ROMA | Centro di Documentazione della Ricerca Artistica Contemporanea Luigi Di Sarro | Fino al 16 novembre 2018
Intervista ad ANTONIO AMBROSINO di Francesca Di Giorgio
Dal primo “momento” espositivo è passato più di un anno e ora la mostra personale di Antonio Ambrosino – artista di origine campana ma che da tempo vive e lavora a Serdes, frazione di San Vito di Cadore, nel cuore delle Dolomiti bellunesi – giunge al suo atto conclusivo. Anche le opere in mostra, oggetto di un tour internazionale, che ha avuto come prima tappa Colonia (Istituto Italiano di Cultura), rispecchiano una genesi lunga e per certi versi stratificata che rivela la natura composita della ricerca di Ambrosino. Non a caso, in musica “la composizione è il processo creativo che concepisce un’opera d’arte e il prodotto stesso dell’atto” e, a partire dal titolo della mostra, K466 Allegro assai, in corso, fino al 16 novembre, al Centro di Documentazione della Ricerca Artistica Contemporanea Luigi di Sarro, il legame con la cosidetta “seconda arte” – al secondo posto, appunto, della scala delle arti delle nove Muse – è dichiarato nell’omaggio dell’artista a Mozart…
Ci racconti le ragioni “in itinere” di K466 Allegro assai? Come sono stati scelti gli spazi espositivi? Hanno un significato particolare per te e per la tua ricerca al di là della specificità del progetto?
Nel 2016 vinsi una residenza in Germania presso lo Schloss Fasanerie di Eichenzell (Fulda). La sera dell’inaugurazione a cena con l’allora direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Colonia (promotore del concorso), Lucio Izzo, nacque l’idea di organizzare una mostra nello spazio espositivo di Colonia.
Da tempo immaginavo di fare un omaggio a Mozart al quale, ritengo, il mio lavoro sia molto legato forse per l’idea di ritmo, per il gioco di contrasti, per la necessità di lavoro quotidiano che c’è dietro le cose, in particolare per la capacità/volontà di poter toccare i sentimenti più profondi e intimi dell’essere umano. La K466, in particolare il terzo movimento, mi ha sempre suscitato un ribollìo di emozioni molto forti; mi riconosco nell’attività frenetica e tesa con cui lavoro ad un’opera e, infine, nella grande soddisfazione al vederla realizzata. L’omaggio a Mozart è evidente anche dall’immagine sulla copertina del catalogo e nelle sue dimensioni (DVD 14×19 cm). L’opera è divisa in tre movimenti e altrettante sono le tappe che mi sono prefisso. La prima tappa è stata l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia, nel novembre 2017, dove ho collaborato con il nuovo direttore Maria Mazza ed i suoi collaboratori, in una piacevole sinergia. La seconda tappa è stata il Museo d’Arte Contemporanea FRaC di Baronissi (SA), nel marzo 2018. La mostra è stata articolata sul primo piano del FRaC offrendo uno sguardo molto ampio al mio lavoro. Qui l’analogia con il concerto mozartiano è ancora più accentuata. Il secondo movimento, infatti, è una romanza dove prevale un tono sentimentale e intimo. Lo spazio del FRaC richiama in me un sentimento analogo; sono estremamente legato a questo spazio perché ho trascorso dei momenti unici della mia vita collaborando con tanti amici artisti e curatori sotto la guida del direttore del Museo Massimo Bignardi. Il terzo movimento del concerto numero 20, in tempo allegro assai, che ha suggerito anche il sottotitolo alla mostra, è, a mio avviso, il più intenso dei tre; qui, la famosa tonalità dell’anima di Mozart, il re minore è alla fine spodestata da un inatteso e solare re maggiore. Eccoci quindi al Centro di Sarro. Da circa 10 anni era in pectore una mostra in questo bellissimo spazio, per vari motivi è stata più volte posticipata ma ho continuato a perseguire l’obiettivo di riuscire a concretizzarla. L’allestimento è frutto di un notevole lavoro progettuale condiviso con Iole di Sarro, la responsabile del Centro, e con importanti contributi del curatore Massimo Bignardi. Sono stato supportato nell’allestimento da Angelo Canzano e Tommaso Iuliano.
Il numero tre si ripropone non solo nei luoghi che hanno ospitato la mostra ma anche nella struttura stessa di K466 Allegro assai. Puoi condurci all’interno dell’allestimento e nei “momenti/movimenti” che la costruiscono?
