO D’ORTA di Diego Santamaria
Carlo D’Orta (Firenze, 1955) è un fotografo e uno studioso di arte contemporanea. La sua visione, nel tempo, subisce una completa trasformazione. Abbandona l’approccio documentaristico e sviluppa una ricerca verso l’astrazione, con visione metafisico/surrealista e un risultato finale con una forte caratterizzazione pittorica.
Carlo D’Orta, potremmo definirlo, con una certa vena ironica, un fotografo paesaggista, che raccoglie la sua ispirazione dagli scenari urbani. Ma Carlo D’Orta è molto di più. Il suo lavoro parte da queste visioni, ma è frutto di studi e visioni di particolari architettonici, sovrapposizioni di architetture diverse per realizzare opere fotografiche che sono veri e propri quadri astratti, dove geometrie e colori sono ripensati in una nuova architettura visiva.
Quali sono i concetti fondamentali della tua arte?
Io mi percepisco non come fotografo, ma come artista nel ramo fotografia. Uso cioè la macchina fotografica non per documentare o fare cronaca, ma per estrarre dalla realtà immagini pittoriche che esistono davvero, ma quasi mai sappiamo vedere.
Il mio soggetto principale sono le architetture. E la mia arte, nella principale serie che ho intitolato Biocities, è soprattutto una ricerca della sintesi, delle forme essenziali, delle combinazioni geometriche prodotte dalle sovrapposizioni e intrecci di strutture architettoniche che popolano le nostre città. Non mi interessano gli edifici in sé, né la realtà percepibile a prima vista. Io mi concentro su linee, intersezioni, combinazioni di forme. Indago le architetture e le loro forme e superfici leggendole come una pelle delle città, come un tessuto quasi biologico. Di qui il titolo che ho dato alla serie: Biocities.
Nelle distinte serie che ho intitolato Vibrazioni e Paesaggi Surreali mi concentro, invece, sulle deformazioni – a volte tendenti all’astrazione, altre volte a forme surrealiste – prodotte dai riflessi delle vetrate dei grattacieli o da altre superfici specchianti, come cofani di auto, lastre di acciaio deformate, ecc. Anche queste sono immagini vere, che esistono davvero nella realtà, ma al tempo stesso estremamente pittoriche.
A un primo sguardo, magari non troppo attento, i tuoi lavori possono sembrare collage o frutto di una importante post-produzione. Ma così non è. Ci racconti come realizzi il tuo lavoro, i tuoi scatti? Parlandoci anche degli strumenti che utilizzi e del processo creativo che porta a ogni singola inquadratura. Ovvero la storia del tuo punto di vista…
Le mie fotografie possono a volte sembrare dei collage, ma non lo sono. Gli incroci di forme e geometrie, o le immagini quasi astratte, non sono realizzati in post-produzione o al computer, ma esistono davvero nella realtà: essi sono il frutto della prospettiva, di punti di vista dai quali strutture distinte, fisicamente separate fra loro, appaiono invece al nostro sguardo come fuse e unite. Io mi muovo tra le architetture alla ricerca di queste prospettive particolari e quando le trovo, solo allora, scatto la fotografia.
Per ottenere questo risultato di schiacciamento prospettico, questa perdita del senso di separazione fisica tra edifici o strutture diversi, devo spesso collocarmi molto lontano rispetto al soggetto fotografato, e infatti lavoro con un potente zoom Nikkor 28-300. Questo è il senso soprattutto della mia serie Biocities.
Ma, nella loro profonda differenza, anche la serie che ho intitolato Vibrazioni e quella, ancora diversa, che ho intitolato Paesaggi Surreali rispondono alla stessa logica di fondo. Qui il mio obiettivo si concentra su vetrate di cristallo o altre superfici specchianti che riflettono, ma deformandole, le architetture tutt’intorno. E la cosa che ancora oggi mi sorprende e affascina è che queste immagini astratte o surrealiste esistono davvero nella realtà, ma sono effimere, perché basta muoversi di un passo e immediatamente scompaiono alla nostra vista.