Tre è la chiave di costruzione delle precedenti due esposizioni ed in particolare di questa. Negli spazi del Centro di Sarro, che sono tre, troviamo altrettanti momenti. Tre sono le “isole” di Kronos che segnano il primo ambiente. “Kronos”, installazione di quest’anno, è composta da un intervento a parete in carta e inchiostri dove, rielaborando il codice morse, ho fatto “sciogliere” gli elementi (linea e punto) lungo la parete; sul piano di calpestio sono disposte circa 60 sculture della serie “frammenti di tempo” (eseguite dal 2003 ad oggi), realizzate in terracotta, maiolica e terracotta smaltata a freddo. Le sculture sono disposte su delle basi di forma esagonale che si articolano tra loro lasciando spazi percorribili allo spettatore, coinvolgendolo così in un’esperienza più completa. La seconda sala è dedicata alla serie “attimi in blu” realizzate a partire dal 2017: si tratta di sculture di piccole dimensioni realizzate in EPS e resine sintetiche con finitura floccata (velluto al tatto). La loro dimensione dialoga perfettamente con lo spazio e lo satura di un profondo, spirituale e vellutato blu. Tre sono le opere esposte. Infine, un terzo momento dedicato ad opere della serie “nosce te ipsum”, opere del 2018 realizzate in acrilico, sabbia, terra e resina su carta d’Amalfi, legate a legni delle Dolomiti. Ancora il tre segna le pareti dello spazio dove troviamo un’opera 40×30 cm, tre lavori 10×70 cm ed una quadreria che accoglie 45 opere di vario formato. L’esito dell’impegno che ho profuso nell’allestimento è una struttura spaziale e visiva che ritengo estremamente elegante e raffinata, dove la cadenza ritmica tra pieni e vuoti gioca un ruolo “musicale” oltre che visivo.
In “nosce te ipsum”, il tuo lavoro più recente in mostra, metti in stretta relazione la conoscenza di sé con la natura. Una serie composita anche dal punto di vista dei materiali utilizzati. Quanto conta il luogo dove hai vissuto e dove vivi e lavori oggi?
La serie “nosce te ipsum” è frutto di un complesso lavoro di autocoscienza condotto in questi ultimi anni. Ha incontrato il primo pubblico perché il destino ha voluto che negli ultimi mesi del 2017, mi sono imbattuto in Roberto Gramiccia e nel suo Manifesto della fragilità; nel quale mi colpì l’idea di un “agire in modo carsico”. Fui invitato a partecipare alla mostra “Dimensione Fragile” nata intorno al Manifesto nel Gennaio 2018 presentando la mia opera “nosce te ipsum #2” (un acrilico e bitume di Giudea su carta d’Amalfi, 20×14 cm) della fine del 2017.
Come dicevo è un lavoro di autocoscienza; sono emerse in primo luogo le emozioni legate ai luoghi da quali provengo e quelli che adesso mi ospitano, in principio estranei e ora più familiari. Questi luoghi mi forniscono, oltre che stimoli emozionali, la parte più concreta delle opere, le terre e le sabbie che, legate con dei medium acrilici e colle viniliche, diventano delle malte molto dense.
Questi impasti assumono la forma di caldi e vetusti legni, diretta conseguenza della ricerca sul tempo e sul segno che perseguo dall’inizio del mio percorso. Il legno/albero, testimone del mondo in cui vivo, porta nella sua sezione la traccia del tempo trascorso; quando usato dall’uomo è ridotto in assi per i suoi scopi più svariati, assume una nuova forma e invecchia nuovamente mettendo in risalto le sue venature dando una forma al tempo.
Lavoro con spatole in metallo e silicone ed effimeri calchi per creare queste tracce sulle quali agisco numerose volte e poi patino con veli di acrilico e bitume di Giudea. Talvolta questi fondi scultorei emergono da resine epossidiche che, come dei flussi marini, lasciano delle zone emerse o sommergono tutto.
L’opera si forma strato dopo strato sulla carta d’Amalfi, alla quale mi legano tanti bei ricordi; il supporto posteriore è un tronco di piramide in legno di conifera delle Dolomiti, posto che adesso accoglie il mio piccolo nucleo familiare e tutto il mio essere “diversamente nordico”, come dice una cara amica.