In post produzione intervengo, a volte. Ma mai sulle forme dei soggetti fotografati, perché voglio che il risultato resti una fotografia reale. Il mio intervento è analogo a quanto poteva farsi in camera oscura ai tempi dell’analogico: agisco sul taglio dell’inquadratura, sulla luce, sui contrasti chiaro/scuro, sulla saturazione o tonalità dei colori. Nulla di più.
La tecnica del collage la uso, ma per realizzare opere diverse dalle fotografie: opere che dichiaratamente sono e si presentano come collages. Nel 2012, per esempio, unendo più scatti raffiguranti persone e loro ombre su una piazza ripresi dall’alto della torre del Duomo di Colonia, realizzai un collage esplicitamente tale, nel quale era difficile distinguere le persone fisiche dalle ombre che esse proiettavano al suolo. Questo collage concettualmente voleva mostrare la difficoltà di distinguere tra realtà e apparenza. L’opera fu shortlisted nel Sony World Photography Award, sezione Conceptual. Ora invece sto lavorando su una serie di collages che, ripetendo serialmente una immagine architettonica o di paesaggio, realizzano trame che richiamano l’idea di un tessuto. Ma anche qui, ripeto, si tratta di opere che collages sono dichiaratamente e apertamente.
Quali sono gli artisti e i “pensatori” a cui tu ti sei ispirato? Quali sono stati i tuoi Maestri?
La mia visione fotografica affonda le radici negli studi sull’arte contemporanea in cui mi sono immerso, tra il 2003 e il 2009, mentre frequentavo i corsi di pittura del Maestro Tullio de Franco alla RUFA-Rome University of Fine Arts.
La visione della mia serie Biocities trova certamente l’ispirazione più profonda nell’arte astratta di Mondrian, Malevic, El Lissitzky, Rothko, Peter Halley, nella fotografia di Franco Fontana e Lucien Hervé e forse – proprio per lo sforzo di andare con i miei scatti oltre il dato fisico, per approdare ad una nuova meta-realtà – anche nella visione delle città e piazze metafisiche di De Chirico.
Per le serie Vibrazioni e Paesaggi Surreali, invece, la fonte di ispirazione, ciò che ha generato la mia sensibilità verso certe immagini offerte dalla realtà dei riflessi, viene probabilmente dall’amore per il Futurismo di Balla, Boccioni, Carrà e Severini, e per il Surrealismo architettonico di Gaudì.
Per spiegare il mio modo di guardare e fotografare mi piace, poi, citare le frasi di tre grandi uomini di cultura:
“Se si desidera insegnare all’occhio umano a vedere in una nuova maniera, è necessario mostrargli oggetti quotidiani e familiari da prospettive, situazioni e angolazioni totalmente diverse” (Aleksnadr M. Rodchenko)
“Il viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” (Marcel Proust)
“La fotografia creativa non deve riprodurre, ma interpretare rendendo visibile l’invisibile” (Franco Fontana)
La recente mostra “80 anni di EUR. Visioni differenti. Archivio Centrale dello Stato e Carlo D’Orta” e il volume ad essa legato “EUR42/oggi. Visioni Differenti” sono stati un importante passo per la tua consacrazione tra i grandi fotografi contemporanei. Ci racconti come e quando è nato il progetto e come è stato sviluppato? Presenti ai nostri lettori il progetto editoriale?
Ho incominciato a fotografare architetture dell’EUR – il più moderno quartiere di Roma – nel 2012, incuriosito dalla suggestiva commistione fra le tre stagioni architettoniche che lo caratterizzano: il razionalismo/neoclassico del gruppo di architetti coordinato negli anni 1937-40 da Marcello Piacentini, il modern style degli Anni ’60-’80 e, infine, il contemporary style di questo XXI secolo.
Nel 2016 Juan Carlos Garcia Alia, titolare della Galleria Honos Art di Roma, colpito da alcune delle mie immagini sull’EUR mi propose una mostra personale nella sua galleria, svolta poi nella primavera 2017. La mostra piacque molto sia all’allora Presidente di EUR spa Roberto Diacetti, sia al Soprintendente Eugenio Lo Sardo, che dirigeva il Museo Archivio Centrale dello Stato (che all’EUR si trova). E poiché nel 2018 sarebbe ricorso l’80° compleanno del quartiere, la cui costruzione iniziò nel 1938, mi fu proposto di approfondire la ricerca per realizzare, nel 2018, una mostra che raccontasse appunto in modo completo 80 anni di evoluzione e intrecci architettonici dell’EUR, e il fascino di questo quartiere, molto apprezzato soprattutto all’estero. Ho dunque passato tutta la seconda metà del 2017 ad indagare ancora più a tappeto le architetture dell’EUR. Anche in questa indagine sull’EUR, però, sono rimasto fedele allo stile delle mie serie Biocities e Vibrazioni, salvo qualche eccezione di carattere più paesaggistico/descrittivo.
La mostra al Museo Archivio Centrale dello Stato si è svolta nei mesi di maggio e giugno 2018, con l’esposizione di 50 mie fotografie stampate in grande formato e la proiezione in loop di altre 130 fotografie. Nel mese di luglio, poi, una selezione di circa 30 mie opere sull’EUR è stata esposta ad Orbetello nel Palazzo di Piazza del Popolo, nell’ambito del Festival della fotografia. E infine, nel novembre 2018, la mia mostra sull’EUR è stata riproposta in uno spazio istituzionale nel centro a Roma, presso la prestigiosa Galleria dell’IPSAR-Istituto Portoghese di S.Antonio. Al termine di questo tour espositivo, 10 delle mie opere sull’EUR, tutte di grande formato, sono entrate a far parte delle collezioni di Archivio Centrale dello Stato e di EUR spa, che hanno organizzato la mostra all’ACS, e dei due main sponsor (Confindustria e DeA Capital RE), come ringraziamento per il loro contributo alla migliore organizzazione dell’evento.
La realizzazione del libro sull’EUR è avvenuta in parallelo alla ideazione e organizzazione della mostra al Museo Archivio Centrale dello Stato. Nell’autunno 2017 l’Inail, che nel quartiere EUR ha la principale sede di uffici ed ha nel tempo acquisito edifici che ospitano tra i più famosi e dinamici luoghi di cultura della città di Roma, e che da sempre ha nella propria organizzazione anche una struttura editoriale che cura pubblicazioni istituzionali, decise di realizzare, con la collaborazione di EUR spa, un volume sull’EUR basato sulle mie fotografie. Con la realizzazione di questo volume, pubblicato ad inizio 2018, Inail ha inteso contribuire a preservare e valorizzare un patrimonio culturale comune. Il volume (280 pagine, cm 28×24) è composto da 180 mie immagini ed è corredato da testi critici in versione bilingue italiano/inglese di due autorevoli curatori/critici d’arte (Giuseppe Prode e Maria Italia Zacheo) e di due autorevoli architetti romani (Massimo Locci e Amedeo Schiattarella). Esso ha di fatto accompagnato la mostra al Museo dell’Archivio Centrale Stato.
Dal punto di vista tecnico, trattandosi di uno Speciale sulla Fotografia Fine Art, come sono prodotte le tue opere? Stampa e montaggio sono sempre uguali o variano a seconda dei progetti? Quante edizioni realizzi per ogni opera? I tuoi prezzi seguono il listino tradizionale o quello cosiddetto americano (in cui il primo esemplare della tiratura ha un prezzo basso e con l’aumentare del numero di esemplare il prezzo sale di conseguenza, ndr)?
Per le mie fotografie prediligo la stampa flatbed UV su lastre di plexiglass, sul cui retro è incollata una lastra di dibond. Questo tipo di stampa, curata dal laboratorio Eliostile srl che è una eccellenza nazionale in questo campo, è effettuata non su carta ma direttamente sul retro della lastra di plexiglass. La stampa su plexiglass negli ultimi anni ha raggiunto livelli di definizione altissimi, equivalenti a quelli della stampa fine art su carta. È una modalità costosa ma ha il pregio di una grande eleganza e luminosità, nonché quello di trasmettere una sensazione di profondità. Per le mie fotografie a soggetto architettonico è la soluzione ottimale. Per i formati, vado da cm 60×40 a cm 230×150. Ovviamente i formati di grandi dimensioni hanno un impatto visuale altissimo.