Osservando i tuoi lavori mi sembra di riconoscere una certa “poetica del frammento” la perdita della centralità che si risolve in un doppio movimento tra frammentazione e organizzazione dei frammenti…
Il tempo è il tema su cui si avvolge la mia ricerca in modo spiraliforme; attraversa tutte le mie fasi di studio. Iniziare a rappresentarlo non è stato per me impresa semplice. Potrei falsamente dire che era tutto studiato e la poetica del frammento è stata illuminante; ma provare a rappresentare il tempo in unità più o meno lunghe, più o meno cariche di emozione fu l’esito della necessità di superare un’impasse creativa; brancolavo nel buio e le mie prime sculture della serie “frammenti di tempo” del 2003 sono da considerarsi alla stregua delle “liste sibilline” di D’Annunzio. Fondamentale in quel periodo fu abbandonare spesso il Laboratorio di Scultura dell’ABA e, attraversando la Galleria Principe di Napoli, rintanarmi al Museo Archeologico a disegnare tutto e niente. In quei magici luoghi conclusi: che il tempo dove passa lascia un segno, che si tratti di cose o persone;
che io voglio lasciare un segno come persona e come artista;
che bloccare un mio momento significava lasciare un pezzo di me al tempo, un testimone.
Ecco che la mia metà procidana, che spesso entra involontariamente nei miei lavori, mi ha offerto una serie di immagini da cui partire: la superficie del mare appena mosso da un sottile grecale; le pareti di tufo erose dal vento e dalle piogge; il fondale sabbioso mosso dalle correnti che lo rendono costante nella sua continua mutevolezza. Così realizzai i miei frammenti con forme irregolari o geometriche, interi o lesi, smaltati o rossi. La creta si offriva al mio segno frutto di un gesto mosso dalla emotività di quel momento particolare. Dopo le prime maioliche, cominciai ad autoprodurre il colore (smalto a freddo) simulando la pece, elemento che conserva la traccia del lavoro del cesellatore, con cui avevo lavorato nel corso della mia esperienza di orafo.
Trovo molto stimolante il fatto che la riorganizzazione dei frammenti in piccole strutture o in grandi installazioni muti molto la lettura della singola opera in relazione alle altre e all’ambiente.
In “Kronos 2018” lo spettatore è di fronte ad un bel gioco ritmico dove i tanti elementi neri orientati allo stesso modo sono interrotti da dei rossi e dei bianchi che suggeriscono che nel percorso di una persona alcuni momenti entrano in una routine quotidiana interrotta da attimi degni di maggiore nota; le basi senza sculture rappresentano il tempo che non abbiamo vissuto, le occasioni perse; infine, come a rompere un equilibrio formale, una scultura di un inatteso verde ci ricorda quei momenti inaspettati e diversi che il destino ci riserva.
Il 16 novembre la chiusura della mostra a Roma. E poi? Cosa ti aspetta?
Chiusa la mostra, il progetto più importante che voglio ultimare è il mio primo libro d’artista, a cui sto lavorando da diverso tempo, per il quale sto ottenendo importanti contributi e che ho in programma di finire entro la prossima primavera. La mia costante rimarrà il lavoro in studio, inteso come spazio limitato da quattro pareti e, anche, in modo più esteso, alla natura delle bellissime Dolomiti che spesso sono protagoniste di mie incursioni.
La serie “nosce te ipsum” in questo 2018 ha assorbito buona parte del mio tempo e continuerà ad avere molto spazio anche il prossimo anno assumendo nuovi formati ma soprattutto facendo propria la sensibilità e il colore delle nuove materie dei luoghi che mi accolgono e di quelli in cui transiterò.
Al contempo sono sul mio banco nuove e complesse opere della serie “attimi in blu”, alcune pronte per vestirsi di velluto e altre quasi; ho dato inoltre forma a dei grandi “frammenti di tempo” che continuano ad evolvere, sia su base sia da esporre a parete, alcuni dei quali si trovano ora alla galleria Paolo Bowinkel di Napoli, per una prossima collettiva. Con Maria Concetta Monaci e il Frantoio di Capalbio continuerà un rapporto collaborativo molto bello e stimolante consolidato ormai da anni.
Un’altra strada che vorrei ripercorrere è quella della residenza artistica, esperienza che ho vissuto più volte e dalla quale ho sempre tratto energia e stimoli creativi. Infine, ho in cantiere un parco di sculture ambientali, il progetto di un monumento che studio da tanto e ancora incompleto e tante idee nuove che devono fare i conti con la cura della mia famiglia e dei miei studenti in giorni di solo 24 ore.
Antonio Ambrosino. K466 Allegro assai
a cura di Massimo Bignardi
10 ottobre – 16 novembre 2018
Centro di Documentazione della Ricerca Artistica Contemporanea Luigi Di Sarro
Via Paolo Emilio 28, Roma
Info: +39 063243513
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www.centroluigidisarro.it