Le mie opere sono sempre in Limited Edition di massimo 3 copie, corredate da certificato di garanzia e da un codice univoco che identifica ogni singola stampa. Se l’acquirente vuole che l’opera sia esclusiva in copia unica, si può fare se si tratta della prima copia (ovviamente con una maggiorazione di prezzo). Ogni singola stampa è classificata e schedata nel mio ArtArchive, ove le è attribuito un codice univoco di identificazione. Per ogni singola opera viene inoltre registrato, nel mio ArtArchive, ogni utilizzo nel tempo: mostre in cui viene esposta, eventuali prestiti, collezioni pubbliche o private in cui viene acquisita definitivamente, ecc.
Solo per alcuni progetti fotografici particolari – per esempio, quello che nel 2018 ho realizzato per la Università Luiss sul restauro di Villa Blanc, sede della Luiss Management a Roma, oppure quello che sto realizzando in queste settimane sul Castello/Borgo medievale di Gargonza d’intesa con la famiglia Guicciardini, che ne è proprietaria – faccio tirature più ampie (di 20 o 30 copie) e la stampa fine art è fatta su carta in formati medio/piccoli (cm 40×30 o simili). Si tratta comunque sempre di Limited edition, con ogni stampa corredata da certificato di garanzia e codice univoco identificativo.
Per il prezzo di vendita, uso il criterio del coefficiente. Per le Limited edition ordinarie (3 copie) il coefficiente è 1 (semiperimetro x 1000 euro) per i formati piccoli e medi (fino a 2 metri di semiperimetro) e 1.2 (semiperimetro per 1200 euro) per i formati grandi (semiperimetro di 2 metri od oltre). In più va ovviamente aggiunta l’Iva. Nel caso delle opere realizzate in Limited edition di 20 o 30 copie il prezzo è ovviamente molto più contenuto.
Quali sono i principali progetti a cui stai lavorando? Hai un sogno nel cassetto, magari la realizzazione di un viaggio che hai a cuore da tempo?
In queste settimane sto completando il progetto sul Castello/Borgo medievale di Gargonza, in provincia di Arezzo. È un luogo straordinario perché, completamente circondato da un bosco, è rimasto intatto nel suo stile medievale e diventa, per chi lo visita, un tuffo estremamente suggestivo in un passato di 1000 anni fa. Lo sto fotografando alla mia maniera, cercando prospettive e scorci diversi dall’ordinario, che valorizzino le forme essenziali delle antiche strutture del luogo.
Un secondo progetto è quello dedicato alle architetture di New York. Sono tornato nella metropoli statunitense poche settimane fa, dopo quasi 15 anni. Desideravo fotografarla alla mia maniera attuale, perché lì, più che in qualsiasi altra metropoli, l’intreccio di grattacieli realizzati in stili diversi nell’arco di quasi 120 anni è un soggetto naturale per le mie serie Biocities e Vibrazioni. In parallelo, sto ragionando sulla esportazione negli USA della mostra sull’EUR, ed ho avviato una collaborazione con la galleria ArtProduction NYC, che mi rappresenterà prossimamente ad Art Expo NY e con la quale realizzerò, in prospettiva, una mostra personale.
Sto poi lavorando, col critico e curatore Leonardo Conti, ad un libro d’arte che riassuma gli ultimi dieci anni della mia ricerca ed i migliori esempi delle serie Biocities e Vibrazioni. Leonardo Conti è anche titolare della prestigiosa Galleria PoliArt di Milano, dove organizzerà alla fine di questo percorso una mia mostra personale. E un’altra mia mostra personale è in fase di progettazione, con la curatela di Paolo Feroce, presso il PAM-Museo di Arte Moderna di Parete, in provincia di Caserta. E poi ci sono le mostre che, di tanto in tanto, organizzo presso il mio ArtStudio in piazza Crati 14 a Roma, che si affaccia sulla strada ed è come una galleria personale.
Il sogno nel cassetto? Adoro viaggiare e, nel 2017, ho visitato le isole Svalbard, cioè praticamente il Polo Nord. Paesaggi naturali assolutamente fantastici. Mi piacerebbe molto ora andare al polo opposto, in Antartide. E poi…chissà… potrebbe nascerne un progetto di fotografie per una volta non di architettura, ma di paesaggi estremi 😉